°20° Zwanzig.

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Sapevo di essere malata. Qualcosa in me era scattato tanto tempo prima, ma solo ora mi stavo accorgendo di come stavo toccando il fondo. Qualsiasi situazione mi faceva davvero male, a cominciare dal mangiare in pubblico. Stavo avendo seri problemi in questo. Odiavo essere circondata da persone, perché sentivo i loro sguardi posarsi su di me. Li sentivo pesanti sulla pelle, come massi.

Il fondo lo raggiunsi quando per la prima volta dopo 3 anni mi concessi di mangiare in un locale. Era una sfida fra me e Lei. La mia piccola voce che mi ripeteva che ero una vacca, come mi permettevo di mangiare?
Ordinai un insalata greca, con del pollo alla piastra e una Pita. (Il pane azzimo greco.) Quando mi arrivò il piatto la ragazza mi sorrise amabilmente, ma ero troppo pensierosa di come avrei mangiato tutto quella roba, che nemmeno lo notai.

Addentai un pezzo di Pita e ne assaporai il salato, il morbido, la farina che ancora ne sporcava i bordi. Mi tuffai in quel caos di sapori.
Insalata, pollo e di nuovo insalta. Ingurgitai tutto senza curarmi più del sapore. Mangiavo per colmarmi, mangiavo con ingordigia, mangiavo per dimostrarmi che potevo. Un po' come chi fuma e decide da un giorno all'altro di smettere perché vuole dimostrare che può, che non ha problemi a gestire il suo corpo. Io ero così. Volevo dimostrare a Lei che io avevo ancora il controllo del mio corpo.

Ma si sa, quando succede una cosa positiva, minimo ne capitano altre tre negative.
La porta del locale si aprii e ne entrò un uomo alto, si voltò verso il bancone e lo riconobbi subito. Era Carlo.
Con la bocca ancora piena di pollo presi la borsa, presi i fazzoletti e sputai tutto. Lui si voltò quasi appositamente verso la parte del locale dove c'ero io. I suoi occhi incontrarono i miei.

Non ricordo perfettamente come andarono le cose, la mia mente registrò solamente una minima parte della situazione. Mi ricordo di essermi alzata, velocemente, presi la borsa e mi diressi verso la cassa. Carlo cercò invano di fare conversazione, ma non riuscivo ad ascoltarlo, non riuscivo a tradurre nulla di quello che diceva, stavo avendo un blocco. Un blocco mentale. Mi aveva vista mangiare. Si, no? Forse.

Lo stomaco mi tirava da morire. Sentivo che stava per esplodermi, io stavo per esplodere. Dissi un timido "sorry" e scappai a casa. Attraversi la strada fino ad arrivare vicino ad un parco. Bambini piccoli giocavano, urla e strilli, parole in altre lingue mi raggiunsero. Sentii un senso di estraneità che non seppi spiegarmi, alcune mamme si accorsero di me, della mia presenza. Una in particolare mi si avvicinò, parlò in Ceco, non seppi rispondergli. Avrò avuto una faccia davvero terrorizzata, per attirare la loro attenzione.

-are you okay?-

Non lo sapevo. Stavo bene? No, non stavo bene. Feci comunque segno di si e mi allontanai dal parco. Lei mi disse qualcosa ancora, non ascoltai e camminai a passo svelto per allontanarmi più possibile da li. Sentivo di avere in corso un attacco di panico veramente pesante. Non volevo svenire, non li, non tra la neve e il freddo. No, non potevo.

Camminai fino a casa, proprio mentre infilavo le chiavi nella toppa della porta, qualcuno da dietro la apre. Con lo strattone vado addosso ad una maglietta verde scuro.

-oh scusa! Stai bene?- mi ritrovo Eduardo che mi sostiene dalla braccia. Le tiene con talmente tanta facilità, un mio braccio e più piccolo di una sua mano. Mi faccio piccola piccola, scanso i capelli dalla faccia e mi mordicchio l'interno della guancia.

-si, si, sto bene. Non preoccuparti. Devo andare in camera.- rimane a guardarmi. Attraverso il corridoio e entro in camera sbattendo la porta, mi infilo sotto le coperte e piango, piango disperatamente, fino quasi a non avere più lacrime.

Mentre sono cullata fra l'incoscienza del sonno e della tristezza, qualcuno bussa alla mia porta. Emergo dal piumone e scruto la sagoma nera dietro la porta. Eduardo e Jaro sono alti alla stessa maniera e la larghezza delle spalle è simile. Non voglio alzarmi, non voglio vedere nessuno.

-sto dormendo!- urlo cosi da mandarlo via.
-allora posso entrare? Ti vengo a svegliare!- la voce è di Edu, lo sento ridacchiare. Ci penso un attimo, ma la sagoma non di decide a schiodarsi dalla porta.

-uff...e va bene, entra. Ma avrai uno spettacolo raccapricciante, a tuo rischio e pericolo.-

Edu entra in stanza sorridendo, mi tranquillizza.

-ti ho sentita piangere,volevo accertarmi che stessi bene. Anche ieri notte ti ho sentita e mi sono davvero preoccupato.- mente parla gesticola, il suo accento spagnolo mi fa sorridere. Non riesco a crederci che mi abbia sentito, voglio dire...queste pareti sono fatte di carta pesta per caso???

Si siede accanto a me sul letto, faccio spazio e cerco di allontanarmi.

-non devi preoccuparti, sto bene. Sono solo stanca e vorrei qualcuno con cui parlare italiano. Sono stanca del solo inglese.-

Mi guarda dubbioso, poi sorride e mi porge qualcosa. All'inizio non capii, poi notai la parola Chocolate.

- è il mio snack preferito, credevo che eri in quei giorni e volessi un po' di cioccolata. Di solito aiuta.- sento il mio cuore liquefarsi. Sia per il gesto, sia per il ricordo che stava nascendo in me.

Da quanto non avevo più il ciclo? Da quanto non avevo più nulla di normale? Non ricordavo, avevo un vuoto, una parte mancante. C'era quel qualcosa in me che non mi aiutava a ricordare. Un vuoto creato da Lei.

Presi la barretta con tutte e due le mani, neanche fosse stata d'oro. Per me era importante, aveva dell'importante. Lui si era preoccupato per me. Non concepivo più queste emozioni, non riuscivo più a far si che l'emozione di un regalo facesse parte di me. E invece in quel momento sentii un turbine di farfalle nel petto. Perché questo gesto? Gli facevo così pena? O era solo un gesto di simpatia? Magari gli piacevo?

A quei pensieri divenni paonazza. Sentii le guance prendere colore.

-grazie, davvero, per il pensiero. È stata la cosa più carina che tu potessi farmi.-

-Di niente cara. Era solo per farti stare meglio.Almeno un po'. Posso chiederti una cosa?-
Alzai gli occhi dalla barretta e notai il suo timore di chiedere,l'imbarazzo e la sua timidezza. Sapevo, io sapevo cosa lui voleva chiedermi. Strinsi gli addominali e sorrisi.

-dimmi.-

Ci mise minimo due minuti per tradurre correttamente ciò che voleva chiedermi.

- Ti andrebbe di uscire insieme uno di questi giorni dopo il lavoro?-

Sbem. Questo non me l'aspettavo. Rimasi un attimo a guardarlo,seria. Non sapevo cosa rispondere, sentii un formicolio sulle punte delle dita. Ero in agitazione e speravo vivamente di sprofondare nel letto. In questi anni avevo cercato di evitare contatti umani, fisici/psicologici. Viktor era l'unica eccezione. Viktor mi aveva vista in mille modi, mi fidavo di lui. Ma Eduardo? Chi era per me? Sapevo poco e niente di questo ragazzo davanti a me.

Ebbi un fremito leggero sotto pelle.Per una volta volevo parlare io e non Lei. Volevo rischiare, non avevo nulla da perdere. Sentivo che era un modo per aiutare Michelle, un punto da dove ricominciare. Era stata vittima dell'espressione da Lei. Ora volevo ascoltare Eduardo e quello che aveva da offrirmi.

- mi piacerebbe molto.- dissi con un sorriso, scartando la cioccolata e dandogli un morso.

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