°21° Jedenadvacet.

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Trentotto kg.
Ero a trentotto kg. Non so nemmeno come ci sia arrivata. Non ricordo. Eppure mi sembrava di aver mangiato meglio in questo periodo. Eduardo mi aveva portato a mangiare in un ristorante tipico Ceco-slovacco, Stopkova Plzeňská Pivnice. Un posto molto scuro all'interno, finché l'occhio non si abitua. I tavoli in mogano tondi erano sparsi, non in un ordine logico o schematizzato, erano semplicemente messi li, a caso. Mi turbava la cosa.
Le sedie sempre in legno erano pesanti, e con la mia poca forza che avevo, feci fatica a spostare la mia.

Eduardo sorrideva, sorrideva al mio accento, alle mie stupide e semplici battute. Mi circondò un polso con le dita, arrossì in una velocità strabiliante. Sentì le guance avvamparmi e le mani formicolare, quel contatto mi aveva destabilizzata.

-Hai un polso molto piccolo,sei così magra. Ci sei nata, immagino.- chiese sorridendo.

-Si, sono nata così. Ma forse sto prendendo un po' di peso, sai, sto mangiando tanto in questo periodo.- dissi con un sorriso più finto che altro.

-Strano,non ti vedo mai mangiare a casa. Pensavo che mangiassi fuori. Il tuo ripiano nel frigo è sempre vuoto, al massimo ci sono tre cose. -

Cercai disperatamente un altro sguardo e trovai quello della cameriera che, passandomi vicino, accennò un timido "ahoj" - salve.

-mangio fuori perché non amo cucinare.- sorrisi cauta e mugugnai un "e perché non sono capace".  Eduardo scoppiò in una risata e mi diede il menù in mano. Il menù era diviso in due parti, Inglese e Ceco. Scelsi subito una Coca-Cola Zero e ilkurecí polévka s nudlemi – zuppa di pollo e del pane integrale al sesamo, tostato. Volevo qualcosa che mi scaldasse, stavo tremando, nonostante i cinque strati di vestiti. In tutto 300 calorie, potevo farcela. Se sputavo qualcosa nel fazzoletto, le calorie sarebbero diminuite. Io sarei stata più tranquilla se avessi potuto ordinare il nulla. Non volevo mangiare,ero turbata ancor di più dal dover mangiare davanti ad un altra persona e soprattutto davanti ad una marea di persone nel ristorante.

                           Ho tutto sotto controllo.

Non capivo come avrei potuto ingerire tutte quelle cose in una sola ora, perché si, una cena doveva durare un ora. Non poteva essere di più, calcolando che lui avrebbe spazzolato tutto in pochi minuti, io ci avrei impiegato il doppio del tempo per il disagio. 

                          Ho tutto sotto controllo.

-vado in bagno a lavarmi le mani.- Dissi alzandomi dalla sedia. Troppo veloce. Un cumulo di puntini neri danzarono davanti alla mia vista, i tavoli scomparvero e il viso di Eduardo si scuri all'improvviso, le  gambe tremarono e le ginocchia fecero fatica a tenermi. Le persone scomparirono sotto i miei occhi e rimasero solo le ombre. Passarono gli anni prima di toccare il pavimento con la schiena, un tonfo secco. Ossa vuote che sbattono pesantemente su di un parquet di legno duro. 

                          Ho tutto sotto controllo.

-Michelle!- il mio nome in bocca ad Eduardo prendeva una forma diversa, dolce, un accento mai sentito, morbido. Il viso di Eduardo mi si parò davanti, mi chiamava con il mio nome. Il mio nome, Michelle, non lo ricordavo. Rimasi in attesa, un odore di persone a me sconosciute si avvicinarono, rimasi in attesta. 

                                                                                     -ta dívka je vzhůru, ale necítí!-

Come scusate? Non ho capito, per favore traduci anche per me. Parole uguali, rimbombavano nella mia testa. Ero a trentotto kg. Non so nemmeno come ci sia arrivata. Non ricordo. Eppure mi sembrava di aver mangiato meglio in questo periodo.Trentotto kg, trentotto kg, trentotto kg, come ci ero arrivata? Eppure avevo mangiato bene questa settimana. Bugie, bugie anche a me stessa. Brava Michelle, brava, complimenti. Vuoi morire? si, lasciatemi qui. Lasciatemi cadere, lasciatemi morire. Gli occhi di Eduardo sono sopra i miei, nuvole di vapore mi avvolgono, pioggia fine mi colpisce il viso. I suoi occhi si schiariscono e lui sparisce, come lo stregatto rimangono solo gli occhi. Sbatto più volte le palpebre, sento la gola                         

                                                                                            - Can you hear me?!"

Posso sentirti, certo. Vorrei dirtelo. Vedo farfalle volarmi intorno, farfalle con le ali nere, si posano su di me, sul mio viso. Sento sprofondarmi al loro tocco, cado in un abisso fatto di rovi e rose ormai vecchie e appassite. Tagli mi lacerano la pelle, da cui escono vermi e larve, sto marcendo. Ero destinata a questo. Sto morendo, da sola e al buio. Un vuoto creato da me stessa.

                                                                               - Michelle, sono qui,ti sto aspettando. -

Buio.

Quando mi svegliai non riconobbi subito i visi che mi circondavano, nessuno fiatò quando aprii del tutto gli occhi. Cosa che mi destabilizzava ancor di più. Non sapevo cosa dire ne come reagire. La testa pesava e le braccia sembravano incollate al letto. Mi riaddormentai ancora una volta, con la sensazione di edere velenose che strisciavano sul mio corpo per arrivare alla bocca e soffocarmi. Il respiro si fece sempre più affannoso,la gola secca, brividi sul tutto il corpo. Il freddo mi arrivò fino alle ossa, una punta di iceberg mi si conficcò nelle vene, il gelo prese possesso della mia mente e del mio corpo.

Sto morendo?

Passai giorni a fare accendi e spegni con il cervello. Mi svegliavo e riaddormentavo con la stessa velocità di quando fai on-off delle lampadine. Sentivo a fatica il corpo, le braccia attaccate al letto non ne volevano sapere di alzarsi o fare movimenti. Le edere mi bloccavano. Lasciai scorrere il tempo come pioggia gelata sui miei capelli. 

Finalmente il mio corpo mi ascoltò e quando aprii gli occhi, alzai una mano in segno di vita. Una mano si aggrovigliò alla mia per non farmi andare via. Quando in fine misi a fuoco le persone nella stanza, mi venne quasi una tachicardia. Eduardo, Jaroslav e Christian. Volevo morire. Non riuscivo a parlare, non avevo parole,fiato e voglia.

-è sveglia!- disse l'infermiera che mi teneva la mano.

I tre si alzarono contemporaneamente, Chris si avvicinò cautamente, quasi consapevole che sarei crollata da un momento all'altro. Mi aspettavo un "te l'avevo detto, sei stata un'incosciente, una bambina, capricciosa, viziata." Invece dalla sua bocca uscì solamente un: 

-Mi sei mancata da morire.- 

Mi si avvicinò sempre di più. Lasciai la mano dell'infermiera e la tesi verso il mio gemello. I suoi occhi si specchiarono nei miei e vidi ciò che temevo, uno scheletro lo stava chiamando dalla morte. Risuscitata grazie a chissà quale miracolo. 

Prese la mia mano e la posò sulla sua guancia, dopo anni riconobbi la pelle di mio fratello. Sangue del mio sangue, stessi occhi, stessa bocca, naso e viso. Ora Lei sfigurava me e non sembravamo neppure imparentati. Lo vidi piangere e il mio cuore, o meglio, le mie macerie del mio cuore, si fecero in altri mille pezzettini. Piansi, lacrime tenute dentro solo per lui. Quel contatto che mi era mancato. Si protese verso di me e mi abbracciò, quasi sollevandomi dal letto, il calore delle sue braccia si disperse nel mio corpo e non volli nient'altro che quello. Nutrirmi del suo amore, del suo affetto.

-mi sei mancato da morire anche tu, in tutti questi anni.-

 Rimanemmo abbracciati per un tempo indefinito, finché l'infermiera mi fece notare che anche qualcun'altro voleva salutarmi. 

Jaroslav sorrise e scrollò le spalle.

-quando starai meglio, ci vedremo a casa e faremo una bella cena insieme. Ci conto!- 

Annuii con la testa e se ne andò, Chris andò a prendere un caffè e rimanemmo io e Edu. Lo guardai negli occhi e tutte le bugie caddero davanti al letto d'ospedale. 

Quante calorie hanno le bugie?

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