9. Idee.

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Frustrato, lancio la penna contro il muro.
Il mio povero cane, Lexie, scappa via con la coda tra le gambe.
Mi prendo la testa tra le mani, stringendo le dita tra i capelli, come se potessi scavare, trovare quelle parole che cerco disperatamente, quelle parole di cui ho bisogno, ma che sfuggono sempre come anguille, sgusciando via dalla mia presa fragile.

Prendo il telefono.
C'è un messaggio da Alessio.
"Hai fatto?"
Come faccio a dirgli che non ho in testa nemmeno una strofa o un misero accordo?
Sbuffo.
Ho bisogno di questa maledetta canzone. Domani ci esibiamo in un locale, e mi hanno detto chiaramente che vogliono un pezzo nuovo.

La mia mente non sembra essere d'accordo. È un deserto, una pianura arida da cui spuntano di tanto in tanto arbusti, pensieri inutili, che non fanno altro che disturbarmi, sviarmi dal mio obbiettivo.
Ho molte, troppe cose per la testa, troppe parole che roteano impazzite, ricordi che intervengono.
Sbatto più volte le palpebre, sperando che serva a dare un ordine a tutto.
Ma stavolta non accade.
Stavolta non si profila nessuna pagina con le strofe scritte sopra, già pronte.
Nessuna idea accettabile.
Prendo il telefono.
"Alex, aiutami. Al bar, tra cinque minuti".
Metto la giacca ed esco.
La solita strada. I lastroni di pietra tagliate in forme irregolari. Le erbacce che crescono nelle linee di intersezione.
Scendo dal marciapiede per evitare un motorino parcheggiato.
Infilo le mani nelle tasche, e abbasso la testa, fissando l'impiantito.
Intorno a me, le palazzine fatiscenti del mio paese si alzano verso il cielo, oscurando il sole. Panni stesi ad asciugare sventolano piano.
Stringo gli occhi.
Cosa mi sta succedendo?
Voglio, devo correre. Fuggire.
Dove?
Non lo so. Corri.
Perché?
Non è il tuo posto, questo, e lo sai.
Prendo un respiro profondo. Autocontrollo.
Continuo a camminare verso il bar.
Quando arrivo, di Alessio non c'è traccia, mi siedo ad un tavolo isolato, nell'angolo.
La cameriera, che andava a scuola con me quando ancora non ero stato bocciato, mi fa un cenno con la mano, e fa per avvicinarsi, ma io distolgo lo sguardo e si allontana.
Probabilmente mi si legge in faccia quello che sto passando, anche se neanche io so quale sia il problema. Forse sono io che sto impazzendo. Anzi, è di sicuro così.
Prendo dalla tasca della giacca il telefono e i fogli pieni di scarabocchi e parole cancellate, parole che ho scritto in un momento di rabbia e che non saranno mai adatte per una canzone.
Mi guardo nello schermo del telefono. Le occhiaie sono, se possibile, più profonde del solito. Ho gli occhi rossi, le labbra screpolate. Sembro un cadavere, talmente sono pallido.

Cosa mi sta succedendo?
Sono solo stressato, cerco di calmarmi.
Intanto entra Alex, e nel locale praticamente vuoto non tarda a vedermi. Si siede davanti a me, ma sono talmente assorto, talmente concentrato ad osservare le venature del legno del tavolo che non me ne accorgo subito.

"Terra chiama Genn, Genn ci sei?"

Mi riscuoto dal mio torpore, e mi concentro sul mio amico, che mi guarda con una strana espressione.

"Genn, tutto bene? Perché mi hai chiamato?"

"No. Niente va bene, in realtà. Ma ti ho chiamato perché ho bisogno di aiuto per la canzone. Non ho la più pallida idea di cosa scrivere, e il concerto è domani."

Alessio sospira. Non chiede niente, sa che non gli risponderei comunque. Con gli anni ha capito che ho bisogno dei miei tempi, mi confiderò quando vorrò.

"Gennà, in così poco tempo non possiamo scrivere e arrangiare una canzone nuova. Dobbiamo scegliere una cover."

Perché non c'ho pensato prima?
Probabilmente ero troppo occupato a piangermi addosso e a crogiolarmi nella mia sofferenza.

"Hai qualche idea?"

"No."

"Fantastico. Neanche io."

Sorrido. È assurdo come solo Alessio riesca a capirmi.

Buongiorno!
Non so come sia questo capitolo, ultimamente non ho più idee per scrivere quindi mi sembrava adatto alla situazione.
Buon anno

giobutch

One shots || Genn ButchDove le storie prendono vita. Scoprilo ora