11. Concerto.

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Respiro profondamente.
Per quanta aria faccia entrare nei polmoni mi sembra sempre di essere a corto di fiato. Devo calmarmi.
Alessio mi mette una mano sulla spalla, mi giro verso di lui e capisco che anche lui è spaventato quanto me.
Stringo spasmodicamente la mano intorno al microfono, finché non sento le nocche formicolare. Mi tremano talmente le gambe che ho paura di non riuscire a fare neanche un passo senza cadere a terra.
È assurda questa situazione. Ci saranno migliaia di persone, qui fuori, arrivate anche da lontano per assistere alla nostra esibizione.
E io qui sto morendo di paura.

Cerco di concentrarmi su qualcosa di concreto, e la prima cosa sulla quale mi cade lo sguardo è un cartellone di X-Factor appeso dietro al palco.

"Ci dispiace per il ritardo, ma gli Urban Strangers erano impegnati con delle interviste! Ma ora sono qui? Siete carichi?"

Un presentatore fa il suo ingresso sul palco, accolto dalle urla della folla.
Ecco, è quasi il nostro momento.
È il momento di salire sul palco, guardare la piazza davanti a noi, la stessa piazza dove ci radunavamo, noi e i nostri amici, per fumare o suonare, il nostro posto.
Ma non c'è niente ora che mi ricordi dei tempi andati.
La piazza è gremita di gente, i balconi delle case sono invasi, dappertutto spuntano nostre gigantografie o la gigantesca X che a lungo è stata nostra compagna nel loft.

Non mi sento a casa.
E questa sensazione spiacevole si mescola con il terrore, paralizzandomi completamente.

Questo concerto, organizzato dai produttori del programma, qui a Somma, è strategicamente piazzato tra la semifinale e la finale, in modo che i finalisti possano tornare nel loro paese d'origine prima della puntata conclusiva.

Ma non sono mai stato così terrorizzato, neanche al primo live, che rappresentava la nostra prima apparizione davanti ad un pubblico così numeroso.
Non capisco a cosa sia dovuto questo improvviso attacco di panico.

"Ecco a voi, gli Urbastrenger!"
Annuncia il presentatore, con una pronuncia orribile.

In qualche modo mi ritrovo al centro del palco, aggrappato ad Alessio, ad agitare la mano mentre sorrido, ma con gli occhi sbarrati.

Fisso l'orizzonte, lì dove finisce la folla. Fisso le strade del mio paese, le stesse strade dove correvo da piccolo, le case sbilenche e con l'intonaco cadente, riconoscendo in ogni crepa, in ogni blocco di pietra del lastricato, un ricordo. Riesco a collegare ogni angolo di questo paese ad un avvenimento.
C'è la gente, il boato della folla, ma sono a casa mia.
Sono stato io a volere tutto questo, presentandomi al talent due mesi fa.
Devo affrontare questa situazione e la paura insensata, relegandola in un angolo, nascosta, rinchiusa.

Faccio un altro respiro profondo, chiudendo gli occhi.

Quando li riapro sono pronto a cantare, pronto a vivere il mio sogno.

giob.

One shots || Genn ButchDove le storie prendono vita. Scoprilo ora