Capitolo 7

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Più lo guardavo negli occhi meno capivo cosa volesse da me. Era davvero strano trovarsi davanti a lui mentre era così arrabbiato anche se avevo il presentimento che non mi avrebbe fatto del male. Temevo però che avrebbe infranto il nostro patto. 

-Che cosa volevi dirmi?- chiesi non riuscendo a smettere di guardarlo negli occhi. Volevo capire cosa l'avesse fatto innervosire così tanto. 

-Che il nostro patto non esiste più- rispose lui freddo.

Lo guardai con gli occhi sgranati e notai in quel momento che teneva il gomito destro rigido, non per il dolore ma immagino fosse impedito da una fasciatura. Non ci potevo credere. Aveva tradito la mia fiducia. Si era arrabbiato e si era...lo guardai negli occhi per l'ennesima volta. Sentivo delle lacrime formarsi nei miei occhi e tentai di trattenerle, avendo successo. 

-Perché...?- chiesi. Non so per quale motivo ma avevo investito molto, a livello emotivo, su di lui e quella promessa. Non ero pronta a sentirmi dire quelle parole e tantomeno a lasciarlo annegare nel suo dolore. Ero perfettamente consapevole del fatto che la mia domanda non si riferiva al motivo della dissoluzione del patto anzi, a tutt'altri motivi. 

-Perché sono io. Perché mio padre mi detesta. Perché sono una delusione. Perché sono instabile. Perché voglio essere normale. Perché non so come fare. Perché...perché è troppo- la rabbia di poco prima si trasformò in dolore e poi in disperazione. Lo vedevo più fragile di un pezzo di cristallo, più perso di un viandante senza bussola, più insicuro di qualsiasi altra persona io avessi mai conosciuto. Era molto più umano ora che in qualsiasi altro momento. Volevo aiutarlo. 

-Joel...non è l'unico modo, lo sai- dissi calma prima di sfiorargli il volto con la mano sinistra. 

-Sai ieri mio padre ha detto che Arthur è nato fortunato, io sono stato fortunato ad essere nato. Volevo dirgli che non sono troppo deludente, ma mi è mancato il coraggio. Arthur è perfetto io...- 

-Tu sicuramente non lo sei ma questo è un bene. La perfezione è sovrastimata- cercai di consolarlo. 

-Guardami bene per un attimo! Non sono riuscito nemmeno a mantenere una stupida promessa!- mi urlò contro frustrato. 

Rimasi in silenzio per un po' e poi dissi: - Perché nessuno ti ha mai mostrato come avere a che fare con le tue emozioni-. 

-Senti non fare come la Denison, non siamo a lezione- la Denison era la nostra prof di psicologia e tra i due non correva buon sangue. 

-Sarai mai in grado di lasciarti aiutare?- chiesi retorica. Non ero spazientita, solo che capivo che certe cose per lui erano troppo normali, troppo incomprensibili, troppo...diverse. 

-Non voglio il tuo aiuto. Io faccio quello che voglio con il mio corpo. Le promesse non servono a niente- un altro urlo. Un altro pugnale che trafiggeva il mio cuore. Un'altra battaglia per non piangere. 

-Allora perché mi hai chiamata qui?- chiesi tentando di non far tremare troppo la mia voce. Piangere avrebbe solo peggiorato le cose. 

-Perché...volevo dirti di stare lontana da me, così Arthur non ti dovrebbe dare fastidio- disse prima di andarsene e lasciarmi sola con la testa più confusa di prima. 

Tornai in classe e finii quella giornata di scuola con il morale a terra. Perché avevo investito così tanto in quel ragazzo? Perché anche solo incrociare il suo sguardo mi stringeva il cuore in una morsa di ferro? Perché non potevo essere normale per una volta? Per fortuna l'ultima ora era di chimica e Jelacic non ci dava mai tempo per pensare ai fatti nostri. 

Uscii dalla scuola triste e con le idee più chiare rispetto al motivo del mio morale a terra. Mi piaceva. Joel Crowthorn mi piaceva molto. E mi aveva fatto molto male, questo perché mi importava di lui, forse a lui non importava di me, anche se...no! Basta pensare! Rimarginare troppo su un evento singolo fa male, pensa ad altro. 

Se non ci foste voi...Where stories live. Discover now