Capitolo 8

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Gli tremano le labbra. Le labbra che fino a poco fa ospitavano quel sorriso gentile e radioso. Si passa la mano sul viso, per asciugare le lacrime. Guarda in alto. Si gira prima a destra, poi a sinistra. Guarda in basso. Si copre il viso con la mano. Ci tiene così tanto? Non posso sostenere questa vista. L'ultima volta che ho visto un uomo piangere è quando mio padre è stato licenziato dal lavoro.
Era una giornata di pioggia, il mare vicino casa era in tempesta, nero come la pece. Io ero alla finestra, ad aspettare il suo arrivo. Lo vidi oltrepassare il temporale, protetto dal suo solito ombrello beige ma sembrava che la pioggia riuscisse a trafiggerlo perché quando fu più vicino mi accorsi che era tutto bagnato. Il cappello che portava aveva i bordi colmi d'acqua e limpermeabile era attaccato al petto e alla schiena. Sul suo volto, le lacrime si mescolavano con la pioggia, infatti all'inizio non riuscivo a distinguere le une dalle altre. Le folte sopracciglia grigie erano corrugate, le labbra tremanti. Le poche rughe che gli solcavano il viso si erano fatte più intense e piccoli sbuffi uscivano dalla sua bocca. Ma la cosa che oggi mi sconvolge è che guardandomi ha sorriso, come se non volesse caricare su una bambina tutta la sua infelicità e continuare a farle sperare che vada tutto bene.
È questo che ora vedo dipinto sul volto del ragazzo. Si vede che fa di tutto per nascondere le lacrime.

Mi sento un mostro. Probabilmente lo sono.
Solo quando finisce di asciugarsi le lacrime e i suoi singhiozzi non riempiono più l'aria, riesco a sentire il silenzio che si è formato intorno a noi.
Me ne sarei potuta andare ma non riuscivo a farlo. Era come se le gambe mi si fossero piantate nel terreno, intrecciate al suolo. E ora lo continuo a guardare, preoccupata, perché avrei voluto che ci fosse qualcuno con lui a consolarlo, visto che non potevo farlo io.
Si allontana piano da me. Un passo dietro l'altro, lentamente, fino a quando non si gira, dandomi le spalle, e se ne va.

Non penso di aver mai corso così tanto. Ho le gambe che tremano ler la fatica e così mi accascio a terra. Il lago adesso è ghiacciato, riesco a vedere i fiocchi di neve che vi si poggiano sopra. Cadono lenti ma costanti. Come le mie lacrime. Non penso di aver mai pianto tanto per un ragazzo. Mi passo le mani tremanti sul viso per asciugare le lacrime ormai congelate al freddo. Dietro di me la panchina piena di neve è come una presenza rassicurante. Mi calco bene il cappello in testa e scivolo giù. Quando la schiena tocca la neve sento un leggero scricchiolio che mi fa quasi sorridere. Ormai le lacrime non escono più. È così strano quando finisci di piangere, ti senti calma, come se la tempesta avesse finito di soffiare e tu eri lì, in mezzo al turbine. Sei stata talmente accartocciata, talmente schiaffeggiata da quel vento incessante, come una foglia in un turbine autunnale, che non sai più dove ti trovi, chi sei, e tutto ti sembra così distante che quasi quasi pensi di non appartenere a quella vita. Le parole degli altri ti scivolano addosso come ricordi ormai lontani, persino il suono del vento tra le foglie sembra non darti più nulla, nessuna sensazione, nessun sentimento di serenità. Tutto è così oscuro, ma un'oscurita che contiene mille grigi. Un grigio come i suoi occhi. Grigio come le lacrime che gli scivolavano lungo il viso pallido. Grigio come il mio cuore ormai marcio. Grigio come la mia voglia di vivere in questo momento. Sarebbe tutto più bello se non fossi mai esistita. Ognuno avrebbe continuato la propria vita e tutti sarebbero stati felici.

Sento una vibrazione all'interno della giacca. Guardo il telefono: Ruby. Non voglio rispondere ma è talmente insistente che non mi da scelta. Cerco di avere un tono di voce decente, non allegro, ma almeno spero non si capisca che ho pianto fiumi di lacrime.
-Maggs. Tutto okay?
-Sì, dimmi.
-Sei sicura? Hai uno strano tono...
Mi schiarisco la voce e rispondo,quasi serena.
-No, no, niente, tutto a posto. Perché mi chiami?
-Maggs, tu devo dare una brutta notizia. -la sua voce su incrimina ed è come se riuscissi a vedere un cristallo d'acqua scivolare lungo la sua guancia. -Hai presente Alan Rickman? L'attore di Harry Potter che interpreta Severus Piton?
-Certo che ce l'ho presente, è uno dei miei attori preferiti!
-Ecco. Maggs... -un singhiozzo in fondo al telefono mi fa sobbalzare e mi preannuncia già quello che sta per dire. -È morto.

Il telefono mi scivola di mano. Sento lontana la voce della mia migliore amica che mi grida che le dispiace, che vorrebbe essere qui ad abbracciarmi. Ma non c'è. Non c'era prima, che stavo male per quel ragazzo, e non c'è nemmeno ora che sto male anche per il mio professor Piton. Non mi può controllare in questo momento. E non lo posso fare nemmeno io.

Non ho mai pensato che sarebbe stato tanto difficile.

Apro la cartella, abbandonata in un angolo vicino alla panchina. Prendo il mio piccolo astuccio in jeans e lo apro. In una tasca laterale,  più piccola, trovo una lametta. La prendo delicatamente e la osservo. Sulla sua superficie riesco a vedere il riflesso luminoso della neve ed è davvero bello quando si colora anche di un rosso scuro.
Sento il sangue scivolare lungo il mio braccio e macchiare la neve. Una, due, tre gocce. Le guardo. Mi sembra di essere in un'altra dimensione, lontana dal mio corpo, dal dolore, dal taglio sottile, da tutte quelle sensazioni che un essere umano dovrebbe provare.
Improvvisamente una tristezza eterna mi tende la mano ed io la afferro, come se fosse il mio unico appiglio per sopravvivere. Le stringo la mano e lei mi abbraccia, mi dona un calore che nessun altro mi aveva mai dato.
È tornata. Pensavo che non potesse più farlo e invece è proprio qui con me. L'oscurità mi avvolge il cuore e mi porta giù.
Ci sono cascata. Ancora.

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