Penso di non aver mai corso così tanto. La mia mente era confusa, i ricordi annebbiati e tutto ciò che ascoltavo era il cuore. Ad un certo punto non mi sentivo più le gambe, avevo il fiato corto e per poco una macchina non mi ha investito quando ho attraversato col rosso.
La pioggia batteva sui miei vestiti, ormai zuppi. Non pensavo nemmeno a proteggermi dall'acqua. L'unico mio pensiero era lui. Il suo viso gentile, i suoi tratti, la curva delle sue labbra. Tutto di lui mi appariva nella mente. Non vedevo la strada, non sentivo i clacson delle auto, non ascoltavo gli insulti della gente, non badavo all'odore della pioggia. Sentivo solo che dovevo correre da lui. Correre come non avevo mai fatto prima. Le gambe iniziavano a farmi male, ma non badavo al dolore. Il fiato cominciava a mancarmi ma sembrava che i polmoni fossero di ferro.La cosa più brutta, però, è che mentre correvo, un immenso senso di colpa dilaniava la mia anima e si inoltrava fin dentro le ossa. Non avevo solo brividi di freddo, ma anche di paura. L'insicurezza che tutto sarebbe andato male, che era colpa mia. Qualunque cosa gli sarebbe successa, sarebbe stata colpa mia. Tutto l'universo era contro di me. Oppure ero io che mi facevo problemi inutili. Io, l'errore. In ogni città in cui vado procuro sempre del male alle persone.
Ora che sono all'ospedale sembra che ogni cosa intorno a me vada come al rallentatore. L'odore di plastica e medicine mi punge al naso, mi guardo intorno mentre i medici parlano con i familiari dei pazienti o che camminano veloci lungo i corridoi dei reparti.
Cercando la reception, mi fermo ad osservare un uomo. È seduto su una sedia davanti ad una porta, dove, forse, all'interno c'è un suo parente. È fermo, i gomiti sulle ginocchia, le mani che sostengono il viso. Sembra talmente concentrato che penso stia pregando. Ha il viso malandato, la barba ispida appena cresciuta, gli occhi cerchiati di nero all'interno sono rossi. Pare che non dorma da molti giorni. Continuo ad osservarlo, improvvisamente sembra che il tempo giochi a mio favore, vola così lentamente...
Ad un certo punto un medico esce dalla stanza. L'uomo si alza, gli corre incontro. Afferra il dottore per il camice, lo tiene stretto, quasi volesse minacciarlo, ma io so cosa sta succedendo. So già come andrà a finire questa scena. Mi sembra quasi di averla già vista...
Il medico accompagna l'uomo a sedersi, sempre girandosi a guardarlo mentre si allontana lungo il corridoio.
Il signore è immobile, fissa il vuoto. Per un attimo mi ricorda me stessa l'altra sera. Vedo uno scintillio che scende lungo il suo viso pallido. Subito dopo un altro e un altro ancora. Si copre il viso con le mani. Decido di andarmene.Quando finalmente arrivo davanti alla stanza dove è ricoverato il ragazzo, mi blocco. È come se tutti i miei sensi che fino a quel momento lottavano per portarmi da lui si fossero fermati. La gente mi passava intorno, guardandomi, proprio come quegli studenti facevano a scuola. Ma ora non me ne curo. Il mio pensiero in questo momento è: entro o vado via?
Probabilmente lui non vorrebbe che io lo vedessi in queste condizioni. In realtà non so nemmeno quali siano le sue condizioni. Il medico che ho incontrato alla reception mi ha detto che non devo stancarlo, che è appena uscito da un breve periodo di coma. Tutto il mio corpo inizia a tremare ma decido lo stesso di afferrare la fredda maniglia davanti a me e spingere la porta.
Lo spettacolo che ritrovo al suo interno mi fa raggelare le viscere più profonde.Lui è sdraiato nel letto, pallido come il lenzuolo che ricopre il suo corpo. Per un momento rimango impietrita, poi mi avvicino e mi vado a sedere sulla piccola poltrona a fianco del letto. Ora lo vedo meglio: i suoi capelli castani sono corti e infilati sotto una cuffietta verde. Le lenzuola gli arrivano fino al petto, lasciandoli scoperta la pelle da sopra le clavicole. Anche le braccia sono fuori dalle coperte, adagiate con cura lungo i suoi fianchi, come se un'altra persona gliele avesse messe in questo modo. Sul braccio destro è poggiata quella siringa al cui interno il sangue è rosso come il sole al tramonto. Contrasta molto col suo colorito.
Il ragazzo ha una gamba ingessata. La metà sinistra del viso è ricoperta di tagli e cicatrici. Piccole gocce rosse raggruppate sulla neve. Il braccio sinistro ha una parte bruciata.
Non mi ero mai avvicinata ad un ragazzo che era stato in coma. Si dice che ti sentono. Dicono che percepiscono tutto quello che succede attorno a loro. Non so se a me succederà mai.
Piano piano inizio a passare le dita sul braccio sano, cercando si non toccare quella siringa che mi fa raggelare la pelle. Mi muovo teneramente, con tutte quelle scuse e quei sensi di colpa che mi divorano. Un calore mi prende la nuca e si estende in tutto il corpo. Tutto lo stress che ho accumulato si riversa attorno a me. Con lui posso essere me, soprattutto ora che dorme. Mi tiro su le maniche della felpa. Anche la mia carnagione è pallida. Cicatrici sulle braccia come ombre dei rami degli alberi sulla neve. La sua pelle fredda sembra amalgamarsi con la mia è fondersi in un unico essere. Probabilmente dentro di me so di appartenergli. So che non posso scappare da lui.Cullata dal battito del suo cuore che riecheggia in tutta la stanza, appoggio la testa sul morbido materasso e gli sussurro un pensiero prima di cadere nel sonno profondo che mi porto appresso.
-Sarò sempre qui.
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Maggs
RomanceSono sempre stata una ragazza indipendente. Guardo il presente, ho i piedi per terra e non mi piace illudermi o illudere gli altri. Ma quando mi trovai lui davanti... Dio. Un angelo sceso dal cielo. Non voglio distruggere anche lui. Lui, che mi dice...