Capitolo 17 ~ Una storia da odiare

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Scivolammo tra tronchi viscidi e liane pungenti. Più volte rischiai di inciampare o scivolare tra le radici contorte e aggrovigliate. Ma c'era la bambina a guidarmi, la presa della sua mano era salda e tenace.

L'aria era umida, faceva caldo e si respirava a fatica.

«Dove stiamo andando, bambina?» dissi ansimando.

La sua voce giunse lieve e si confuse con lo scricchiolare sotto i nostri piedi. «Sulla tua nave, sul vostro Angelo.»

«Che diavolo di posto è questo, eh?» Fui costretto ad alzare la voce per farmi sentire.

«Oh, un piccolo passaggio segreto, credo.»

Piccolo? C'erano centinaia di alberi là dentro.

Deviammo sulla destra. Il braccio della bambina strattonò il mio.

«Quanto è grande questa nave?» domandai. «Quanti livelli ha?»

«Livelli, dici?»

«Sì, quanti dannati piani ha? Quanto è alta? Questi alberi sono imponenti.»

«Oh, non tanto, credo. Ci sono navi più grandi sul nostro pianeta.»

«Non tanto?» dissi. «Questa nave è una foresta.»

«Questa foresta è una nave.»

Mentre cercavo di capire ciò che mi aveva risposto la piccola Edhenn, mi ritrovai ad arrampicarmi su per un declivio. «Usa le radici» mi disse. Intravidi un sorriso nell'oscurità.

La salita era ripida, ma quelle radici assomigliavano a degli scalini. Eppure mi bruciavano le gambe, la scalata si fece così ardua che dovetti aiutarmi con la mano libera. Udii dei tonfi sopra di me, la bambina stava saltellando e stava canticchiando qualcosa. Arrivammo in cima, attraversammo un denso muro di foglie ed uscimmo allo scoperto. Inspirai fino a colmarmi i polmoni, dopodiché mi appoggiai sulle ginocchia per recuperare fiato.

«Dai, andiamo! I tuoi compagni stanno combattendo. Approfittiamo per partire.»

Era qualche metro più avanti, al centro di un corridoio stretto, simile a quello che mi aveva accolto in quella giungla. La bambina faceva segno di avvicinarmi. Non aspettò neanche che mi fossi riposato e riprese la corsa.

La seguii per una decina di minuti, poi quando spalancò una porta di legno consunta, ci ritrovammo di nuovo nell'Angelo. Rimasi quasi accecato dalla luce intensa, le pareti metalliche riflettevano e amplificavano i bagliori come milioni di specchi e lenti. Improvvisamente sentii più freddo. Non seppi se era per l'escursione termica o se perché quello che ebbi di fronte mi raggelò il sangue.

Un nostro compagno - non ricordo il suo nome - fronteggiava un Edhenn con una sbarra in mano. L'alieno si lanciò su di lui e gli scaricò un pugno sulla faccia. Gli rovinò addosso e, quando si rimise in piedi, per terra non lasciò che un corpo senza vita. Quel mostro, nero, con sangue rosso che gli colava lungo la lucida pelle, ridacchiò spalancando occhi spiritati. Poi arricciò il naso più volte, annusò in torno a sé e, solo dopo, si accorse che c'eravamo anche noi.

Mormorò qualcosa, guardandoci dritto negli occhi. Prima fissò me e io fissai lui. Lui scuoteva la testa, si afferrava le tempie, piagnucolava. Poi guardò la bambina e formulò qualche parola, disperato. La bambina non rispose e quindi lui alzò il tono.

«Hanawee» diceva «Hanawee!» Quel verso ce l'ho ancora inciso nella mente.

Si avvicinò alla piccola Edhenn, guardandosi le spalle, annusando ancora l'aria, facendo scattare il collo. La prese per le piccole spalle e sbraitò qualcos'altro. Lei scosse la testa e lui la lasciò. Infine scappò via mugghiando versi infernali.

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