¤Capitolo 5.

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La mattina del 27 Novembre, i genitori di Sofy la portarono da uno psicologo.
Loro aspettarono fuori mentre lei si accomodava sul divanetto dell'ufficio.
Ad una scrivania era seduto un ragazzo non molto più grande di lei.

《Tu sei Sofy Johnson, giusto?》
Chiese lui.

《Si. Sono io.》
Rispose lei guardandolo.

《Bene. I tuoi mi hanno detto che probabilmente hai ucciso una compagna di scuola.》

《Non sono stata io. L'ho trovata lì e nemmeno Dio sa quanto ho pianto.》

《Capisco. E perché pensi che non ti abbiano creduto?》

《Questo non lo so. Forse perché mi hanno vista con lei e non c'era nessun altro.》

Gli occhi di Sofy iniziarono a gonfiarsi per le lacrime.
Non riusciva ad accettare la morte dell'amica. Ma cosa ancor più pesante era non avere l'appoggio dei suoi genitori, i quali la credevano un'assassina.
Il ragazzo le si avvicinò e le passò una mano sulla schiena.
Era un semplice gesto, ma bastò a farle capire che lui le credeva.
Alzò lo sguardo su di lui.
Ora che lo osservava meglio era un bel ragazzo.
Occhi a mandorla, capelli castano scuro, lineamenti del viso ben definiti.

《Puoi andare se vuoi. Questo è il mio numero se vorrai tornare.》

Disse lui porgendole un biglietto da visita.
La ragazza uscì raggiungendo le due persone che la ritenevano una criminale.
Una volta a casa si chiuse in camera e non volle nemmeno pranzare.
I genitori iniziarono a preoccuparsi.

Dopo una settimana, eccola ancora nella sua stanza. Avvolta nel silenzio dei suoi mille pensieri.
D'un tratto il silenzio venne interrotto dal suono del suo cellulare.

《Pronto..》
Rispose.

Dall'altro lato non proveniva nessun suono.

《Pronto..》
Ripeté.

Ancora nessuna risposta.
Spazientita, Sofy riagganciò e posò il cellulare sul comodino.
A lei non sono mai piaciuti gli scherzi telefonici.
Il cellulare riprese a squillare. Ma quando lei stava per prenderlo, l'oggetto cadde a terra da solo.
La ragazza sussultò. Poi scese dal letto per riprenderlo, ma questo si mosse ancora spostandosi di qualche centimetro.
Non sapeva cosa stesse succedendo.
Provò ad afferrarlo un'altra volta, ma questo si scaraventò contro una parete facendola spaventare molto.
Dal cellulare usciva un suono strozzato e prolungato. Simile allo scricchiolìo delle settimane precedenti.
Sofy si allontanò accasciandosi in un angolo della stanza portando le ginocchia al petto e nascondendo il viso nelle braccia.
Si tappò le orecchie per non sentire quell'orribile suono.
Lei sapeva che quello non sarebbe stato l'ultimo episodio.

I genitori la trovarono profondamente addormentata la mattina dopo. Era accasciata sul pavimento della sua camera.
La svegliarono e notarono che accanto a lei c'era il suo cellulare. Distrutto.
A quella vista, Sofy impallidì.
La sera prima il telefono era nell'angolo opposto della stanza. Cosa ci faceva lì?
Non era sicura di volerlo sapere davvero.
Voleva solo tornare a casa sua.
La casa dove era nata e cresciuta.

《Sofy. Và tutto bene?》
Chiese la madre.

Ma lei non rispose. Continuava a fissare le piccole parti del suo cellulare senza capacitarsi dell'accaduto.
Il padre la prese in braccio e la caricò in macchina insieme alla madre che nel frattempo le aveva fatto la valigia.
La portarono in clinica.

《Papà cosa ci facciamo qui?》

《È per il tuo bene.》

La portarono dentro e prontamente dei medici furono intorno a loro.
Per Sofy stava iniziando una vera e propria agonia.

Lei prenderà anche te.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora