8. Limite

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Aprii gli occhi. Un bum-bum nel petto. Suoni ignoti al di là della parete opaca avanti a me; nella sua estensione, tutt'intorno, si ripiegava in una sfera.
Mi chiesi dove fossi, inconsapevole della mia ingenuità. Fin da subito provai il desiderio di tastare l'anomala superficie con la quale mi ero trovato faccia a faccia, così morbida, delicata, che desiderai immergere le mie dita in essa.
D'un tratto, il riflesso di qualcuno: testa calva, pupille color caffè, un timido sorriso, dolce. Con quella mano poggiata sulla parete nello stesso momento in cui lo facevo io. Mi stava deridendo? Voleva giocare? Non mi era dato saperlo; di sicuro mi spaventai e ritrassi subito la mano. E così lui. Strano, pensai: cosa avevo fatto per intimorirlo?
Adesso riuscivo a muovermi meglio, sempre più, poco alla volta. Spostai prima le mani, poi i piedi. Qualcosa mi tratteneva. Mi mossi nella sfera al massimo delle mie possibilità, ma oltre una certa distanza era impossibile andare: una "cosa" - non saprei come definirla - partiva dal mio ombelico e si ancorava in un punto della sfera. Era una specie di corda a spirale, realizzai qualche secondo più tardi. E mi agitai, ignaro di come, nell'incedere di quel dimenarmi senza sosta, si sarebbe decomposta. Fu un vero sollievo.
Riacquistai la calma. Mi pervase un'armonia senza precedenti.
Lo spazio intorno era immenso, fresco, intriso di un amorevole odore materno. Era il mio mondo; sì, il fantastico mondo dal quale mai avrei desiderato separarmi.
I miei sensi si acuirono: l'arrivo di sensazioni morbide, piacevoli, accoglienti, finché lentamente ottenni la percezione di me stesso. Ero protetto, e si sa: a tutti piace esserlo.
Volevo assaporare ancor più quella gioia. Chiusi gli occhi. Mi parve di essere immerso in un liquido; lo sentivo insinuarsi nelle orecchie, baciarmi la pelle, solleticare la mia lingua, infondermi brividi di piacere lungo la schiena.
Riaprii le palpebre. Qualcosa era cambiato. Sì... Lo spazio nella sfera era diminuito; la mia testa toccava il soffitto, ed ero costretto ad assumere una posizione rannicchiata, con gli occhi puntati verso i piedi e il mento fra le caviglie. Le gambe erano diventate pelose; strani tentacoli spuntavano dalla testa e spingevano contro il tetto della sfera. E poi... un'insolita creatura, che si annidava in mezzo alle gambe e dentro una folta peluria. Cambiamenti veloci, radicali, che mi avevano trasformato in qualcos'altro. La questione mi inquietava, l'imminente futuro... mi terrorizzava. Cosa sarei diventato? Perché accadeva tutto questo? Dove mi trovavo? E quale mondo si celava oltre il muro opaco?
Quell'ultima domanda smosse in me un desiderio prima impacciato, poi dirompente: evadere. La sfera che avevo tanto amato cominciava a soffocarmi. E allora spinsi, spinsi più che potei il capo contro la parete, e poi le mani, e ogni singola cellula contro di essa. Fu inutile.
Rimasi immobile. Il silenzio mi circondò; la solitudine pure.
Passarono i minuti. Stavo cedendo, sempre più raggomitolato su me stesso. Sentii il corpo indebolirsi, l'aria mancare.
Lo spazio si restrinse ancora e— Mi raggelai quando vidi sulla parete ciò che ero diventato: un mostro. Occhi infossati nelle orbite, pelle raggrinzita, e quei tentacoli sopra la mia testa... cadenti. Allora capii: la mia fine stava arrivando. Lottai di nuovo contro quella parete che mi teneva prigioniero. La sfera mi aveva ingannato fin dall'inizio; atteso soltanto che io potessi muovermi perché soffocassi. La mia esistenza non poteva riassumersi in questo modo... Come faceva un simile miracolo, ad essere un incubo? L'interrogativo mi trasmise una forza senza pari, malgrado il corpo fosse diventato meno responsivo. Mi immolai in un ultimo, disperato tentativo.
Con mia grande gioia riuscii finalmente a bucare la parete, a sconfiggere quel male che mi aveva ingannato, oppresso, limitato, al punto da odiarlo con ogni parte di me. E allora, gattonando abbandonai la sfera, un semplice, ridicolo involucro. Mi guardai attorno. Ero circondato da una distesa sabbiosa, e pochi metri mi separavano da un mare altrettanto sconfinato, sotto un cielo terso e smeraldino. Ma la lotta contro la sfera mi aveva sfinito.
Strisciavo, strisciavo verso la riva, sempre più affranto, finché, quando con il dito tremolante realizzai l'impresa di sfiorare le prime gocce della spuma marina, chiusi gli occhi.

Durante la propria esistenza, ciascuno lotta contro se stesso e quell'involucro invisibile che percepisce come limite. Gli esseri umani vivono afflitti da tale tormento, perché il loro spirito ha continuamente bisogno di espandersi e raggiungere la libertà assoluta. Quella libertà che non esiste, la cui idea però ammalia.
Ma l'essere umano, così assorbito dalla propria missione, non si accorge che quell'involucro, quei limiti che ne definiscono la natura, quando troppo tardi ne diventa consapevole, sono gli stessi che alla fine lo salveranno; che lo renderanno uno. Aggirarli, ignorarli, impuntarsi contro di essi, trasforma il tempo che vive in una vita non vissuta; accettarli invece, la sua più grande vittoria.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 22, 2019 ⏰

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