7. Il Naufrago

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Tutti sono schiavi di loro stessi. Forse perché tutti, almeno una volta, sono stati il prode navigatore della zattera che si è persa nell'incommensurabile mare della vita.
La bussola cominciava a impazzire, lo sciacquio dell'acqua contro le assi della zattera a spaventarlo, gli istinti ad affollarlo di immagini angoscianti, deliranti, dense della paura per un futuro incerto che, lenta lenta, lo inghiottiva. Ma poi, a causa delle enigmatiche intemperie nelle quali ciascuno s'imbatte durante il tragitto, egli si ritrovò sulle sponde d'un isola mai scorta prima. Il sole era alto nel cielo, intenso, opprimente, che senza indugio lo spinse a cercare riparo sotto la palma di cocco più vicina. Poi l'attenzione del viaggiatore cadde sui fragori incessanti delle onde lungo la riva; e dulcis in fundo, il sollievo.
Di fatto la terraferma aveva in parte acquietato l'angoscia del naufrago ma, al pari di un comune mortale, egli aveva subito guardato oltre: cosa lo attendeva nell'enigma che lo aveva appena fagocitato? Intendeva capire dove fosse, perciò esplorò la spiaggia in lungo e in largo.
D'un tratto distinse lontani faraglioni che si ergevano dal mare, posti di fronte un promontorio dalla bellezza inenarrabile; osservandolo, si chiese come sarebbe stato bello spiccare il volo da quell'altura, o magari essere il gabbiano che solcasse le acque vetuste dell'oceano sconfinato. Dal canto suo però, il naufrago era tutt'altro che ingenuo: in poco tempo si rese conto che quello fosse soltanto un suo desiderio innocente, una fantasia che tale sarebbe rimasta.
Fu allora che, per uno strano scherzo del destino, egli scorse una coppia di gabbiani svolazzare intorno ai faraglioni, fra i raggi paglierini d'un tramonto repentino, inatteso, che mai da parte alcuna avrebbe ammirato. Con lui la natura era stata malevola; almeno adesso gli avrebbe permesso di scoprire cose che l'animo altrimenti avrebbe ignorato per il resto della propria esistenza.
Affossando i piedi nella sabbia - morbida, granulosa sabbia marmorea - la fatica iniziò a sentirsi, e all'istante si accorse d'esser madido di sudore. Non attese oltre, perciò si denudò.
Quello spazio incontaminato pareva deserto; di tanto in tanto il silenzio veniva interrotto dalla brezza che lo solleticava dappertutto, dai fruscii delle chiome del bosco alle sue spalle, dal respiro profondo e reso liberatorio dallo iodio marino.
La natura è poesia, ossigeno per le nostre emozioni, constatava il naufrago; sebbene pochi secondi gli furono sufficienti per rendersi conto di come si fosse appena contraddetto.
Mancava qualche ora prima dell'avvento della notte. Salire sulla zattera e prendere il largo era fuori discussione; rimanere sotto quella palma invece, un modo come un altro per attendere la mortifera falce.
In parte timoroso, il naufrago decise di addentrarsi nel bosco: nessun bisogno di cibo, né di acqua, né di combattere la solitudine. E intanto il cuore batteva allo stesso ritmo di un ballo latino. Ah, la salsa... Quel passato lontano, quei momenti di vita gioiosa trascorsi nelle feste del borgo ove era cresciuto, attorniato da fior fior di donne passionali che, se stuzzicate, decidevano di stare al gioco. Sì, proprio con lui: l'uomo diventato naufrago e che, quasi certamente, la civiltà non avrebbe più rivisto.
Allo sventurato viaggiatore infatti, piaceva assaporare la leggerezza delle labbra d'una donna; trascorrere notti assieme ad esse come fossero l'ultima, sotto un vento di passione che lo faceva sentire vivo, vivo, in quei nidi d'amore che gli donavan l'illusione di superare i propri limiti e di percepire la vita come una favola.
Ma il naufrago - sì, proprio il nostro caro naufrago - avanzava di passo in passo, prudente, silenzioso, fra quella vegetazione che ancora trasudava gocce d'una pioggia miracolosa appena trascorsa, sopra quel fango che ne lambiva i piedi di piacevole freschezza.
Poi, quando più della metà del focoso e luminescente globo nel cielo s'era ormai rifugiato sonnecchiante sotto al mare, il naufrago s'immerse del tutto nel bosco che gli avrebbe cambiato la vita, per sempre.
Ed ecco i primi sussurri, i primi respiri che colsero la stessa aria densa d'amore e che gli avevano appena ricordato le notti d'un tempo. Sì, aria densa d'amore, di passione, della libertà tanto agognata e che il mare, perfido com'era, gli aveva sottratto.
Durante il cammino il naufrago percepì un fruscio. Sollevò lo sguardo. Si sconvolse allo scorgere di alberi solo avvistati in ricordi dimenticati. E assieme a loro, le driadi*, creature dalla bellezza impossibile e capaci di accecare il cuore dell'uomo che aspirasse ad esserne l'amante proibito.
Le driadi danzavano, danzavano, mentre sullo sfondo di un cielo sempre più tetro le Pleiadi* iniziavano a fulgere, e Merope* con esse. Chissà, presto sarebbero apparsi Morfeo, Fobetore e Fantaso*? Di certo il naufrago avrebbe poco gradito la loro comparsa: rifugiarsi in un sonno d'illusioni d'altronde era davvero ciò che desiderava?
L'atmosfera era così irreale, e scomparse le sensazioni legate ai bisogni puramente materiali; piuttosto, l'impellente necessità di elevarsi a Ecate*, lassù, nel cielo brillantato di perle stellari, di sfavillanti diamanti ai quali nessuna donna avrebbe saputo resistere. E chissà... forse il naufrago avrebbe persino conosciuto la propria sorte. D'altro canto non è l'attesa del piacere a essere essa stessa piacere, come amava affermare la cara Austen*?
Senza preavviso il benessere travolse il naufrago: le driadi iniziarono a sedurlo senza sosta; però, malgrado la passione del momento fosse divenuta assai mirabile, qualcosa ancora non andava. Ma il cuore ne avrebbe presto svelato il rebus, bisognoso di una magia che neanche quelle creature meravigliose erano riuscite a suscitargli.
Il naufrago era solo, forse ancor più di quando s'era accorto di essersi smarrito nell'acque infedeli. E ora, nel regno di Nyx*, senza preavviso divenuto prigioniero di ciò che di più bramava, egli s'era intristito, con le driadi che, alla fine, lo avevano abbandonato. Ma in fondo, sotto sotto, non è la morte del piacere a essere essa stessa piacere agli occhi dell'umano, Jane?
In seguito, in quel mondo divenuto all'improvviso più avverso, ecco una luce. Il naufrago avanzò verso di essa, ignorando dove ora mettesse piede: avrebbe vinto qualsiasi fiera, qualsiasi trappola, qualsiasi veleno, perché quella luce era per lui, soltanto per lui.
Toccate le corde del cuore da un canto melodioso il naufrago si avvicinò, si nascose fra la vegetazione e osservò lo scenario dinanzi con la curiosità di un neonato. Poi la visione di un fuoco scoppiettante di vita, di mani congiunte fra loro, di driadi tutte attorno e... alle spalle di quattro individui contraddistinti da sguardi caldi, densi d'affetto, intenti a scambiarsi un sentimento che il povero sventurato, ahi lui, ignorava. Era diffusa magia nell'aria; la stessa che neanche la passione aveva saputo trasmettergli.
Nell'attimo di tale meraviglia la luce del fuoco crebbe d'intensità. Fu allora che il viaggiatore potè distinguere i volti di quella piccola combriccola: uno fra loro era un uomo ben piazzato, con capelli ricci e increspati come la spuma marina e lenti che celavano pupille tenere, intime, custodi di una saggezza d'altri tempi; l'altro accanto a lui: un giovanotto biondo, paffuto e dotato di un sorriso radiante come i glauchi occhi della dea Atena. In parole povere: una creatura figlia della poesia.
Al contempo, di fronte a loro una coppia di donzelle: la prima, di fianco all'uomo, era minuta, con lunghi capelli color seppia, un volto liscio, suadente, munito d'una coppia d'opali lucenti che andavano osservando il fuoco scintillare, assorti nel sogno. E infine l'ultima, la donna del canto: colei che aveva attirato il naufrago con quel richiamo caldo, leggiadro, e suscitato inconsueta curiosità: forse per le occhiaie d'onice, forse per quei suoi modi di comportarsi buffi, gioiosi e sinceri, insiti in una voglia d'affetto senza eguali. Ognuno di loro era il frutto di un passato pieno di cicatrici, appurò il naufrago, ma che al tempo stesso li aveva resi unici come l'incantevole cometa che al momento percorreva frettolosa la volta celeste.
Lo sventurato s'era come ipnotizzato, e aveva capito: quella era la casa che aveva sempre cercato. Ne ignorava il motivo, né avrebbe potuto comprenderlo, né gliene importava; per un uomo che durante il tragitto aveva smarrito la speranza, invecchiato di colpo, afflitto dalle rughe di una disperazione che a breve lo avrebbe divorato, contava soltanto raggiungerla. E allora il naufrago lottò contro i propri demoni, contro quella paura di apparire agli occhi del gruppo a causa dell'aspetto sciupato, orripilante... finché le gambe si mossero, forse spinte da quella magia che aleggiava nell'aria, o forse perché, semplicemente, era impossibile resisterle. Ma il naufrago si era così distratto da non accorgersi del fiume torbido e furente frapposto tra loro. Dunque guardò di nuovo il cielo, con quella timida lacrima che andava nascondendosi fra le rughe del volto.
Le Pleiadi brillavano ancora, com'era giusto che fosse; ammirandole, il naufrago giurò a se stesso che non avrebbe più sofferto come loro. Per questo egli si gettò nel fiume.
Nel frattempo il gruppo se ne accorse, all'inizio spaventato dall'osservare un uomo obbrobrioso e vecchio affogare per opera d'una furia omicida senza controllo. Ma poi, per un fatto a loro inspiegabile, l'uomo canuto cominciò a risalire la corrente, determinato... fino a raggiungere la riva opposta del fiume.
Affaticato e quasi incredulo all'impresa appena compiuta, il naufrago respirò profondamente, finché alzò lo sguardo e li vide. Il quartetto era più di ciò che sembrava; lo sfortunato viaggiatore infatti lo avrebbe saputo soltanto dopo: gli individui che lo stavano aiutando a rialzarsi erano anime pure, nobili, mosse dallo stesso spirito che discendeva dal divino Apollo e dalla dea Atena, da Meti e Idia*, da Calliope, Melpomene ed Erato*.
Quando poi la piccola discendente di Enea gli sorrise, gli ebbe carezzato la guancia, asciugate le lacrime e benedetto per mezzo d'un morbido bacio sulla fronte, il biondo uomo di Dio accanto gli afferrò entrambe le mani, ne lisciò con i pollici i palmi raggrinziti e fece sgorgare dalla sua pelle una linfa resinosa e color marsala. E mentre il naufrago scopriva una nuova giovinezza, un abbraccio caloroso dal retro delle spalle gli cinse la vita. Era un'essenza di donna, e il piacevole odore d'una pelle che mai il suo intelletto confuso avrebbe colto: l'antico spirito di Prisca, madre di tutti i primordi.
Poco dopo il viaggiatore cominciò a singhiozzare, singhiozzare, dando finalmente voce a quel bambino spaventato che mai aveva potuto comunicare al mondo il suo dolore. E solo allora, all'apice di un vortice d'emozioni che l'umano può solo sognare, il più adulto fra i quattro poggiò entrambe le mani sulle spalle del naufrago, purificandone lo spirito e propagando in lui il sangue di Zeus. Di fatto, il suo corpo cominciò a risplendere del color dell'oro, elevandosi all'onnipotenza fino ad allora riservata al solo Caos Eterno*.
Quando lo sventurato ebbe abbandonato lo stato materiale della carne mutando nella stessa energia vitale che animava i suoi salvatori, i quattro lo invitarono a seguirli verso lo stesso potere che aveva permesso ad Efesto di forgiare i magnifici gioielli di Teti* ed Eurinome*, l'arco e le frecce del divino Apollo, lo scettro e l'Egida del potente Zeus, fino alla graziosa Pandora*. No... quello era molto di più che un semplice fuoco, ma l'essenza della stessa forza creatrice capace di spingere la nostra realtà verso un futuro di cambiamenti che l'uomo, per quanto si sforzi, mai controllerà. In fondo la vita è un insieme di onde armoniche che viaggiano nello spazio e nel tempo, oltre la carne, oltre l'anima, oltre le infinite dimensioni della realtà eterna. I quattro questo lo sapevano, e la loro sapienza finalmente avrebbe sradicato il naufrago dalle fauci del terrore, della disperazione, delle futili preoccupazioni con le quali le Moire* lo avevano ingannato.
E ora, come luci di speranza nella notte avversa, tutti e cinque si collocarono intorno al fuoco, mano nella mano, assaporando brividi piacevoli che ne percorrevano i dorsi.
Il gruppo guardò così il cielo. Le driadi iniziarono a danzare, inondate da una forza a loro sconosciuta. E lassù, nella notte cosmica di cuori adamantini, i cinque intonarono la preghiera senso stesso della loro esistenza.
La certezza era ormai assodata: il naufrago aveva raggiunto casa sua, dentro una favola che egli, inconsciamente, aveva sempre cercato ma che, a causa dell'erroneità dei sensi, mai aveva contemplato.
Il naufrago non era più il naufrago, ma il pezzo di un puzzle unico nel suo genere e che, adesso, sarebbe entrato a far parte delle pagine scribacchiate da questo umile scrittore, speranzoso assieme a codesti compagni d'esser portatore, un giorno, di quel vento di libertà a cui il mondo aspira: il vento della felicità.

                   RIFERIMENTI
Pleiadi: stelle nella costellazione del Toro
Driadi: ninfe che vivevano nei boschi e ne incarnavano la forza e il rigoglio vegetativo. A differenza delle amadriadi, non facevano corpo con gli alberi, né morivano con essi, ma potevano muoversi liberamente, danzare e unirsi anche con semplici mortali.
Merope: La Pleiade meno luminosa
Morfeo, Fobetore e Fantaso: figli di Ipno, il sonno
Ecate: dea che regnava sui demoni malvagi, sulla notte, la luna, i fantasmi, i morti e la Negromanzia.
Jane Austen: scrittrice britannica di fine '700
Nyx: personificazione della notte
Medi e Idia: ninfe, figlie di Oceano e Teti
Calliope, Melpomene ed Erato: muse rispettivamente della poesia epica, della tragedia e della poesia amorosa
Caos Eterno: personificazione dello stato primordiale del vuoto
Teti: ninfa dei mari
Eurinome: dea dei prati e dei pascoli d'acqua
Pandora: figlia di Efesto
Moire: personificazioni del destino

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