0. Ambra

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AMBRA - In India e in Europa da sempre si conoscono le sue numerose proprietà terapeutiche.
Rafforza la spontaneità e la fiducia, rende più socievoli ed estroversi, è portatrice di gioie e di successo.

Le goccioline di pioggia si buttavano come prive di speranza addosso al vetro oscurato, trovando poi la strada per giungere all'estremità del finestrino (con una scia) e cadevano infine senza vita sull'asfalto anche esso bagnato. Perdevo la visione di quei minuscoli cristalli quando la velocità prendeva la meglio. A quel punto riponevo lo sguardo su altre, che ancora piccole perché appena entrate in contatto con il vetro ghiacciato, si trovavano sulla parte alta del finestrino e scivolavano in diagonale risucchiando quelle più basse man mano che scendevano.
Gli sbuffi di vento erano talmente potenti che si poteva percepire il loro frantumarsi contro la macchina appena sbattevano contro i vetri solidi e impenetrabili.
Sentivo lo sfregare delle gomme contro il terreno, mentre spazzavano via l'acqua che impregnava la strada.
Poggiai il braccio sulla manovella della porta e cominciai a picchiettare le unghie sul freddo metallo. I tergicristalli si muovevano incessantemente davanti ai miei occhi e cercavo con la mente di farli andare a ritmo di musica, anche se si rivelavano sempre fuori tempo.
Una radio che in quel posto dimenticato da Dio si sentiva senza gracchiare ad ogni curva, faceva risuonare le note di una musica classica molto rilassante, che però non aiutava per nulla la tensione che si liberava nell'aria.
L'anulare sopra la manovella cominciò a raffreddarsi tanto da farmi pensare che il mio dito potesse prendere la stessa forma e consistenza del metallo.
Abbassai lo sguardo e trovai solo i miei capelli proprio sopra il petto a farmi compagnia, così con una mano presi una ciocca che mi contornava la t-shirt e, arrotolata perché dopo essersi imbattuta nella pioggia aveva preso una piega tutta sua, la stirai, facendola diventare più lunga e toccare il punto proprio sotto il seno. I boccoli però, appena staccata la presa speranzosa delle mie dita, rimbalzarono, ritornando nello stesso identico punto in un cui li avevo scorti.
Mi feci scappare un piccolo sbuffo, che avrei dovuto poter sentire solo io, ma notai uno scossone al mio lato.
«Sei nervosa?» il movimento che avevo percepito da sotto il sedile prese parola e mi ritrovai a non saper che rispondere. Ero come bloccata dal terrore, avevo solo realizzato in quegli attimi che cosa mi sarebbe aspettato al di là di quella porta, proprio fuori sotto la tempesta.
«Iddio non voleva che cambiassi scuola a quanto pare.» Rimbombò tra i rumori di grandine sulla automobile la flebile voce di mia madre, che non avendo attirato la mia attenzione o non avendo avuto una risposta soddisfacente, aveva ritentato con una battuta, che oltre ad avermi fatto aumentare il calore che tenevo celato nel petto, mi avrebbe senz'altro fatto muovere fuori dalla macchina non aggiungendo altro.
Avevo paura, sì.
«Non sarà così male. Puoi essere chi vuoi, ricordi?» ancora di più quella frase mi fece crescere la pressione sul sedile, dove si era formato un buco che avevo cominciato ad immaginare per provare a pensare che, se mi fossi appiccicata ad esso, avrei in un qual modo trovato una scusa per non entrare in quel maledetto edificio, che sembrava spaventarmi solo alla vista di un cancello nero inveterato, che dava l'idea di fare rumori di scricchiolii appena aperto.
Mi ero creata in testa la mia uscita dall'auto, la camminata veloce sotto la pioggia -che non sarebbe servita a nulla visto che i soffi del vento giugevano nella nostra direzione- e infine la vista da vicino di quel grande cancello, immenso.
Avevo la sensazione di stare in uno di quei film horror degli anni venti, dove il buio, le tenebre e i castelli disabitati erano l'unica maniera per incutere paura agli spettatori.
Le aste del cancello sopra di noi parevano arrivare fino ai nuvoloni neri, che venivano quasi bucati dalle sue affilate punte.
Ingoiai ciò che nella mia bocca non c'era, solo per darmi un po' di coraggio e riempire quei rumori assordanti con uno conosciuto.
Piano, poco dopo, percepii il dolce tocco delle mani curate e lisce di mia madre sopra il mio polso, per darmi conforto, anche se non sarebbe servito a nulla, avevo perso ogni sorriso che mi ero ripromessa di attaccarmi al viso, ero stata zittita dagli scoppi di fulmini. Dire addio sarebbe bastato, non chiedevo altro. Niente lacrime, niente scenate disperate: niente di niente. Solo sguardi persi e una nuova vita.
Quella che mi ero scelta.

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