11. Crisocolla

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CRISOCOLLA - Il nome deriva dal greco chrysos (oro) e kolla (colla), si presume che in tempi antichi fosse utilizzata per saldare materiali aurei (lo riferisce Plinio nella sua Storia Naturale). Di un bellissimo colore blu tendente al verde, la crisocolla è molto apprezzata come gemma ornamentale.
La crisocolla agisce come calmante, equilibrante, aiuta a superare il nervosismo e l'ipereccitazione. E' una pietra tipicamente femminile, per la sua composizione chimica di acqua e rame viene associata al pianeta Venere. Per mantenere integre le sue virtù terapeutiche deve essere lavata con l'acqua corrente (è invece da evitare il sale che rovina le pietre porose).

Mi voltai verso il muro, stringendo i pugni e mi feci sfuggire un grugnito di rabbia, che tenni imprigionato tra i denti.
Pareva sempre che fossi troppo stupida per capire la realtà che avevo davanti agli occhi. Ripercorsi in qualche minuto tutto quello che era successo: la notte in cui si erano spente le luci ed ero caduta dalle scale, gli occhi blu, il risveglio nella camera, la seconda visita dall'infermiera e infine l'incontro con Christopher.
Non sapevo perché mi fossi invaghita di lui a tal punto da non pensare ad altro che alla sua possente figura, ma probabilmente il tutto era dettato dalla mia curiosità inaudita, che andava a chiedere il motivo, non mi interessavano i fatti come si erano svolti, quelli erano infimi.
Mi massaggiai le tempie e decisi di far vagare la mente su altri pensieri, per distrarmi, così mi feci una doccia per lavar via il profumo alla menta che mi si era impregnato quando avevo abbracciato Sam. Volevo solo liberarmene anche perché quella giornata doveva essere dimenticata: quella sera avrei dovuto ricominciare daccapo con Sam e con le altre, anche se sapevo che ogni volta avrei avuto quell'istinto irrefrenabile di obbligarlo a parlare.
Avevo però molta paura che non fosse così semplice provarmi ad avvicinare a Christopher.
Entrai nel bagno e rividi l'immagine di me stesa a terra, con pezzi di vetro che trapassavano la carne della mia spalla.
Come mai non avevo le ferite? Che mi aveva fatto Christopher per cicatrizzarle in un giorno?
Forse neanche mi ero graffiata il braccio, ma da quel ricordo mi ero messa in testa che l'unica verità fosse scritta proprio lì e che io dovevo decifrarla.
Avevo solo ricevuto quella risposta.
Mi dissi basta e accesi il getto, cominciando a spogliarmi di tutti i vestiti che avevo messo giorni prima, ma che erano ancora freschi di lavaggio, non seppi spiegarmi il motivo di questa mia sensazione.
Sciolsi i capelli, che caddero sulle mie spalle e mi solleticarono un poco le costole, così li spostai sulla parte destra del capo, guardandomi allo specchio con la testa inclinata.
Ce l'avevo scritta, lo sapevo.
In quel momento ebbi lo strano presentimento di avere tutto chiaro, come se volessi convincere me stessa, ma poi mi ricordai del test e quello mi servì per muovermi verso il tappetino lilla del bagno.
Non avevo aperto libro per la verifica, ma ero sicura che un test di conoscenze non fosse poi così impervio, sebbene sapessi poco dei programmi scolastici, visto che l'istituto che avevo frequentato precedentemente era molto indietro con gli argomenti.
In quella scuola avevano tutti un linguaggio abbastanza accurato, quindi, a loro volta, sia i professori che le materie dovevano essere abbastanza tosti.
Mi misi una mano sulla fronte, preoccupata.
Come avrei fatto a superare l'anno se avessi fallito il test delle conoscenze?
Non avevo la più che minima idea, ero troppo concentrata su quello che stava accadendo che non avevo dato importanza alla mia istruzione.
La strada che avevo intrapreso sembrò incrinarsi in quel momento.
Mi immersi completamente nel sentimento di rilassamento, che mi liberò del tutto dalle sensazioni maligne che mi avevano quasi impossessato.
"Ci sono" sentì nell'angolo sinistro della mente.
La mia concentrazione si spostò di nuovo e maledii me stessa per aver dato tanta importanza a cose che erano di meno rilevanza della scuola. Ero venuta per studiare, no? Poi il fatto della nuova vita e conoscenze erano quasi una scusa.
L'origine della mia separazione da mia madre riguardava anche un fatto economico, ma tutte quelle ragioni messe insieme rendevano la mia permanenza lì ancora più lunga.
Avevo combinato dei casini ed ero arrabbiata.
Io avevo ucciso una persona.
Io avevo ucciso una persona.
Chi sano di mente l'avrebbe fatto? Nessuno, appunto.
Piansi ancora le lacrime che mi ero tenuta segregate nella gola e riaffiorarono con violenza, facendomi sbattere contro il muro della doccia, al quale mi appoggiai, mentre gocce salmastre venivano spazzate via dall'acqua calda, che come un'amica, mi addolciva in un qualche modo il dolore.
Perché l'avevo uccisa?
Non seppi darmi risposta e i singhiozzi cessarono, cercando una possibile spiegazione, che non giunse, quindi sbattei di proposito la testa al muro, ma non troppo forte.
Provavo rimorso, tanto rimorso.
Avevo posto fine ad una vita.
Uccisa.
Eccheggiò nella mia testa quel verbo, non volendo sentir ripetere quanto fossi un mostro, mi presi la testa tra le mani e lanciai un urlo talmente disperato e bisognoso di aiuto, che quando si spense tra le tendine della doccia, lo sentii quasi ritornare indietro, come se mi si fosse ritorto contro. Lo avrei pagato, avrei pagato tutto quello che avevo commesso.
Mi irrigidii sotto il getto caldo e mi guardai in giro, persa del tutto.
"Sei qui?" chiesi a me stessa, toccando con una mano il pomello per regolare l'acqua, facendola diventare fredda da farmi congelare le membra.
Volevo punirmi e mi sembrava l'unico modo al momento per infliggermi del male.
Il minimo che potessi fare.
Rabbrividii e cominciai a saltellare, volendo far riprendere la circolazione del sangue nel corpo.
"Non so che cosa tu abbia fatto, ma fallo ancora" disse piano. Sentivo che anche lei provava la stessa sensazione di colpa come me.
In parte era me, no?
Sentii il suo respiro di sollievo e resi l'acqua completamente gelata, che mi fece muovere improvvisamente le labbra, dal freddo.
Continui fremiti mi muovevano il corpo con sbalzi che facevano sembrare il tutto una danza scordinata, ma tenni duro perché sapevo che a lei piaceva e per parlarci dovevo fare di tutto per attirare la sua attenzione su di me.
"Dove sei stata?" chiesi coprendomi il petto, sperando di trasmettermi calore da sola, quando invece quel movimento mi spostò ancora di più verso il getto. Tolsi subito le mani e spensi l'acqua, mentre spostavo piano la tendina color latte.
"Da nessuna parte. Mi sembra per la prima volta nella mia vita di aver dormito" fece uno sbadiglio che, a ruota, venne pure a me.
"Io..ti ho cercata" ammisi mentre mi avvolgevo con un asciugamano il corpo, per poi mettermi a guardare la mia figura sfuocata dal vetro appannato del bagno. Con una mano pulii il vetro dal vapore acqueo e intravidi i miei occhi verdi, che spuntarono dal nulla.
"Lo so, ma non ero interamente qui con te" le mie dita si fermarono dal continuare a sfregarle.
"E allora dove?" ero più che confusa, ma l'unica con cui avrei potuto avere una normale conversazione a riguardo sarebbe stata lei, ma a quanto pareva sembrava nascondere qualcosa.
La sua voce aveva un tono desolato, quasi come se avesse appena versato tante lacrime, dopo aver preso una sgridata da qualcuno.
"Mi hanno chiamata" un altro messaggio criptico.
Che le costava dirmi un po' di più?
"Chi?" chiesi, mentre mi mordevo il labbro.
Continuavo a osservare il mio corpo, che piano piano si riuscì a distinguere e appoggiai i gomiti sul lavandino, in segno di attesa. Cercavo di vedere anche un piccolo accenno che mi si potesse presentare sul volto, da parte sua, così avrei capito che le prendeva.
"Non sarò io a parlartene" mi rispose seria, il che mi fece un po' sobbalzare.
Condividevamo tutto e quel suo improvviso distacco mi fece imbestialire.
Cercai di rimanere quanto più potessi calma.
Presi un altro asciugamano, più piccolo del primo, e lo utilizzai per fermare i capelli, facendogli perdere acqua.
Presi tutti i vestiti vecchi e li misi sulla lavatrice, perché così, quando sarei tornata dalla cena, mi sarei ricordata di lavarli.
Con le mani che continuavano ad avere tic improvvisi per la rabbia, aprii la porta con disinvoltura e mi incamminai verso il letto, che era occupato. Una chioma castano chiara si voltò verso di me e il mio primo istinto fu quello di coprirmi con le mani, però fu inutile perché l'asciugamano si allentò un poco. Mi affrettai a rimetterlo a posto, proprio sotto la forma del mio sedere, che sembrava spuntare fuori quando camminavo. Mi spostai in avanti, per coprire ancora di più la parte davanti del mio corpo, che anche se ben vista, mi immaginai che fossi completamente vestita.
«Coinquilina» mi chiamò lei, sorridendo un poco, con fare gentile.
La mia reazione fu abbastanza strana, infatti arrossii e portai il capo a terra, per vedere che anche lei si era sistemata e la sua valigia era a un passo da me.
«Sono Elle» si alzò e mi sorrise di nuovo, allungando la mano, ma poi vide che ancora con due io tenevo l'asciugamano, così si limitò a farmi un cenno con la testa, che ricambiai alzando gli angoli della bocca.
«Rosalie» dissi solo. Aveva le guance che si bucavano quasi ogni volta che sorrideva: due fossette apparivano in continuazione.
Gli occhi color miele mi sorrisero anche loro. Alzai gli occhi per andare verso il cassetto e prendere dei vestiti puliti.
«Mi dispiace di essere arrivata in un brutto momento, ma solo ora mi hanno detto che avrei dovuto cambiare stanza..» lasciò la frase a metà, pensando che l'avrei continuata, ma mi limitai a scuotere un poco la testa, per farle capire che non c'era nessun problema.
Almeno avrei avuto qualcuno con cui parlare qualche volta.
Aveva sentito quel mio urlo? Sperai con tutto il cuore di no, ma poi pensai che si sarebbe fiondata in bagno, quindi probabilmente era entrata dopo.
Si rifugiò nel wc, per lasciarmi cambiare, così, in fretta e furia, mi misi la biancheria intima e mi infilai dei jeans chiari, accompagnati da un maglione largo.
Provai a pettinarmi i capelli con le dita, ma fu impossibile, così li frizionai un poco con l'asciugamano, prima di rientrare in bagno e prendere la spazzola.
Non li asciugai, come mi era solito fare, e poi ritornai a sedermi sul letto, vedendola intenta a leggere.
La sua fronte aggrottata ritornò alla sua visione normale quando si accorse che ero seduta davanti a lei. In quel momento potei considerarmi come un piccolo automa, non riuscivo a pensare e rimanevo ferma con un pensiero cristallino in testa, che, sapevo, appena si fosse rotto, sarei caduta anche io.
«Da quanto sei qui?» alzò gli occhi dal libro e increspò le labbra. Chiuse ciò che stava leggendo e lo appoggiò dall'altra parte del letto, per darmi attenzione. Non rispose alla mia domanda, ma fece finta che non le avessi chiesto nulla.
«Destra o sinistra?» mi domandò all'improvviso, scrutandomi con quei due occhi grandi, che mi ipnotizzavano tanta era la luce che emanavano.
Erano come due stelle in un cielo cupo, buio, senza torce.
«No, aspetta, cosa?» La guardai storta e mi strinsi nelle spalle, per parere disinteressata, ma volevo capire che cosa intendesse con quella frase.
«Il lato del letto, da che parte ti piace dormire?» Fece un sorriso divertito, il che mi fece di nuovo abbassare gli occhi.
«Mm..sinistra?» Risposi incerta.
Aveva importanza?
Non lo sapevo. Non avendo mai avuto fratelli o sorelle non avevo idea di come fosse dormire con un'altra persona.
Era la prima volta in assoluto. Non ero proprio agitata, ma in me si era depositata la paura di fare figuracce, come quella precedente e di arrivare ad essere presa per pazza, solo perché mi avrebbe sentito urlare alle tre di notte.
Che avrei potuto fare con gli incubi?
Non sapevo neppur quello, perché arrivavano quando meno me l'aspettavo e avevano effetti devastanti su di me e sulla mi psiche.
"Non ci pensare" mi rassicurò la coscienza, ma poi fece spazio nel silenzio che si era creato, uno sbuffo da parte mia, che risvegliò tutte e due.
Lei intanto si era sdraiata e giocava con gli anelli che portava alle dita.
La osservai mentre si toglieva e si rimetteva in tutte le posizioni possibili quei piccoli anellini bianchi.
«Ne vuoi uno?» Mi chiese poi, avendo scorto con la coda dell'occhio il mio continuo fissare incantato verso i movimenti che facevano le sue mani. Erano lunghe e sembravano danzare nell'aria come minuscole ballerine.
«Basta chiedere. Non tengo molto a questo» me ne mostrò uno, che avevo notato rispetto agli altri. Era l'unico color argento, con una pietra, che, a vista, pareva molto un quarzo muschiato. Quando mi fece segno di allungare la mano, mi rifiutai, ma lei si alzò a mi prese il braccio destro. Mi allugò le dita e fece scorrere nel medio il freddo argento, che mi fece venire i brividi. La guardai, vidi piccole venature di colore nero scuro farsi spazio dentro il quarzo.
«Ora dimmi che ti piace, però» mi rivolse un sorriso sincero. Con la bocca ancora semiaperta riuscii a far uscire un sussurro.
«Sei sicura?» le chiesi. Ci conoscevamo da qualche ora e già mi regalava qualcosa?
Era un po' ambiguo il suo comportamento, ma mi ricordai che aveva ammesso che non le piaceva quell'anello, così chiusi il pugno, ma tenni la mano sulla coperta. Annuì e mi fece cenno di scendere. Rimasi seduta sul letto a guardare l'anello, che mi aveva infuso una sensazione strana, come se per la prima volta sentirmi solleticare il dita da qualcosa di non conosciuto fosse come indossare qualcosa di non mio, infatti lo era e cominciai ad abituarmi ad avere un piccolo ferro attorcigliato al dito.
«Scendiamo?» chiese poi, risvegliandomi dal mio sguardo tenuto sulla mano. I miei occhi non si staccarono neanche un secondo dalla visione della pietra, mentre scendevamo le scale, verso la mensa. Erano già le otto e la sala non era piena di studenti.
«El!» sentì urlare una ragazza dietro di noi, che, con il fiatone ed emettendo qualche esorbitante sbuffo, ci raggiunse. Appoggiò la mano sulla spalla di Elle, per riprendere fiato.
«Dove ti cacci, eh? Siamo tutti alla fiaccolata» disse poi, quando riuscì a mettere insieme qualche parola, senza inciamparsi tra le lettere.
«Mangio, poi arrivo. Vieni anche tu Ros?» un piccolo colpetto con una mano mi fece sobbalzare dal pavimento e rimasi un po' stupita di come mi aveva chiamato, eravamo amiche forse?
Lasciai perdere la sua sfacciatezza e feci un sorriso un po' forzato, che successivamente si trasformò in uno vero.
«Non so a che ora sia..» ammisi alla fine, visto che aspettavano pronunciassi parola.
«Ci saranno anche i ragazzi, hai sentito Elijah? Ti doveva parlare mi pare» disse con un cipiglio in viso la ragazza bionda platino. Per essere un'amica di Elle non si somigliavano molto di carattere, non si era neanche presentata.
«A me no. Gli parlo dopo. Lei è la mia compagna di stanza, Rosalie» mi presentò allungando la mano, con fare un po' formale, ma mi piacque comunque, visto che si era accorta che ero in imbarazzo.
«Ah l'amica di Sam, piacere Alexane, ma puoi chiamarmi Alexa» mi allungò la mano, che strinsi con sicurezza.
«Piacere» dissi, con poca timidezza. Mi sorpresi di esser stata così schietta, ma se ero lì anche per far nuove amicizie, chi mi impediva di conoscere qualcuno che non fosse solo la mia compagna di stanza?
«Come fai a sapere che sono amica di Sam?» chiesi e mi stupii di essermi chiamata "amica".
Sam aveva parlato di me? Ero contenta e quasi elettrizzata di esser stata sulla bocca di qualcuno, soprattutto se quel qualcuno era Sam.
«Ne parlava prima, con uno del quinto anno, mi sembra» mi piaceva come con facilità riuscissi ad estrapolare informazioni. Avevo un'affinitá strana con le persone pettegole, anche se la situazione si sarebbe ribaltata se il soggetto della conversazione fossi stata io.
«Ah okay, come vengo alla fiaccolata? Che cosa si farà?» chiesi curiosa: volevo davvero conoscere in precedenza che cosa avrei dovuto portare. Accendere candele in piccole mongolfiere e farle fluttuare nell'aria voleva dire fiaccolata?
«Non c'è problema ti spiego tutto e ti accompagnerò, quindi non ti preoccupare» mi strinse con la mano il braccio destro, in cui mi aveva infilato l'anello. Sentii il ferro ormai accaldato dal mio dito e per la prima volta mi sentii a mio agio, anche se davanti a me c'erano solo sconosciute. Mi sarebbe piaciuto incontrarle prima.
«Ora andiamo sennò non finiamo più di mangiare, a dopo» la salutò con un cenno di mano e aggiunsi un "ciao" che probabilmente non sentì, ma mi misi l'anima in pace. Lei, anzi loro erano state le prime persone gentili che mi avevano trattata come una loro contemporanea.
Si allontanò saltellando, probabilmente in cerca di un'altra persona con cui parlare.
Nella mensa pochi ragazzi erano seduti sui tavoli e non mangiavano, ma erano intenti a guardare i loro telefoni, con i piedi appoggiati sulle sedie e occupando lo spazio dei vassoi con i loro fondoschiena.
Elle mi fece un piccolo sorriso, a cui risposi girandomi verso il tavolo.
Presi un piatto di pasta con zucchine e una fetta di pane. Da quando era arrivata Elle mi ero riuscita a distrarre un po' e le fui davvero grata, anche se sembravo una timidella, nascondevo che la trovassi davvero amichevole e cominciai a pensare che quella scuola non fosse poi così male. Una via mi si era aperta, dovevo imboccarla.
«Sei in seconda, vero?» domandò lei, mangiando un panino al prosciutto, masticando con lentezza.
«Sì, non ho neanche iniziato i programmi..»
«Ma stai tranquilla. Prima capiscono che cosa sai fare, chi sei e poi decideranno a che corso assegnarti» ammise, guardandomi con occhi che traducevano più che interesse. Quella ragazza mi piaceva.
«Quindi per ora sono in una classe intermedia?» ero un po' confusa da quello che aveva ammesso: come potevano i ragazzi avere la possibilità di partecipare a corsi indipendentemente dalla loro decisione? Avevo dato una preferenza per filosofia, ma era stata respinta.
«Dovrebbero averti messa in terza, no?» cominciai a pensare alla targhetta attaccata alla porta della classe, ma per quanto volessi scoprirla, rimaneva offuscata ai miei occhi. A quel punto mi ricordai che Sam era più grande di un anno di me e che non mi ero fatta domande sul fatto che lui fosse in classe con me. Probabilmente la sua compagnia mi aveva estraniato dal mio interesse nello studio.
«A dire la verità non ne ho idea» rise un poco e la seguii a ruota, ma quando smise ritornò un poco seria, ma comunque con sorriso nascosto tra le labbra.
«Quando avrai l'esame?» prese dal fondo del piatto un tovagliolo, per poi portarselo alla bocca.
«La prossima settimana da quanto ho capito» la zucchina ormai aveva perso la vita sotto la mia forchetta, e la lasciai spiaccicata nel bel mezzo del piatto. La spostai un pochino per non darla a vedere.
«Allora potresti cominciare da fisica» che cosa? Quella matematica strana che avevo evitato per anni partecipando ad un corso in cui venivo esiliata da classi del genere?
«Fisica?!» quasi mi misi ad urlare e lei lo trovò molto divertente, quando io invece stavo per strapparmi i capelli.
«Non l'ha mai studiata?» mi domandò con l'acqua che da un momento all'altro le sarebbe uscita dal naso. Stava davvero godendo la mia reazione. Avrei riso anche io al suo posto, dovevo essere talmente spaventata che il tutto, a mensa, era parso estremamente esilarante.
«No!»
«Ti do' i miei libri e appunti così magari fai prima a studiare» a quella proposta mi si illuminarono gli occhi e decisamente il suo viso non nascose una risata che durò poco, ma che si godette fino all'ultimo respiro.
«Oddio Elle grazie, non so come farò» mi presi la testa con le mani, già in ansia.
«Ce l'abbiamo fatta tutti, non sarai esclusa»
«Ma la fiaccolata?» appena mi ricordai della commemorazione gli occhi mi si scurirono e lei non poté nascondere l'espressione interrogativa che le popolò il viso.
«Stasera verrà annunciata la vittima che è morta un paio di giorni fa. Non si sa per certo se sia stato un colpo al cuore o una scarica elettrica presa durante il suo lavoro, ma comunque verrà ricordata» rimasi il più possibile impassibile davanti a quello che stava dicendo. Mi concentrai sul mio cibo e tormentai una fetta di zucchina, che era sul punto si spezzarsi in due.
«È un dipendente? Hai detto lavoro» quell'affermazione le fece aprire esorbitatamente gli le palpebre, ma poi scoprii che non ero stata io a spaventarla, però l'oggetto che era dietro di me.
«Perché sei qui con lei?» esordì una voce alla mia spalla sinistra.
Spalancai anche io gli occhi dopo aver riconosciuto la voce.

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