19. Pietra di Luna

41 4 0
                                    

PIETRA DI LUNA - Questa pietra è dotata di una trasparenza "torbida" che le dá un colore simile a quello della luna di notte, dalla quale poi prende anche il nome. Secondo una leggenda la pietra di luna è nata dall'amore tra la luna e il mare azzurro. Si attribuisce a questa pietra la capacità di stimolare l'inventiva e l'intuito. Nella medicina ayurvedica è utilizzata per vincere l'ansia e lo stress. In cristalloterapia è consigliata per migliorare le capacità intuitive.
Corrispondenza con i chakra: quarto chakra
Significato onirico: pericolo incombente


Con un balzo fuoriuscii dall'oblio che aveva cancellato, strappato via la percezione della gravità.
Avevo deciso di chiudere le palpebre, per non guardare la morte in faccia, per rifugiarmi dentro l'immaginazione da cui potevo attingere una fine migliore.
Mi dipingevo su un quadro di rose, in una bara di vetro, con le mani inermi, appoggiate le une sulle altre, le dita riflesse, bagnate dalla luce del sole, che riacquistano vita, con un raggio, ma sempre fredde come il ghiaccio rimangono. Con i lunghi capelli castani che formano una corona intorno al capo, ricadendo sulla superficie solida della bara intrecciati in piccoli boccoli. Con il capo contro la dura pietra, che però non risente della scomodità della posizione. Con un vestito rosso pastello, che dà colorito alle guance e le labbra marmoree.
Aprii improvvisamente gli occhi: la visione angelica del mio corpo senza vita si era trasformata in un incubo, provocandomi fuochi all'interno del petto e formiche dappertutto. Il risveglio era stato come bere acqua per secondi senza respirare.
Le palpebre non si mossero.
L'improvvisa boccata d'aria interiore era solo servita a riportarmi ad un sogno lucido, che mi divideva dalla realtà con un velo che si rattoppava quando il mio corpo era vicino dal percepire il continuo graffiare delle coperte sul palmo.
Quando afferravo la luce che intravedevo appena socchiudevo gli occhi, subito venivo strattonata e riportata nel mondo dei sogni. Pregavo con tutta me stessa che qualcuno mi tirasse un secchio d'acqua gelata addosso.
Almeno il treno era sparito.
Mentre un altro mi si avvicinava sapevo che ero nella fase in cui più sogni passati e frenetici pensieri s'intrecciano l'uno con l'altro prima di ritornare nel mondo dei vivi. Era sembrato un portale, una via d'uscita, quel binario dorato.
Non sapevo però quale era la meta, la destinazione, o se sarei ancora vissuta dopo essere caduta.
Lasciai che le gambe addormentate riprendessero a sentire sotto di esse quello che con le dita tastavo come un materasso. Mossi un poco il polso e una fitta alla schiena me lo immobilizzò, proprio sopra la superficie ruvida di quella che riconobbi come una coperta. Avevo perso il conto.
Secondo quello che aveva amesso Christopher i giorni erano passati per me come uno e per lui erano sempre stati cinque. Mi tirai uno schiaffo da sola.
Non dovevo lasciare che la mia testa sfiorasse anche solo con la punta dell'unghia quel pazzo.
Le luci erano spente quando uno scossone mi fece aprire improvvisamente gli occhi e le tende accuratamente chiuse.
«Non si sta svegliando.» Esordì una voce, staccandosi dal mio braccio, che era stato mosso così tanto velocemente da far sbattere furiosamente le ossa del gomito.
Cloc.
La cartilagine si infranse.
«È vicina dal farlo.»
«Sono ore che lo ripeti, dimmi la verità: sta morendo?» Piegai le dita dei piedi e, appena ripresa la posizione naturale, flutti di latte mi si posizionarono nelle gambe.
«Ha preso solo una bella botta, si riprenderà.»
«Dimostralo.» Fece lei, che divenne in un batter d'occhio da una voce irriconoscibile e oscurata a quella di Elle.
Sentii uno sbuffo sonoro e poi due dita calde sul collo, che mi fecero deglutire. Una scossa.
«Sta prendendo conoscenza.» Anche quella frase mi rivelò che un'altra voce mascherata si era trasformata in una conosciuta. Sam.
Volevo tirarmi su, ringraziarlo, ma con freddezza. Nessun muscolo mi rispose.
«Che le avete fatto?» Era vicina dall'urlare, lo sentivo nelle poche parole che riusciva a pronunciare senza che si incrinassero. Riprovai a muovere un dito, ma questo emise solo uno sfrigolio.
«Elle, perfavore, lasciaci.»
«La voglio vedere svegliarsi.» Fu pervasa da un singhiozzo inaspettato, infatti, quello che sembrava voler aggiungere- un'imprecazione- le morì tra le labbra e nessuno riuscì a sentirla.
«Allora zitta.» Era ferma, glaciale, spaventosa perché non trapelava nessuna emozione.
La voce di Christopher mi aveva tolto il respiro, ora che gioivo di averlo riacquistato con tanta fatica. Ero pervasa dal calore di persone che avevano mostrato interesse per me e quel cubetto aveva ghiacciato tutto.
«Siete dei mostri!» Sbottò lei e successivamente cadde qualcosa che mi fece spalancare per la seconda volta gli occhi, ma non si chiusero il secondo dopo.
La stanza era quasi buia, solo una lampada al comodino illuminava i volti spettrali di Sam e Elle. Riconobbi il letto matrimoniale e il tappeto bianco della mia suite.
Mi guardai intorno, ma non trovai Christopher.
Elle, stupefatta e con le labbra secche e tagliate- infatti dal continuo colare di sangue all'angolo della bocca immaginai che se lo fosse mordicchiato fino a strappare il lembo di pelle- che tremavano, mi si avvicinò e mi abbracciò, allargando lo spazio tra la mia schiena e il materasso su cui ero premuta. Le sue unghie graffiarono la coperta, ma trovarono le mie scapole e poi le mie spalle. Sentivo il suo seno contro il mio tanto forte mi stava abbracciando, poi un dolore alla schiena mi fece rabbrividire, ma mossi un poco la mano.
Riuscii ad alzare un braccio per toccarle il fianco, niente di più. Le fitte mi prendevano man mano alzavo il gomito. Elle poi si allontanò avendo però prima asciugato le lacrime sul mio maglione.
«No, prego, potete baciarvi ora.» Esclamò Sam, che accompagnò la battuta con una risata cristallina. Elle sbuffò e tirò una gomitata al biondo.
In quel momento vidi un braccio contornato da una maglietta nera carbone fare capolino dall'oscurità e attirarono il mio sguardo due occhi azzurri irraggiungibili. I capelli lasciati cadere dietro il capo incorniciavano il suo volto e gli davano un aspetto più amichevole del solito, se non fosse stato per le labbra ridotte ad una linea sottile e le pupille ritte, immobili, prevenute.
Mi chiesi come fosse possibile che una persona riuscisse ad avere così tanti pezzi di personalità e unicità in solo dieci centimentri di pelle.
Mi guardò dentro per minuti interminabili e calò il silenzio. Le sue labbra si rilassarono poco dopo aver posato lo sguardo sul mio e osservai la loro curva disegnata. Quando rincontrai il suo viso aveva le sopracciglia aggrottate, nella mia direzione. Mi feci piccola piccola e ritornai a scorgere Elle e Sam, che si erano dileguati senza nemmeno un cenno del capo.
Mi sistemai da seduta e con mia grande sorpresa non sentii più nessun dolore, neppure minimo alla colonna e alle gambe. Il latte alle ginocchia era stato bevuto dalle ossa.
Distogliendo lo sguardo non avevo notato che si era avvicinato di qualche centimetro alla spalliera del letto, ai piedi di esso.
Gli fu visibile una piccola scossa di paura appena me ne accorsi, ma non disse nulla e continuai a percepire il suo sguardo addosso, anche se non ne ero completamente sicura.
«Che vuoi.» Pronunciai e mi stupii di me stessa per la fermezza che avevo mantenuto nel dire quelle maledette parole che mi ronzavano in testa.
«Porta via tutte le tue cose. Fai le valigie.» Rimase fermo sul posto, non si scompose. Continuai a guardare gli intrecci dei fili di lana della coperta per pochi secondi e poi alzai il mento, per lanciargli l'ennesimo sguardo di sfida. Perché mi avevano lasciata sola con lui?
Rimasi interdetta.
«No.» Risposi, senza chiedermi il motivo di quel suo obbligo. Non avrei più avuto a che fare con lui.
«Non era una richiesta.»
«Lo avevo capito.» Rialzai lo sguardo e per un millesimo di secondo incontrai i due pezzi acqua nera che temevo.
Mi alzai dal letto, sperando di non cadere davanti ai suoi occhi, ma gli unici fastidi che ebbi ai piedi furono come degli spilli che si conficcarono alla mia pelle delicata man mano che prendevo conoscenza con il pavimento. Un altro passo, altri cinque spilli che mi fasciarono la pianta. Contorsi il viso dal dolore ma glielo nascosi fin quanto potei.
Raccolsi quel male e cercai di abituarmici, convincendomi che non era così doloroso, anzi, piacevole.
Appena provai che sarebbe stato infimo per me, ricominciai a percepire le fitte, che sempre di più, mi pervadevano, lasciando un segno indelebile quando mi bloccavo nel bel mezzo della stanza, per fermare l'impatto straziante e non dar a vedere nulla.
Barcollai un poco, così per mia sicurezza ritornai seduta.
Senza farmi beccare controllai all'interno di una manica del maglione e vidi risplendere il grigio delle perle sul dorso. Coprii ancora di più le braccia, lasciando che le maniche andassero oltre le dita.
«Quelle te le devi togliere.» Mi ammonì lui, che comparve come un sbuffo d'acqua calda al mio fianco. Di scatto mi alzai e ritrovai la posizione eretta appoggiandomi al muro, trattenendo tra i denti che poco si spaccavano, un gemito di dolore.
Spinsi il bottoncino bianco per accendere la luce, così da invitarlo ad andarsene. Con la coda dell'occhio si materializzò la sua figura imponente. Era così alto in confronto a me, mi sentivo ai bassi fondi. Rabbrividii un poco dopo aver pensato di essere inferiore rispetto a lui.
Sulla maglietta lunga lasciavano all'immaginazione tre bottoncini in mezzo al petto, in alto. Erano tutti e tre slacciati.
Prima di accorgermi che lo stavo scrutando come una ballerina fa con le gambe di un'altra, chiedendosi di quanti centimetri sia più magra, spostai lo sguardo in un punto indefinito dietro di lui.
«Di che stai parlando.» Sussurrai col viso nascosto dal braccio. Non avrei mostrato le guance scosse da un rossore di tradimento.
«Delle scarpe, metti un paio più pesante.» Respirai interiormente e mi diedi coraggio, ingoiando la saliva che pretendevo di possedere nelle pieghe della gola, ma ne uscì solo uno schiocco fastidioso, che mascherai muovendo un piede in avanti. Cento spilli me lo trapassarono. Mi morsi il labbro inferiore per non urlare e abbassai la testa, facendo ricadere delle ciocche castane davanti alle gote. Un pizzicorio mi fece muovere di scatto la testa, per spostare i capelli, ma fu inutile, poiché ritornarono da dove avevo provato a liberarmene.
«Perché dovrei?»
«Non sono entusiasta di averti intorno, quindi obbedisci e basta.» Disse con tono pacato, ma al contempo duro e deciso, il che mi fece alzare il viso e pa chioma scivolò sul mio volto fino a toccare le guance e si posò definitivamente sulle spalle.
Lo osservai per qualche secondo e non gli concessi nessuna risposta.
Mi appoggiai al muro con la mano, che piegai, per far aderire il palmo come quello di un geco al soffitto. Non riuscivo più a ragionare: la stanchezza mi stava dando alla testa e per poco collassai per terra.
Nel treno persone dal canto sconosciuto parlavano di addestramento.
«Sei uscita dalla stanza,» rimase fermo, distaccato, avvicinandosi un poco, ma non troppo, tanto quanto da farmi muovere un piede all'indietro, che mandai all'inferno appena si ribellò dalle fitte, indietreggiando. «Samuel ha dato la sua parola d'onore. Ora sono costretto a essere tuo mentore.» Sembrò costargli molto rivelarmi ciò che succedeva, infatti la sua voce si era fatta più temeraria e fredda. Come poteva ancora pretendere qualcosa da me? Ne avevo già abbastanza da tempo, non avrei più seguito i suoi ordini o quelli di nessun altro, avevo chiuso.
«Non ho bisogno di te.» Non volevo in ogni modo essere scortese, anche se avevo tutte le ragioni per poterlo cacciare a imprecazioni fuori dalla stanza.
«Qui non si tratta di necessità.» Mi ammutolii all'istante. Avevo utilizzato le parole sbagliate e mi si sarebbe di sicuro letto il faccia. Stavo arrostendo le guance.
«Ti insegnerò solo ciò che ti serve sapere per controllare quello che sei.» Il suo viso si era addolcito un poco, quasi intravedevo tutto il suo occhio marino, che mi lasciò ferma al mio posto, mentre lui si avvicinava.
«Dài spiegamelo tu, chi sarei?» Tolsi il braccio che mi impediva e bloccava la visuale dei suoi fianchi e appoggiai la spalla al muro, mentre raccoglievo i capelli in una coda. Aggrottò di nuovo le sopracciglia e le pupille sparirono, lasciando una fessura al colore.
Pareva che non avesse idea di che cosa dire o che trovasse quello che avevo appena detto una pazzia. Come se fossi stata la sola.
«Devo scoprire ciò che riesci a provocare, ma sei per me sempre e solo un'ingenua umana.» Mi colpì non il fatto che avrei dovuto stare del tempo con lui, ma come mi aveva riassunta.
Ingenua umana.
Decisamente non mi sarei fatta intenerire da nulla ormai, aveva superato ogni limite che avevo avuto cura in quei secondi di tracciare un po' più lontano, quando mi aveva volto quello sguardo di supplica. Si era pentito di essersi reso più mondano, lo vedevo nelle sue labbra, nel suo naso che dava cenno di arricciarsi e nelle ciglia che sbattevano ripetutamente le une contro altre.
«Visto che tu sei così erudito e alieno, perché non te ne trovi un'altra di umana? Non verrò con te.» Lo guardai dritto nelle pupille e poi distolsi lo sguardo, ma, quando gli passai accanto- e sapevo del rischio che correvo anche solo percorrendo qualche metro, ma non potevo più rimanere in quella stanza con lui, se non se ne fosse uscito con una scusa per andarsene, ovviamente- mi afferrò il braccio. Le sue dita erano tanto roventi quanto gelidi erano i suoi occhi. Trattenni il respiro e sentii il cuore pulsare nella pancia e nel petto, come se fossi in possesso di due. Rimasi immobile, con la mia spalla destra che sfiorava il suo avambraccio. Si voltò verso il mio orecchio e mi stupii di non reagire divincolandomi dalla sua stretta che mi stava bloccando il flusso sanguineo.
«Sei debole,» sentii dei carboni in testa cominciare a bruciare e scontrarsi l'uno contro l'altro, fino a aumentare il calore che giá percepivo intorno a me. Volevo saltargli addosso e prenderlo a schiaffi in quel momento, ma mi limitai a tenere premuto l'interno guancia con i canini. «Impreparata,» strinsi i pugni, ma mi obbligai a rimanere calma fuori, a non far traboccare il vaso già da tempo coperto di buchi e dissanguato.
«I tuoi ricordi sono un qualcosa di più grande di te e, se è per consolarti, anche di me. Dobbiamo collaborare.» Il suo fiato contro il collo mi diede una scossa al petto e le dita cominciarono a tremarmi. Mi morsi per la millesima il labbro, pensando che avesse utilizzato un tono più pacato rispetto al solito, ancora di più di prima.
Ti vuole solo convincere ad andare con lui. Mi dissi, senza pensare ad altro. Viaggiava nel flusso di pensieri solo quella frase, non riuscivo a trovare una risposta.
«No.» La afferrai con due dita e gliela posai sulla spalla, tanto valeva fargli intendere che non volevo più starlo a sentire.
«Non ti biasimo.» Non aveva concluso assolutamente nulla con quella frase. La stretta delle sue dita sul braccio si era ammorbidita e quasi pareva che mi stesse accarezzando ora, vista la differenza di forza impiegata.
«Sembra tutta una pagliacciata.» Rivelai. Mi morsi subito la lingua. Non dovevo parlar d'altro con lui se non me l'avesse chiesto lui esplicitamente. Mi sentii inutile, come aveva ammesso lui.
Le sue dita scesero lungo il mio braccio e per poco non mi diventarono molli le falangi. Il suo fiato impercettibile- a differenza del mio che era diventato pesante e incontrollato, anche se cercavo di racchiudere tappando la bocca e lasciandolo uscire a folate leggere e controllate dalle narici- solleticava la parte alta delle mie orecchie. Mi si accaldarono all'istante. I polpastrelli seguirono il percorso, che ora si era trasformato in interminabile e lento, del mio braccio destro. Arrivato al polso ritirai la mano, ma lui con una mossa fulminea afferrò le mie dita con l'indice e il pollice. Sfilò dal dito medio l'anello di Elle, per poi farlo scorrere di nuovo ma nell'indice. Il contatto con la sua pelle mi fece esplodere qualcosa dentro, che rigettai all'istante da dove si era originato e mi divincolai-per quanto rispondevano i miei muscoli- da lui. Non scorse le perle che rimanevano ancora nascoste dal tessuto elastico del maglione, che contornava in una morsa leggera gran parte della mano.
Guardai le mie dita tremanti a contatto con le sue, irremovibili, decise. Volsi uno sguardo fuggente verso di lui e lo vidi osservare corrucciato un punto impreciso della mia mano.
«Lo senti?» Chiese, spostando poi i suoi occhi celesti verso i miei, che non si erano staccati nemmeno per un secondo dal suo viso.
Con un colpo, quando l'anello si fu riposizionato, una scarica elettrica mi fece piegare in due fino a farmi cadere in ginocchio.
«Una pagliacciata,» tuonò con me ai suoi piedi scossa da fremiti improvvisi per tutto il corpo. «Mi era nuova questa.» Lo sentii ridere e allontanarsi da me prima di sbattere la porta e abbandonarmi ancora più consumata e frantumata che mai.

Stirred UpDove le storie prendono vita. Scoprilo ora