Mattia non capiva dov'era, le immagini avevano acquistato un tono dai contorni sfocati, surreali. Sentiva tanto freddo, voleva la sua mamma. Dov'era la mamma? Non ricordava niente, sentiva solo freddo. Tanto, troppo freddo. Cercò di alzarsi ma il suo corpo non si alzò con lui. Un barlume di lucidità lo riportò alla realtà ma la consapevolezza di cosa stava per succedere non lo fece sentire meglio. Udì dei passi. Sapeva che il suo cuore, se ne avesse avuto ancora uno, avrebbe cominciato a urlare all'impazzata nel petto attorcigliandogli l'intestino e bloccandogli il respiro mentre un urlo silenzioso avrebbe corso dalla testa ai suoi polmoni e poi alle sue labbra, immobili. Gli mancava avere paura, ora si sentiva solo così vuoto, triste. Un rumore di chiavi lo riportò alla realtà, non voleva vedere quello che stava per succedere. Non di nuovo, Non più. Cercò disperatamente di spostare il suo corpo ma niente. Il rumore di chiavi cessò e lui si sentì mancare... fiaccamente si staccò dal suo corpo e si accovacciò in un angolo.
Non voleva vedere, non poteva scappare né difendersi. Non era giusto.
Il signor Brown fece capolino nella stanza. Mattia l'odiava; il suo odore dolciastro, i tre peli radi sulla sua testa, quel sorriso arcigno, il corpo grasso, prepotente, gli occhi piccoli nascosti da due occhiali, occhi crudeli, occhi che lo guardavano , guardavano il suo corpo, in modo malizioso, occhi che gli davano i brividi. La cosa che odiava di più erano le sue mani, mani spudorate, mani che lo tradivano, toccandolo bruciavano ogni parte del suo essere, lo facevano sentire così sporco e lui non capiva.
A otto anni queste cose non si devono capire, non è giusto.
«Come stai Mattia? Oh come sei freddo oggi ahahahah» il signor Brown parlava da solo, le sue parole strascicavano una dopo l'altra. Sembravano strisciare, viscide, quasi a voler rispecchiare la sua persona. Continuò a parlare, ma Mattia non lo stava ascoltando: aveva cominciato ad accarezzarlo. Ora le mani palpavano le sue guance pallide, il suo volto aveva quella bellezza incolore, statica, senza tempo, che solo la morte sa dare.
Brown ne sembrava così attratto e questa sua ripugnante passione si celava dietro la sua perfetta reputazione da medico affettuoso e molto vicino alle famiglie dei malcapitati minori che passavano sotto le sue amorevoli, fin troppo amorevoli, mani.Quel quadretto, in altre circostanze, sarebbe potuto sembrare una scena tipica e rincuorante: un padre che accarezza dolcemente il figlioletto che dorme beato. Ma non lì, non nel freddo silenzio dell'obitorio. E Mattia sapeva cosa sarebbe accaduto dopo. Mentre le mani di Brown scendevano e il suo sorriso, un sorriso malato, saliva, Mattia avrebbe voluto andare via. Avrebbe voluto urlargli di non toccarlo. Non capiva ciò che stava accadendo e non lo voleva.
Ciò che accadde fu un susseguirsi di fatti confusi e resi offuscati dalla sua memoria di bambino innocente, il tempo sembrava non finire mai e lui se ne stava rannicchiato prima con le mani sulla testa urlando, poi, rendendosi conto che nessuno poteva sentirlo, fissando il vuoto cercando di non pensare a ciò che gli stava accadendo a pochi metri. Poi tutto finì. Il signor Brown si rivestì chiudendosi la porta alle spalle, lasciandolo prigioniero di se stesso. Ma Mattia sapeva. Sarebbe tornato il giorno dopo e il giorno dopo ancora e lui non poteva fare niente, poteva solo guardare. Sentiva così freddo. Tanto, troppo, freddo.