Capitolo 12

411 33 16
                                    

Guardarlo mentre saliva sull'auto di mio padre, dopo aver caricato le valigie, fu uno dei dolori più grandi.
Concentrarsi a guardare le linea lasciate sulla ghiaia dalle ruote dell'auto mi aiutava a rendere la situazione meno reale.
Mi sentivo inutile, e stupida.
Seriamente stupida.
Avevo aspettato sei anni per dichiarare un amore malato, ed era finita così, lui che va via, con un idea sbagliata di me, io che lo imploro, io che getto via la mia dignità cosi, per una persona che fondamentalmente non conosco.
Ebbene sì, io non lo conosco.
Non ho mai saputo veramente come lui fosse con le persone estranee, come fosse quando era in giro, come fosse quando voleva rimorchiare.

Me lo immagino li, con quella sua faccia da schiaffi mentre sceglie una ragazza tra le tante che lo venerano e dice due semplici parole per farle sciogliere. Me lo immagino mentre prende l'iniziativa, accarezzandola nei punti giusti, sussurrando parole improponibili al suo orecchio.
Me lo immagino mentre le afferra la mano e la porta a casa sua, in albergo, in spiaggia, in qualunque luogo dove lui possa sentirsi a suo agio, comodo per prendersi da quella ragazza ciò che io con tanti sforzi ho cercato di dargli. Ma lui prontamente non mi ha accettato.
E alla fine mi trovo ad invidiare la ragazza- oggetto di turno, che nei suoi confronti avrà molti più diritti di me.
Si, di me. Di me che lo amo disperatamente.
Lei lo avrà avuto.
Lei avrà diritto di dire che anche solo per una notte lui è stato suo. Che è stato dentro di lei e con lei. Che l'ha baciato, l'ha accarezzato, l'ha ascoltato mentre gemeva essendo essa stessa causa di quei versi.
La sento già ora mentre gongola con le fantomatiche amiche, vantandosi di essersi scopata il tenore milionario.
Già, il mio tenore milionario.
Ma ora non era la classica ragazza-oggetto bionda e sinuosa che mi spaventava.

"Amo un' altra"

Ecco cosa mi spaventava. L'altra.
Chi era? Da dove era uscita?
Le donne oggetto passavano come piogge torrenziali. Brevi e leggere, per poi sparire e non lasciare traccia di se. Erano impronte lasciate sulla sabbia che il mare porta via pochi secondi dopo la loro creazione.
Non rappresentavano un pericolo quelle orme superficiali.
Ma lei, la donna che lui amava, era il temporale, il tifone, la calamità naturale, lo sbaglio irreversibile, l'errore innominabile.
E chi era lei?
Non mi sarebbe mai stato concesso di saperlo.
Chiederlo a mio fratello era fuori discussione. Avrebbe capito.

Sono ancora qui alla mia finestra a rimuginare, a guardare quelle belle linea lasciate dai pneumatici dell'auto di papà.
Non piango.
Sarebbe inutile.
L'anta aperta del mio armadio continua  a provocarmi mettendo in mostra quella foto.
Dovrei toglierla. Ora.
Ora che la rabbia e il rimpianto mi consumano dall'interno.
Ora che il ricordo di lui deve essere estirpato alla radice, ora che il mio cuore soffre e piange, ora che il mio cervello grida contro me stessa, indignato, perché ho ignorato ciò che ogni femmina dovrebbe sapere, ogni donna dovrebbe gridare per difendere la sua dignità. E io l'ho gettata via, ai suoi piedi, implorandolo di amarmi.
Ora dovrei strappare quella foto.

Mi dirigo verso l'armadio.
La foto viene staccata con calma dalle mie stesse mani.
Io sembro solo uno spettatore.
Eh sì, strappare quella foto mi fa sentire come se gli stessi facendo del male.
I piccoli strappi di scotch vengono via con un po di difficoltà e l'immagine è completamente inerme tra le mie mani, così sottile e fragile. Così semplice da distruggere.
La guardo ancora.
Eppure non sei questo granché, grida il mio cervello come se Ignazio potesse sentirmi.
Eppure non sei neppure la metà di mio fratello per quanto riguarda la bellezza.
Eppure non sei nemmeno così bravo a cantare. Mio fratello è molto più  talentuoso.
Eppure i tuoi occhi non sono così espressivi.
Eppure la tua bocca non sembra così dolce.
Poi penso a Marco. Lui mi ama, a lui piaccio per come sono. Con tutti i miei difetti e le mie tragedie interiori. Lui mi ama e basta.
Lui è migliore di te.
Eppure.. Eppure.. Eppure io e te che amo. Si, ti amo.
È non accetto di perderti.
La foto viene rimessa al suo posto dalle stesse mani che l'hanno strappata via.
Non posso..

"Mariagrazia!"
Mi volto con uno scatto nervoso.

"Si?"
La mia voce è molto più funerea di quello che dovrebbe essere.

" facciamo progressi. Sei passata al guardarlo dalla finestra piangente a togliere la sua foto! "

"Di cosa parli, mamma? "
Possibile che abbia capito.

"Tesoro mio, l'abbiamo capito tutti qui in casa, solo tuo fratello ignora tutto. Mi dispiace ma devi capire che non può essere, non può esistere quello che tu vuoi"

Non riesco più a contenermi. Mi sfogo con lei.
"Io non voglio nulla di che" rispondo sofferente, "non voglio niente di irrealizzabile. Non chiedo la pace del mondo, non chiedo l'uguaglianza generale in Iraq, non chiedo la cessazione delle guerre in Siria, ne chiedo che l'Isis smetta di nuocere vittime. Non chiedo che il sole smetta di tramontare. Chiedo soltanto.. Soltanto.. Di essere amata!!"

"Mi dispiace amore mio"

Una lacrima scivolata viene raccolta dalle mani di una madre dispiaciuta e devota.

"Mi dispiace tesoro"

"Tu non sai.. Niente"

"Non devo sapere nulla Mary. So solo che sei innamorata di lui"

Indica la persona nella foto.

"Mary."

Ne segue un grande sospiro. Come se tutto ad un tratto fosse anche solo l'aria intorno a pesare.

"Sta con una ragazza da 6 mesi. Alessandra. Era una storia innocua come sempre, come tutte. Sarebbe finita presto, ma lei.. È rimasta incinta.  "

....
La fine.. Per lui, per me.
Chi può competere contro una nuova vita? Io? No. Non ne ho la forza

You are interesting (il volo)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora