Capitolo 3

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Fremevo ma mi mostravo tranquilla. Tenevo sempre il cellulare connesso e aggiornato e saltavo giù dal divano se solo sentivo una notifica.

'Sei impazzita, staccati da quel cellulare.' mi ripeteva in continuazione la mamma.

'Sta zitta mamma per favore.' e poi mi chiudevo in camera mia ricontrollando nuovamente il cellulare.

Poi eccola, finalmente quella di notifica: la sua. Mi aveva risposto, Christian mi aveva risposto, e non aveva perso poi tutto questo tempo.

'Ehi :)' mi aveva scritto.

Mi tremavano le mani, sorridevo come una stupida. Ero fuori, come solo chi si era persa all'interno di un sorriso sapeva esserlo.

Iniziò cosi la nostra conversazione. Parlammo di tutto e niente e io quasi inconsciamente gli avevo confessato il mio stato d'animo. Gli avevo detto come stavo, cosa provavo e come mi sentiva nella speranza che anche lui lo avrebbe fatto. Ma così non fu. Lui non disse nulla che riguardava lui. Si limitò solo a qualche 'Capito', 'Nulla' e a qualche smile spassionato. Era molto riservato Christian e io mi sentii tanto stupida perché credevo ancora nelle favole. Ma volevo aiutarlo, volevo solo aiutarlo. Stava male lui, glielo si leggeva in faccia ed io volevo solo mostrargli che una persona a cui interessava il suo sorriso c'era, ero io.

La conversazione si interruppe poco dopo. Non era andata esattamente come avevo sperato, ma decisi di passarci su. Ero io d'altronde. Cosa potevo  aspettarmi? Ero un disastro e nessuno avrebbe mai provato interesse per una come me. Ci rinunciai. Decisi che dovevo accantonare Christian insieme a tutte le altre storie impossibile sulle quali avevo fantasticato molto senza mai raggiungere nulla.

Mentre mi masturbavo il cervello con queste cose e combattevo il mio senso di vuoto si era già fatta ora di cena. Era ora di cena e mio padre non era ancora a casa. Era ora di cena e io non avevo ancora finito i miei compiti.

'Hope a tavola! Mangiamo un panino noi.'

Classico. Succedeva sempre cosi, Ma io ero stanca di dover cenare sempre da sola. Perchè mia madre in realtà, anche se diceva 'noi' non cenava mai. Mandai tutto a quel paese e buttai giù due bocconi, poi sentii la porta aprirsi. Era lui, mio padre. Incazzato e ubriaco come sempre. Mi sentì morire dentro. Non ce la facevo, non ancora, non quella sera.

Iniziò la solita scenata, come ogni sera. Presi qualche schiaffo e qualche sgridata e mi chiusi in camera mia. Avevo voglia di morire. Ero sola e non ce la facevo più, così mi misi a letto, come se volessi sfuggire a tutti i problemi semplicemente rifugiandomi  sotto le coperte, esattamente come fanno tutti i bambini quando hanno paura.

La sera sul letto pensavo, pensavo sempre. Era mio solito farlo prima di addormentarmi. Passavo in rassegna i fatti del giorno, le volte in cui avevo fatto bene e quelle in cui potevo fare meglio. Uno ad uno selezionavo i ricordi, piangevo spesso perché ero sola con un mare di emozioni. Farlo mi dava quel senso di tranquillità di quando dici 'ho la coscienza apposto'. Lo stesso senso di spensieratezza di chi sa alla perfezione chi é, chi conosce i propri limiti e le proprie ambizioni. Ma era chiaro che non era cosi. Ed più che palese che quella non ero io. Io ero un miscuglio fra insicurezze e dubbi, tra pianti e rimorsi, e poi segreti logoranti, frasi mai dette e baci mai dati. Ero un'insieme di cose, ma non sapevo neanche io di che cosa ero fatta. Nonostante ciò ogni sera puntualmente intraprendevo il mio viaggio all'interno di me stessa.. chissà, magari un giorno avrei scoperto chi ero. Lo facevo ogni sera, imperterrita, come se qualcosa potesse cambiare solo immaginandola diversa. Lo feci anche quella sera. Dopo un giornata alquanto stressante, in cui il mio istinto primario era stato quello di sparire per circa 6 o 7 volte, finalmente arrivò la sera. Quel giorno avevo trattenuto il pianto e avevo sorriso per troppo tempo e adesso non importava più nulla. Il disordine lo avevo nell'alimentazione, nella testa e nelle relazioni io, poteva rimanere benissimo nella mia camera per un giorno in più tanto chi lo avrebbe visto? 

Mi infilai nel mio letto gelido, come lo ero io stessa da tempo, immobile cercai di trovare un senso a ciò che era successo quel giorno, un nesso con tutto e un motivo valido per rialzarmi l'indomani. Passati in rassegna come in un film tutti i momenti salienti di quel giorno cominciai a vagare nei miei pensieri, cosi, inconsapevolmente. Stavo iniziando un lungo cammino verso la mia ennesima distruzione e non me ne rendevo conto. Se l'avessi saputo forse avrei chiuso gli occhi abbandonandomi ad un sonno profondo cosi da evitare le immediate conseguenze. Mi ritrovai a pensare a ciò che mi aveva segnata, a tutto quello che mi aveva resa tale facendomi perdere tutto e a quello che sarebbe stato il male della mia esistenza: Lui. Pensava a tutto quello che di me ne era stato, all'infanzia venduta tra un lettino d'ospedale o tra delle sbarre gelide. Pensavo che se forse l'avessi abbracciato prima, quando il tempo e le circostanze permettevano, se l'avessi baciato teneramente qualche anno prima tutto sarebbe stato diverso. Se solo avessi provato a parlargli per qualche minuto e se solo da parte sua avessi avuto una minima risposta, se solo questo fosse successo forse si che allora sarei stata felice.

Immaginavo scene su scene, pianti e sorrisi. Vedevo le miriadi di occasioni perse, quelle prese troppo al volo e le centinaia di sbagli. Stavo ponendo la firma sulla mia esistenza, stavo certificando la mia ormai irrimediabile fine. Qualche minuto dopo ebbi la paura di non farcela.

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