Ero stanca, spenta, lacerata dal dolore. Logorata internamente da un dolore che non riuscivo più a tirar fuori. Perchè è vero, poi smetti di urlare che stai male, smetti di parlare con gli altri per raccontare come stai, smetti di crederci che gli altri vorrebbero aiutarti e cominci ad avere la consapevolezza che in realtà se non ti rialzi da sola non cammini più. In realtà non seppi mai perchè quella sera non riuscii a chiedere aiuto, non so perchè decisi di morire da sola, forse perchè irrimediabilmente il dolore ti crea una bolla attorno: puoi urlare per ore, ma la voce non uscirà mai. E io quella sera urlai forse, urlai anche tanto suppongo, ma nessuno mi senti. Come quando in un brutto sogno cerchi di scappare ma non ti si muovono le gambe; come quando cerchi di urlare ma non emetti altro che un filo di voce. Il dolore è questo. Il dolore è nostro e tale vogliamo che rimanga. Noi lo abbiamo e lo custodiamo,lo proteggiamo, lo nascondiamo con un'accanita gelosia. E' nostro e di nessun'altro. Siamo noi a tenerlo dentro e noi a procurarlo.
Il mattino dopo mi svegliai che stavo forse peggio della sera prima. Ero spenta, svogliata, vuota. Mi guardai allo specchio e non riuscii e vedere altro che occhi gonfi, fisico imperfetto e tagli, tagli ovunque. Non ero io. Era inevitabile che quella li non fossi io, io ero morta la sera prima, quella li davanti quello specchio non sapevo chi fosse. Non riconoscevo quel corpo, quegli occhi, quei capelli. Non volevo riconoscerli. Li avevo sempre odiati insieme a tutto il resto che quello specchio rifletteva.
Pensavo,rileggevo quei messaggi e ad ogni parola un frammento di me se ne andava, lento e inesorabile spariva. Perchè non ero adatta a niente? Perchè dovevo essere talmente poco che la mia assenza non sarebbe pesata a nessuno? Perchè non potevo essere solo io? Non bastavo a nessuno, e questo era un dato di fatto. Ed era inutile dar la colpa a tizio o a caio, attribuire qualche dovere alla mia infanzia e al mio essere chiusa. Non era colpa di mio padre o degli amici che mi avevano delusa, era colpa mia, solo colpa mia. Ero diventata quello, un'ammasso di fragilità ed insicurezza. Un fantoccio che piange e sanguina. Ero diventata nulla e quel nulla mi stava uccidendo. L'anoressia nervosa e la bulimia mi stavano indicandola strada della felicità e io, ciecamente, avevo deciso di seguirla. Rimasi a digiuno quel giorno, e a nessuno come sempre importò che io neanche riuscissi a camminare. Era facile cosi, chi se ne sarebbe accorto? Nessuno. Neanche lui, contrariamente alle mie aspettative, quel giorno se ne accorse. Mi tirai su da letto,velocemente mi preparai, misi le cuffie e mi diressi verso scuola come facevo ogni mattina.
'Ciao ma. Ciao pà'. Dissi velocemente.
Piansi lungo la strada mentre la mia canzone preferita mi risuonava nelle orecchie e quando arrivai davanti al bar in cui solitamente io e i miei compagni attendevamo il suono della campana ogni mattina mi stampai un sorriso in viso e finsi di star bene.
'Buongiorno Hope' mi diceva nel frattempo la mia compagna 'Tutto bene oggi?'.
'Giorno a te Megh, si dai ho solo sonno, e tu?' mentii come solo io sapevo fare.
'Si,sono stanca anche io. Ieri ho studiato fino a tarda sera.. oh guarda arriva Marti. Buongiorno!' le disse sorridendo. Ma come faceva ad essere così allegra alle sette e venti di mattina. Io volevo solo sparire, ma sorridevo.
'Buongiorno gioia!' le sussurrai gentilmente io.
'Buongiorno ragazze' rispose la Marti sorridente.
E così via, fino all'arrivo di tre quarti di classe. Poi mi spensi. Lo vidi. Christian era in fondo alla strada e stava andando al bar anche lui. Mi mancò il respiro, e anche lui sembrò alquanto stranito. Mi passò accanto e incrociò il mio sguardo. Mi sorrise, Christian mi sorrise ancora.
Si fermò davanti al bar prima di entrare.
'Ohi Chri entri?' chiese uno dei suoi amici.
'Chri?.. Christian sei tra noi? Ma buongiorno eh?'
'Si eccomi, stavo leggendo un messaggio.' rispose lui quasi sbigottito e mezzo assonnato.
Mi fissò, quasi volesse dirmi qualcosa e poi entrò al bar.
'Cosa fai oggi pomeriggio? Giretto al centro ti va?'
'No,ho un controllo di pomeriggio amico, non posso' gli sentii dire mentre finivo la mia sigaretta e mi dimenavo cercando una scusa per entrare al bar.
Perchè m'aveva aspettata? Cosa voleva da me? Aveva preso la sua colazione e stava al tavolo con i suoi amici ad ascoltarli parlare di calcio mentre pensava a tutt'altro. E non sapeva cosa facesse più male, se sentir parlare loro della cosa più grande che aveva perso per il Cancro o se cercare di capire cosa stesse succedendo.
'Tutto bene fratello?'
'Vacci piano o finirai per mangiarti anche il dito'
Risero tutti, e anche lui. Poi entrai io.
'Un caffè macchiato e un bicchiere d'acqua grazie' Ordinai sorridendo,poi mi misi a scherzare con il banconista.
'Tazza caldissima signorina?' Ironizzò lui.
'No,non scherziamo ieri stavo per andare al reparto ustioni' risposi io.Poi sorridemmo, un po tutti li dentro e anche Christian lo fece, ma probabilmente per altro. Sorseggiai il mio caffè fingendo un sorriso e lui finì il suo cornetto perso nel vuoto. Eravamo spalle a spalle.Due anime uguali che vanno in direzione diversa. Così fu. Io uscìi a fumare finito il caffè e lui per un'attimo mi seguì, chissà perchè, ma io mi ero già persa tra le mie compagne e tra le chiacchiere con la mia migliore amica.
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Come Carta
Teen FictionQuando tocchi il fondo e non sai più risalire improvvisamente la vita ti cambia le carte in tavola. Quando credi di non avere più una via d'uscita di botto arriva un sorriso a stravolgerti la giornata, e con lei la vita. Hope e Christian, due facce...