Chocolate

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Robert aveva sempre vissuto nella calda Australia, adesso a New York le temperature erano diverse. Il sole era come se non esistesse e già a Novembre poteva dirsi che fosse in inverno inoltrato mentre lui a Sydney la vigilia di capodanno portava le maniche corte. Il vero problema con quella temperatura era che gli piaceva, non sarebbe voluto tornare a casa sua. Ormai lì a New York si era costruito una sua quotidianità, che praticamente non era altro che stare chiuso in quel lurido pub dalla mattina alla sera. Non capiva perché doveva starci anche la mattina visto che di solito non ci andava mai nessuno, solo che il boss voleva così e lui aveva bisogno dello stipendio. La sua quotidianità era anche tornare in quel monolocale ogni sera e non trovare nulla da mangiare.

Il suo giorno libero gli piaceva passarlo fuori, per le strade di New York. Nessuno sapeva quello che faceva, non avrebbe saputo spiegare perché stava sempre fuori a girare la grande mela. In fondo Luke la conosceva non c'era bisogno che la continuasse a visitare, ma Robert no. L'unico piccolissimo particolare era che i "suoi amici" non sapevano che lui e Luke non fossero la stessa persona, bensì due ragazzi con i tratti uguali. Il che era anche inquietante, ma ormai entrambi ci avevano fatto l'abitudine. Certo non era una cosa da raccontare ai quattro venti "Ehi esiste un tipo che ha la mia stessa faccia" se avessero mai detto questa frase, la loro vita si sarebbe conclusa dentro le quattro mura di un qualche istituto psichiatrico. Le uniche persone che dovevano sapere quello che stava succedendo erano Luke Hemmings e Robert Clifford. Aveva già organizzato un piano per prendere l'aereo e tornare ognuno a casa propria. Luke avrebbe detto a Karen che aveva una gita di un giorno. Robert invece avrebbe dovuto inventarsi una scusa plausibile da dire a Brendon. Non dormiva la notte per capire cosa dirgli, una scusa che spiegasse la sua assenza per circa ventiquattro ore. Ovvero la durata del viaggio. Più giorni passavano più spesso si chiedeva cosa gli fosse passato per la testa quando aveva fatto quella scommessa con Luke. Non si era pentito di aver vissuto per quei mesi a New York, solo che non voleva tornare a casa. Teneva alla sua quotidianità e si era particolarmente affezionato a Gwen, con Brendon e gli altri stava bene ma quando era con lei sentiva qualcosa di molto simile alla felicità. Non aveva mai conosciuto persone come lei, aveva una particolare luce dentro di lei che faceva sembrare tutto quello che gli stava attorno bellissimo. Avevano passato una serata in una vecchia rosticceria malandata, eppure lei era così entusiasta di poter sedere nelle sedie "troppo stile anni sessanta" , a detta sua, che era impossibile non essere felici. Il mangiare faceva schifo in realtà e li aveva tenuti incollati al gabinetto per due giorni, ma lei ci rideva sopra.

Robert cacciò le sue mani dentro le tasche per prendere il cellulare e cercare notizie su quello che stava succedendo a Sydney. Notò che qualcuno lo aveva intasato di messaggi. Il mittente era Gwen e tutti messaggi dicevano che c'era qualcosa di urgente che doveva dirgli. Appena iniziò a digitare il numero, il suo nome comparve a caratteri cubitali sul display. –Gwen!- disse allarmato, bloccandosi nel mezzo del marciapiedi. –Dove sei?- gli chiese dall'altra parte. –In giro-
-Devi subito venire a casa mia!-
-Non so dove abi- non ebbe il tempo di continuare la frase, che iniziò a descriverle dove abitava per poi chiudere subito. Rimase qualche secondo con il cellulare incollato all'orecchio e l'espressione turbata.

Bene. Non aveva la più pallida di dove si trovasse. Sperava di aver indovinato il posto, aveva seguito quello che aveva capito delle indicazioni che le aveva dato. Adesso si ritrovava davanti a un parco, di fronte si stagliava un palazzo enorme che faceva quasi paura. Il contrasto tra il verde dell'erba e il grigio dell'edificio era fastidioso. Guardò per un'ultima volta le indicazioni stradali, per poi attraversare la strada, finendo davanti alla porta rossa della palazzina di Gwen. Le mandò un messaggio chiedendole di aprire e poco dopo scattò la serratura automatica. Ultimo piano. Doveva costarle un occhio della testa quell'appartamento, non c'era un portinaio ma l'entrata era abbastanza larga. Il pavimento in mattonelle lucide bianche e le mura rosse come la porta. L'ascensore era minaccioso per Robert. Lui odiava gli spazi angusti e non sarebbe mai salito su quell'aggeggio, soprattutto se non c'erano altro che delle grate di acciaio a costruirlo. Le opzioni quindi erano due, salire al sesto piano a piedi o tornarsene a casa. Sei piani dopo capì che forse era meglio andarsene. Suonò all'unica porta che c'era su quel piano e aspettò pazientemente.
Adesso Robert sarebbe potuto aspettarsi di tutto. Gwen era imprevedibile e il fatto che l'avesse chiamato all'improvviso per farlo venire a casa sua, la diceva lunga. Ma da lei si sarebbe aspettato questo o un colore di capelli diversi. Quando però aprì la porta e la trovò trafelata con una bambina imbraccio, capì che forse quella ragazza non avrebbe mai smesso di lasciarlo a bocca aperta. –Entra su- disse sistemando meglio la bambina accovacciata sul suo petto. –Lei chi è? Tua sorella?- chiese. Non c'erano altre spiegazioni, quella piccoletta era sua sorella. –Mia figlia- rispose lei tranquillamente, senza prestare troppa attenzione allo stupore che tradiva la voce del biondo. Adesso capiva perché se l'era presa tanto quando le aveva detto quelle parole al pub. Il coraggio di Gwen faceva paura al biondino. Lui probabilmente non sarebbe riuscito ad avere la sua forza nemmeno in tre vite messe insieme. –Dai Luke! Vieni in cucina.- attraversò l'entrata che fungeva anche da salotto e raggiunse la cucina, dove c'era un seggiolone rosa su cui era seduta la piccola. –Come si chiama?- chiese avvicinandosi. –Riley. Piccola lui è Luke e oggi starà con te per qualche ora- Robert rise di gusto, per poi voltarsi verso l'amica che lo guardava seria. Aveva prestato talmente attenzione alla bambina, che non si era reso conto che adesso Gwen aveva i capelli di un blu accecante che sfumava verso il verde acqua. –Mi hanno chiesto una mano all'università, non sapevo chi chiamare e ho pensato a te- Robert la vide togliersi la maglietta lasciando le spalle nude, per poi dirigersi verso il bagno e accendere il getto dell'acqua. –Non è un problema, vero? Oggi è il tuo giorno libero quindi ho pensato-
-No no, okay, nessun problema.- eccome se era un problema. Lui proprio con i bambini non ci sapeva fare, con lui o piangevano o si ferivano gravemente. Questo di certo non poteva dirlo a Gwen, doveva fargli un solo favore e cercare di non urtare in alcun modo quel confetto rosa che era sua figlia. Si girò verso lei sorridendo, Riley incurvò la bocca verso il basso e i suoi occhi verdi iniziarono a riempirsi di lacrime. –Nonono- gli posò le mani sulla superficie e iniziò a giocare con le chiavi. La bimba rise, iniziando a giocare con lui. –Vedo che avete fatto amicizia- .

Il posto dei santi; MukeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora