Milkovichs fucking needs Gallaghers

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Era strano.
Mickey cercava di convincersi in continuazione che fosse Ian che avesse bisogno di lui; per le medicine, per il bipolarismo, per le crisi, per continuare a vivere come una persona normale. E Ian pensava la stessa cosa.
Ma quello che aveva più bisogno dell'altro era Mickey. Aveva bisogno di aggrapparsi agli occhi verdi di Ian, di trovarci il suo appoggio, il suo consenso. Aveva bisogno di averlo vicino. Anche solo il fatto che fosse nella stessa stanza con lui cambiava ogni cosa. Il suo corpo lo cercava, così come il suo sguardo.
E tutto andava fottutamente bene, finchè Ian era lì con lui. Quando sapeva che sarebbe tornato in casa Milkovich blaterando di qualcosa di estremamente bizzarro che era successo dai Gallagher o di qualche nuova persona conosciuta per strada. Quando sapeva che si sarebbe svegliato con lui che gli cingeva i fianchi e che avrebbe potuto sentire il suo respiro, caldo e rilassato, sulla spalla. Quando lo aiutava a capire cosa avrebbe dovuto fare con Yevgeny e gli ricordava, semplicemente rivolgendo a quel bambino quello sguardo pieno d'amore, che non era colpa sua se era nato dai uno dei ricordi più fottutamente spaventosi e tormentati di Mickey.
Quando c'era Ian tutto era perfetto.
Ma Ian se ne era andato da qualche giorno e la serenità in casa Milkovich era andata a farsi fottere.
Yevgeny non aveva mai visto suo padre così prima d'ora. Passava da una stanza all'altra incapace di stare fermo, una sigaretta sempre accesa tra le dita e il cellulare costantemente in mano nella speranza che Ian lo chiamasse o già appoggiato all'orecchio che ascoltava il suono vuoto nell'attesa di una risposta che non sarebbe arrivata.
Sua madre diceva che se lo sarebbero dovuti aspettare, che "Pel di Carota" era così, che lo aveva già fatto in passato. Yev non aveva capito bene, ma c'entravano le medicine che prendeva tutte le mattine per il bipoqualcosa.
-Papà Ian tornerà a casa, vero mamma?- Chiese Yev rivolto alla madre seduto sul divano con un sospiro. Ormai non si faceva vedere da due giorni e le occhiaie di suo padre erano sempre più scure e pesanti, in netto contrasto con la sua pelle chiara.
-Lui ama tu e tuo padre. Lui ha impazzito, ma torna sempre.- Gli rispose lei cercando di sorridergli.
Yev voleva che Ian tornasse, gli mancava, non solo perchè lo accompagnava a scuola la mattina mentre suo padre era ancora addormentato nel letto, o perchè era un ottimo costruttore di fortini fatti di cuscini e lenzuola, ma perchè sapeva e vedeva quanto ne avesse bisogno la sua famiglia. E non solo Mickey, ma anche Svetlana, che per quanto potesse cercare di fare l'indifferente era palesemente toccata dalla scomparsa del rossino. Casa Milkovich aveva bisogno di Ian semplicemente per funzionare.
Aveva pianto, nascosto nell'armadio della sua stanza per non farsi sentire da nessuno, pensando che forse avrebbe dovuto arrendersi ad una vita senza Ian. Aveva fatto scendere le lacrime fino a che non gli avevano completamente annebbiato la vista, cercando di trattenere le urla di dolore che sentiva rimbombargli nel petto. Non aveva mai pensato che qualcuno della sua famiglia avesse potuto abbandonarlo. Si passò il palmo della mano sugli occhi, e liberandoli dalle lacrime salate decise che non sarebbe stato quello il caso. Ian sarebbe tornato.
Per suo padre. Per lui. Perchè erano la sua famiglia.
Il bambino uscì dall'armadio con gli occhi arrossati e si sedette sul divano, dove suo padre continuava a camminare avanti e indietro col telefono poggiato all'orecchio.
-Cazzo, continua a non rispondere!- Si lamentò Mickey dalla cucina. Yev non aveva contato quante volte sua padre avesse già provato a chiamarlo. Non sapeva arrivare a numeri così alti.
-Deve tornare a casa quel figlio di puttana! Deve prendere le sue cazzo di medicine! Anzi, dobbiamo andare a cambiargliele, evidentemente non vanno più bene, guarda che cazzo combina!- Aveva cominciato di nuovo a parlare a rafica, lo faceva quando era agitato.
-Starà molto male senza?- Chiese ingenuamente Yev guardandolo allungarsi verso un pacchetto di sigarette già quasi finito che poggiava sul tavolino al fianco del posacenere pieno di mozziconi usati.
-Cazzo, sì!- Fu la sua risposta secca di Mickey mentre cercava l'accendino nelle tasche della tuta che aveva indosso già da due giorni.
-Mickey!- Urlò Svetlana comparendo sulla porta della sua stanza rivolgendogli uno sguardo truce. -Ian torna presto. Dopo tutto bene.- Disse poi rivolta a Yev con un mezzo sorriso.
-Ah si?! E se pensando di essere un fottuto pennuto si butta giù dal tetto di qualche cazzo di casa?!- Urlò Mickey agitando le braccia nell'aria. Yev sgranò gli occhi sconcertato. Era davvero possibile che Ian facesse una cosa del genere? Poteva davvero... morire? Questo voleva dire che non sarebbe tornato mai più.
Il bambino sentì le lacrime pizzicargli gli occhi chiari. Questa volta non era sicuro che sarebbe riuscito a frenarle per sfogarsi nell'armadio, da bravo Milkovich.
-Basta! Tu metti paura a Yevgeny.- Lo rimproverò Svetlana avvicinandosi al figlio per accoglierlo in un abbraccio rassicurante.
Mickey sospirò rumorosamente buttando fuori dalle narici del fumo e posò gli occhi su quelli identici del figlio che lo fissavano da sopra le braccia della madre che lo stringeva a se. Quell'azzurro lo colpì allo stomaco, non solo avevano lo stesso colore di quelli che vedeva riflessi nello specchio ogni mattina, ma erano lucidi di lacrime che non sarebbero riusciti a trattenere a lungo, esattamente come i suoi.
Fu in quell'esatto momento che capì che erano una famiglia.
-Ehi campione, scusami, io...- Cominciò Mickey sospirando mentre Yev scioglieva l'abbraccio con la madre per poterlo guardare meglio.
-Tu hai paura che papà stia male.- Finì la frase per lui. Suo padre annuì espirando dell'altro fumo dalle narici mentre socchiudeva gli occhi stanchi e lucidi.
-Perchè?- Chiuse ingenuamente abbassando lo sguardo sul tavolino.
-Deve prendere le sue medicine o va fuori di testa.-
-Ma dopo mangiato o gli viene una brutta diarrea!- Ricordò il bambino cercando di farlo sorridere. Quando alzò la testa per controllare se fosse riuscito nel suo intento notò che l'angolo delle labbra del padre si era leggermente piegato verso l'alto in quello che sembrava un piccolo sorriso. -Hai fottutamente ragione Yev.-
-Ci vuole bene. Io lo so che torna.- Esclamò il bambino annuendo. Era quello in cui aveva deciso di credere, ma Mickey non era così ingenuo, non bastava credere in una cosa perchè questa succedesse.
Svetlana pose lo sguardo torvo nuovamente su Mickey come ad intimarlo di non dire nulla, di lasciare il bambino con le sue speranze e la sua spensieratezza prima di scomparire nella sua camera. Yev aspettò che il padre si sedesse al suo fianco, sul divano, e finse di addormentarsi poggiando la testa sul braccio del genitore volendo lasciargli del tempo da solo, senza abbandonare fisicamente il suo fianco, perchè aveva bisogno di sapere che, qualunque cosa sarebbe successa, aveva qualcuno che non lo avrebbe lasciato solo. Poteva sentire il respiro agitato di Mickey e, a volte, i suoi muscoli tremare dalla rabbia che provava nel non riuscire a trattenere i singhiozzi e le lacrime che lasciava correre libere credendolo assopito.
Coccolato da quella triste nenia probabilmente finì per addormentarsi veramente perchè quando riaprì gli occhi fu solo grazie allo scricchiolio del portone di casa che veniva aperto.
-Non te ne andrai anche tu, vero?- Chiese il bambino stropicciandosi un occhio, rivolto al padre moro che aveva già un piede sul portico.
-No, vado all'Alibi, almeno me lo tolgo dalla fottuta testa per un pò.- Era stata la semplice risposta del genitore.

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