1 capitolo

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Now the door is open,

The world I knew is broken.

With no return.

Now my heart is not scared,

Just knowing that you’re out there.

Watching me.”

-When The Darkness Comes Colbie Caillat

Isabelle non ebbe nemmeno il tempo di accorgersi cosa stesse succedendo che in un solo istante, si ritrovò come per magia, tutta dolorante, sul letto dell’ospedale. Al risveglio, trovò sua madre che piangeva a dirotto, affianco al suo letto e suo padre seduto sulla poltrona, all’angolo della stanza, con la testa fra le mani.

-Mamma..- biascicò. Sua madre Alzò di scatto la testa. –Tesoro!- quasi urlò lei. Il padre si affrettò ad avvicinarsi alla moglie. – Santo cielo! Sei sveglia!-  disse il padre con gli occhi lucidi. Ma era uno solo il pensiero della ragazza -Ian?- chiese con la voce flebile e roca. Improvvisamente, il volto del padre divenne rigido e serio. – Isabelle..- la madre pronunciò il suo nome con la voce tremolante e dispiaciuta. Sul volto della ragazza si dipinse un espressione confusa e perplessa. – Mamma… dov’è Ian?- chiese sapendo già la risposta. Sentì gli occhi pizzicare, come ogni volta che stava per iniziare a piangere. – Tesoro..Ian… non c’è l’ha fatta..- dagli occhi della madre incominciarono a scendere le lacrime. Sentì il mondo che gli crollava addosso. No non è possibile pensava. Ma improvvisamente si ritrovò ad urlare con le guance rigate. Le infermiere accorsero all’istante. Presero una siringa e gliela infilarono nel braccio. Dopo qualche secondo Isabelle cadde in un sonno profondo, mentre le immagini di Ian scorrevano nella sua mente.

-Sei pronta?- chiese Ruby a Isabelle che da almeno due minuti buoni, stava immobile sulla soglia della porta di casa. –Si- rispose decisa con lo sguardo dritto verso il pick up nero dell’amica. Attraversò il vialetto a passo lento quasi facesse fatica ad allontanarsi da casa, dove aveva trascorso le ultime due settimane dall’incidente. Indossava un vestito nero, naturalmente non suo, lei odiava i vestiti, soprattutto quelli con il pizzo e i merletti. Ma questo era diverso. Era morbido, con un nastro viola scuro che la cingeva sotto il seno. Per coprire le spalle, indossava una giacca nera quella che preferiva Ian. Adorava quando Isabelle indossava quella giacca, diceva che gli dava un aria da motociclista. Le scese una lacrima a quel ricordo e si affrettò subito a riasciugarla. Si fermò davanti all’auto. –Isa.. so che sarebbe meglio rimanere a casa e… non pensare a quello che è successo ma…- Ruby si interruppe non sapendo come avrebbe reagito a quello che le stava per dire. –Lui vorrebbe che tu fossi li..-  Isabelle alzò lo sguardo su la sua amica. Gli occhi appannati. –Lo so..- rispose flebilmente. Aprì lo sportello della macchina e salì.

Arrivarono al cimitero che la cerimonia era incominciata ormai. Si sistemarono vicino ai genitori di Isabelle. Non diede ascolto ne anche a una parola del prete o dei discorsi degli altri parenti. Tutto quello che voleva era andarsene al più presto e non dover guardare la bara del proprio ragazzo, sprofondare nella terra. Ma non fu capace di non guardare la lapide su cui vi erano incise in oro delle scritte: IAN PAUL BRENNER  1990 – 2013 AMATISSIMO FIGLIO.  La sua vista incominciò di nuovo ad appannarsi. – Vai tesoro..- sua madre la stava guardando con gli occhi gonfi di lacrime. –C-cosa?- chiese riprendendosi dai suoi pensieri. Improvvisamente si voltò. Tutti i presenti la fissavano in attesa di qualcosa. Si sentì a disagio. – Isabelle vai.. dì qualcosa- sua madre la spinse leggermente dal suo posto per incoraggiarla ad andare sull’altare. Percorse il tratto che la separavano dall’altare a testa bassa. Sentiva tutti gli sguardi dei presenti, come se gli bruciassero addosso. Si ritrovò davanti al microfono. Rimase in silenzio, con il cuore che gli martellava nel petto, così forte che dava l’impressione di esplodere da un momento all’altro. – I-ian … era il mio ragazzo…- sentiva il groppo in gola che gli saliva man mano che parlava. – Lui… si è preso sempre cura di me..e io.. – la sua voce incominciò a tremare. – Io lo amo.. e…- sospirò cercando di non far fuoriuscire nessuna lacrima. Ma fallì. - ..non si meritava di morire così presto..- di nuovo il silenzio e le sue guance ormai rigate. – Mi dispiace… non so cos’altro dire- detto questo, incominciò a correre oltre i parenti. La madre la chiamò cercando di fermarla, ma lei non la degno ne anche di uno sguardo e continuò a scappare.

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