Capitolo 7

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Durante il viaggio nessuno ha aperto bocca. Solo io. Per chiedere di cosa doveva parlarmi Jamison, ma lui ha sempre risposto che mi stava portando in un posto e che tra poco l'avrei scoperto.
Ho abbastanza paura: mi sto pentendo di essere salita.

Dopo circa mezz'ora, dopo aver girato per strade sperdute in mezzo ai boschi, la macchina si ferma davantti a un capannone.
<<È questo quello che dovevo vedere?! Interessante!>> dico a mio fratello con tono ironico.
Lui non risponde, ma la ragazza mi dice di seguirla.
La seguo.
<<Mi chiamo Andreea Haner. Non ti preoccupare, dobbiamo solo parlarti, poi potrai andartene.>>
<<Chi? Con chi devo parlare?>>
<<Ora lo vedrai.>>
Mi fa entrare da una porta controllata da due uomini con un fucile.
All'interno era come una prigione, un corridoio pieno di celle con rinchiuse delle persone.
Se prima avevo paura, ora mi stavo letteralmente cagando addosso.
<<Ma dove mi stai portando?! Voglio tornare indietro! Cosa volete da me?>> dico urlando.
Andreea mi tranquillizza: <<Tranquilla tesoro, non ti vogliamo mettere qua dentro>>, poi, a bassa voce, come se non potessi sentirla, dice <<Per il momento..>>.
All'improvviso in mezzo alle celle riconosco una persona: Deanna.
Così l'avevano rapita davvero. Non era uno dei suoi stupidi scherzi.
Era distrutta, con il trucco tutto rovinato e i capelli scompigliati, i vestiti strappati e sporchi.
Nessuno l'aveva mai vista in questo stato.
<<Chi parla troppo finisce male, vero Deanna?!>> dice Andreea.
Deanna non risponde, ma le scende una lacrima.
L'ho sempre odiata, non avrei mai pensato che un giorno sarei stata triste per lei.
Raggiungiamo un'altra porta. Passiamo tanti corridoi bianchi, e poi ci fermiamo davanti a un'altra grande entrata.
<<Dopo di te, tesoro>> mi dice.
Mi faccio coraggio ed entro.

Era una grande stanza, tutta dipinta di bianco, con un grande tavolo al centro, un sacco di foto e appunti appesi al muro, e una grande poltrona.
Sulla poltrona c'era un uomo sulla quarantina con i capelli neri sparati, gli occhi azzurri, che ti congelano con lo sguardo.
Nella stanza c'erano anche il ragazzo di colore della festa, mio fratello e Andreea era dietro di me.
<<Accomodati pure.>> mi dice l'uomo.
<<Fa come ti dice.>> ribadisce Jamison.
Mi siedo su una sedia davanti al tavolo.
<<Penso tu abbia capito, in un certo senso, quello che vogliamo da te.>>
dice l'uomo.
<<In realtà no. Non l'ho capito. Perché tenete imprigionate tutte quelle persone? Perché anche Dianna? E soprattutto: io cosa c'entro con tutto questo?! >> quasi urlo mentre lo dico.
<<Siamo un'associazione segreta, cosa facciamo, non ti riguarda. Non rapiamo le persone per hobby, diciamo che siamo costretti, quando non fanno quello che gli abbiamo detto di fare. Specialmente detestiamo il fatto che parlano. Parlano, parlano, la gente non smette mai di parlare. Così li facciamo stare zitti noi.>>
<<Fantastico, ma io cosa c'entro?!>>
<<Sappiamo che hai visto qualcosa alla festa, vogliamo essere certi che il messaggio sia arrivato forte e chiaro: non dirai nulla, e ti lasceremo in pace.>>

<<Ora, se vuoi scusarci, abbiamo da fare.>> dice il ragazzo di colore.
Mio fratello mi prende per il braccio e mi porta fuori.

Sto guardando mio fratello con lo sguardo più perso che io abbia mai avuto nella mia vita, non posso credere a tutto quello che ho sentito.
<<Mi dispiace..>>
<<Cosa ti dispiace?! Dimmi che non fai parte di questo gruppo di malati per favore, dimmi che sei qui solo per caso!>>
<<Ne faccio parte Rhiannon, anche papà ne faceva parte, ti prego fai finta di niente e continua per la tua strada.>>
Sono distrutta, non voglio più sentir parlare nessuno. Inizio a correre in mezzo al bosco, in cerca di una strada o di una fermata di un autobus.
Alla fine, dopo circa dieci minuti, trovo una strada e mi fermo a riposare.
Vedo una macchina passare e chiedo aiuto.

Despite all - Nonostante tuttoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora