Il giorno dopo Marianne si alzò alla solita ora; a tutte le domande rispose di sentirsi meglio, e cercò di dimostrare che fosse così, dedicandosi alle sue abituali occupazioni. Ma una giornata passata a rabbrividire davanti al fuoco con un libro in mano, che non riusciva a leggere, o distesa, stanca e apatica, su un divano, non deponeva certo a favore di un miglioramento; e quando, alla fine, andò a letto presto, sempre più indisposta, il Colonnello Brandon si stupì molto della tranquillità della sorella, che, pur avendola assistita e curata per tutto il giorno, contro il volere di Marianne, e costretta a prendere le medicine del caso in serata, era fiduciosa, come Marianne, della certezza e dell'efficacia del sonno, e non nutriva nessun timore concreto. Una notte molto agitata e con la febbre, tuttavia, deluse le aspettative di entrambe; e quando Marianne, dopo aver insistito per alzarsi, ammise di non riuscire a stare in piedi, e tornò volontariamente a letto, Elinor si affrettò a seguire il consiglio di Mrs. Jennings di mandare a chiamare il farmacista dei Palmer. Questi arrivò, esaminò la paziente, e pur incoraggiando Miss Dashwood a sperare che la sorella si sarebbe rimessa in pochissimi giorni, disse che il disturbo era di natura contagiosa e si lasciò sfuggire la parola "infezione", mettendo immediatamente in allarme Mrs. Palmer a causa del bambino. Mrs. Jennings, che fin dall'inizio era stata propensa a credere il disturbo di Marianne più serio di quanto facesse Elinor, si fece molto seria alle parole di Mr. Harris, e giustificando le paure e la cautela di Charlotte, insistette sulla necessità che si allontanasse immediatamente con il bimbo; e Mr. Palmer, anche se considerava superflui quei timori, si rese conto che l'ansia e l'insistenza della moglie erano troppo grandi per opporvisi. La partenza fu quindi decisa e, entro un'ora dall'arrivo di Mr. Harris, lei partì, con il bambino e la balia, per andare a casa di un parente stretto di Mr. Palmer, che abitava a qualche miglio oltre Bath, dove il marito promise, a seguito delle sue fervide suppliche, di raggiungerla in un giorno o due, e dove lei voleva, quasi con altrettanta insistenza, essere accompagnata dalla madre. Mrs. Jennings, però, con una gentilezza d'animo che la fece davvero amare da Elinor, fu irremovibile nella decisione di non volersi muovere da Cleveland fino a quando Marianne fosse ammalata, e di tentare, prendendosi amorevolmente cura di lei, di fare le veci della madre a cui l'aveva tolta; ed Elinor trovò in lei in ogni occasione la compagna più volenterosa e attiva, desiderosa di condividere tutte le sue fatiche, e spesso concretamente utile per la sua maggiore esperienza nel fare da infermiera. La povera Marianne, apatica e spossata per la natura della sua malattia, e sentendosi totalmente inferma, non poteva ancora sperare che l'indomani si sarebbe ripresa; e l'idea di ciò che sarebbe dovuto succedere quel domani, se non fosse stato per quella sfortunata indisposizione, rendeva peggiore qualsiasi malanno; perché in quel giorno avrebbero dovuto cominciare il viaggio di ritorno a casa e, accompagnate per tutto il tragitto da un domestico di Mrs. Jennings, contavano nella mattinata del giorno seguente di fare una sorpresa alla madre. Le poche parole che pronunciò, furono tutte per rammaricarsi di quel ritardo, anche se Elinor cercò di tirarla un po' su, e le fece credere, come lei stessa ancora credeva davvero, che sarebbe stato un ritardo molto breve. Il giorno seguente produsse cambiamenti minimi, o forse nulli, nello stato della paziente; di certo non stava meglio e, salvo l'assenza di un miglioramento, non sembrava peggiorata. La compagnia si ridusse ulteriormente, poiché Mr. Palmer, sebbene molto restio ad andarsene per sincera umanità e bontà d'animo, ma anche per non apparire troppo timoroso della moglie, fu alla fine convinto dal Colonnello Brandon a tener fede alla sua promessa di seguirla; e mentre si stava preparando alla partenza, lo stesso Colonnello Brandon, con uno sforzo di gran lunga maggiore, cominciò anche lui a parlare di andarsene. A quel punto, però, la gentilezza di Mrs. Jennings si intromise nel modo più opportuno; perché mandar via il colonnello mentre la sua amata era così tanto inquieta per le sorti della sorella le avrebbe private entrambe, riteneva, di qualsiasi conforto; e perciò, dicendogli che la sua permanenza a Cleveland le era necessaria, che le sarebbe mancato nella partita serale a picchetto, mentre Miss Dashwood era di sopra con la sorella, ecc., ecc., insistette talmente affinché restasse che lui, accettando di fare ciò che era stato il suo primo desiderio, non poté continuare a fingere di esitare, specialmente perché le preghiere di Mrs. Jennings furono calorosamente assecondate da Mr. Palmer, che sembrava sollevato nel lasciarsi alle spalle una persona così capace di assistere o consigliare Miss Dashwood in qualsiasi emergenza. Marianne fu naturalmente tenuta all'oscuro di tutte queste decisioni. Non sapeva di essere stata la causa dell'allontanamento dei padroni di casa da Cleveland, dopo circa sette giorni dal loro arrivo. Non fu affatto sorpresa di non vedere Mrs. Palmer e, dato che la cosa non la interessava minimamente, non menzionò mai il suo nome. Erano passati due giorni dalla partenza di Mr. Palmer, e la sua situazione continuò, con minimi cambiamenti, a restare la stessa. Mr. Harris, che la veniva a visitare tutti i giorni, parlava ancora baldanzosamente di una pronta guarigione, e Miss Dashwood era ugualmente ottimista; ma le previsioni degli altri non erano per niente così allegre. Mrs. Jennings si era convinta fin dall'inizio che Marianne non ce l'avrebbe fatta, e il Colonnello Brandon, che era soprattutto utile per stare a sentire i foschi presagi di Mrs. Jennings, non era nello stato d'animo adatto a non farsi influenzare da essi. Cercava di ragionare per liberarsi da quelle paure, che il giudizio opposto del farmacista sembrava rendere assurde; ma le tante ore della giornata in cui restava completamente solo, erano troppo favorevoli al sorgere di tutte le idee più malinconiche, e non riusciva a liberare la mente dalla convinzione che non avrebbe più rivisto Marianne. Il mattino del terzo giorno, tuttavia, le fosche previsioni di entrambi furono quasi spazzate via, poiché, non appena arrivato, Mr. Harris affermò che la paziente stava decisamente meglio. Il polso era molto più forte, e tutti i sintomi erano più favorevoli rispetto alla visita precedente. Elinor, che vedeva confermate tutte le sue speranze, era tutta contenta, e gioiva per aver seguito, nelle lettere alla madre, il proprio giudizio anziché quello dei suoi amici, facendo apparire molto lieve l'indisposizione che aveva ritardato la loro partenza da Cleveland; ed era quasi sul punto di stabilire quando Marianne sarebbe stata in grado di viaggiare. Ma la giornata non si concluse così favorevolmente come era cominciata. Vero sera, Marianne ebbe una ricaduta, diventando più oppressa, agitata e sofferente di prima. La sorella, tuttavia, ancora ottimista, era propensa ad attribuire il cambiamento a nulla di più di essersi dovuta alzare per permettere di rifare il letto, e dopo averle somministrato con cura i cordiali prescritti, la vide con soddisfazione sprofondare nel sonno, dal quale si aspettava effetti altamente positivi. Il suo sonno, anche se non così tranquillo come Elinor avrebbe desiderato, ebbe una durata considerevole, e ansiosa di constatarne i risultati di persona, decise di restare seduta accanto a lei per tutto il tempo. Mrs. Jennings, non sapendo nulla di quel cambiamento nella paziente, andò a letto insolitamente presto; la sua cameriera, che era la migliore a fare l'infermiera, riposava nella stanza della governante, ed Elinor rimase da sola con Marianne. Il riposo di quest'ultima divenne sempre più agitato, e la sorella, che controllava con estrema attenzione i suoi continui cambiamenti di posizione, e sentiva i frequenti e indistinti lamenti che le salivano alle labbra, avrebbe quasi desiderato svegliarla da un sonno così penoso, quando Marianne, svegliata all'improvviso da un qualche rumore accidentale nella casa, si tirò su di scatto, e con furia febbricitante gridò, "Mamma è arrivata?"
"Non ancora", rispose l'altra, nascondendo il suo terrore, e aiutando Marianne a rimettersi giù, "ma credo che sarà qui a momenti. C'è molta strada, lo sai, da qui a Barton."
"Ma non deve passare da Londra", gridò Marianne, nella stessa maniera concitata, "non la vedrò mai più, se va a Londra." Elinor, allarmata, si accorse che non era in sé, e mentre tentava di calmarla, le sentì ansiosamente il polso. Era più debole e veloce che mai! e dato che Marianne continuava a farneticare della mamma, l'allarme crebbe così rapidamente da farla decidere di mandare immediatamente a chiamare Mr. Harris, e di inviare subito qualcuno a Barton con un messaggio per la madre. L'idea di consultare il Colonnello Brandon sul mezzo migliore per inoltrare il messaggio, seguì immediatamente la decisione di mandarlo; e non appena ebbe suonato alla cameriera per farsi sostituire accanto alla sorella, si precipitò di sotto in salotto, dove sapeva che l'avrebbe trovato anche in un'ora più avanzata di quella. Non c'era tempo per le esitazioni: le sue paure e le sue difficoltà gli furono immediatamente esposte. Lui non aveva né il coraggio, né abbastanza fiducia per allontanare le sue paure, ma le difficoltà furono superate all'istante, perché con una prontezza tale da far pensare che la situazione e l'intervento fossero già stati previsti, si offrì di andare lui stesso a prendere Mrs. Dashwood. Elinor non fece nessuna resistenza che non fosse facilmente superabile. Lo ringraziò con poche parole, ma con una fervente riconoscenza, e mentre lui mandava di fretta un suo domestico con un messaggio per Mr. Harris, e un ordine per avere subito i cavalli di posta, lei scrisse due righe per la madre. Il conforto di avere in quei momenti un amico come il Colonnello Brandon, un accompagnatore come lui per la madre, con quale gratitudine fu accolto! Un accompagnatore il cui discernimento l'avrebbe guidata, la cui presenza l'avrebbe sollevata, la cui amicizia l'avrebbe potuta tranquillizzare! Per quanto il colpo di una notizia del genere potesse essere attenuato, la sua presenza, i suoi modi, la sua assistenza, l'avrebbe attenuato. Lui, nel frattempo, qualsiasi cosa potesse provare, agì con tutta la freddezza di una mente lucida, organizzò tutto il necessario con la massima rapidità, e calcolò con esattezza il tempo in cui ci si poteva aspettare il suo ritorno. Non un momento andò perduto in ritardi di qualsiasi genere. Arrivarono i cavalli, persino prima del previsto, e il Colonnello Brandon, stringendo semplicemente la mano a Elinor con aria solenne, e con poche parole pronunciate a voce troppo bassa per giungerle all'orecchio, si affrettò in carrozza. Era quasi mezzanotte, ed Elinor tornò nella stanza della sorella per aspettare l'arrivo del farmacista, e per vegliare su di lei per il resto della nottata. Fu una notte di sofferenza quasi uguale per entrambe. Le ore passarono in una pena insonne e nel delirio da parte di Marianne, e nell'ansia più terribile per Elinor, prima dell'arrivo di Mr. Harris. Essendosi risvegliate le sue apprensioni, pagava con il loro eccesso tutta la sicurezza precedente, e la domestica che vegliava insieme a lei, poiché non aveva permesso che fosse chiamata Mrs. Jennings, non faceva che torturarla ancora di più, con allusioni a ciò che la sua padrona aveva sempre pensato. La mente di Marianne era ancora, a intervalli, fissa in modo incoerente sulla madre, e ogniqualvolta ne menzionava il nome, era una stretta al cuore per la povera Elinor, che, rimproverandosi di aver minimizzato tutti quei giorni di malattia, e senza più speranza in un immediato sollievo, immaginava che qualsiasi tentativo fosse ormai inutile, che tutto fosse stato rimandato troppo a lungo, e si raffigurava la madre affranta che arrivava troppo tardi per vedere la figlia tanto amata, o per vederla ancora in sé. Era sul punto di mandare di nuovo a chiamare Mr. Harris, o, se lui non poteva venire, per chiedere il parere di qualcun altro, quando il farmacista - ma non prima delle cinque - arrivò. Il suo parere, tuttavia, lo fece in parte perdonare del ritardo, perché sia pur riconoscendo un cambiamento inaspettato e negativo nella sua paziente, non volle ammettere che ci fosse un rischio concreto, e parlò del sollievo che avrebbe potuto procurare un recente ritrovato, con una fiducia che, in misura minore, si trasmise a Elinor. Promise di tornare nel giro di tre o quattro ore, e lasciò la paziente e la sua ansiosa compagna più calme di come le aveva trovate. Con molto dispiacere, e con molti rimproveri per non essere stata chiamata in loro aiuto, Mrs. Jennings apprese in mattinata ciò che era successo. Le sue preoccupazioni precedenti, ora a maggior ragione rinnovate, non le lasciarono dubbi sugli eventi, e anche se cercò di trasmettere conforto a Elinor, le sue convinzioni sul pericolo che correva la sorella non le permisero di offrire il conforto della speranza. Era davvero profondamente addolorata. Il rapido declino, la prematura morte di una ragazza così giovane, così incantevole come Marianne, avrebbero colpito anche una persona meno vicina. Per la compassione di Mrs. Jennings lei aveva ben altri diritti. Era stata per tre mesi in sua compagnia, era ancora affidata alle sue cure, e si sapeva di come fosse stata gravemente offesa, e a lungo infelice. E inoltre si trovava di fronte al dolore della sorella, la sua favorita; e quanto alla loro madre, quando Mrs. Jennings considerava che Marianne era probabilmente per lei ciò che Charlotte era per lei stessa, la partecipazione alla sua sofferenza era davvero sincera. Mr. Harris fu puntuale nella sua seconda visita; ma le speranze prodotte dalla prima andarono deluse. Le sue medicine avevano fallito, la febbre non era diminuita, e Marianne era solo più tranquilla - non certo più lucida - e rimaneva in un profondo torpore. Elinor, ricacciata in un momento in tutte le sue paure, e anzi più che in tutte, propose di chiedere un altro parere. Ma lui lo riteneva inutile; aveva ancora qualcosa da tentare, un qualche nuovo ritrovato, del cui successo era fiducioso quasi quanto lo era stato per l'altro, e la visita si concluse con incoraggianti rassicurazioni che arrivarono all'orecchio di Miss Dashwood, ma non riuscirono a entrarle nel cuore. Era calma, salvo quando pensava alla madre; ma era quasi senza speranza; e in questo stato continuò fino a mezzogiorno, senza quasi mai muoversi dal letto della sorella, con i pensieri che vagavano da un'immagine di dolore a un'altra, da un amico sofferente a un altro, e con l'animo oppresso oltre ogni dire dalle parole di Mrs. Jennings, che non si era fatta scrupolo di attribuire la gravità e il pericolo di quell'attacco alle molte settimane di sofferenza che l'avevano preceduto, dovute alla delusione subita da Marianne. Elinor si rendeva conto di tutta la ragionevolezza di quell'idea, e ciò alimentava di nuova sofferenza le sue riflessioni. Verso mezzogiorno, tuttavia, cominciò - ma con cautela, con il terrore di una delusione che per qualche tempo la tenne in silenzio, persino con la sua amica - a immaginare, a sperare di aver percepito un leggero miglioramento nel polso della sorella; aspettò, osservò, e lo esaminò più di una volta; e alla fine, con un'agitazione che, rispetto a tutte le angosce precedenti, era ancora più difficile da celare dietro a una calma esteriore, si arrischiò a rivelare le sue speranze. Mrs. Jennings, sebbene costretta, da un attento esame, a riconoscere una temporanea ripresa, cercò di trattenere la sua giovane amica dall'indulgere al pensiero che potesse durare, ed Elinor, che aveva imparato a diffidare di tutto, si costrinse a farlo anche con la speranza. Ma era troppo tardi. La speranza si era già fatta largo, e sentendone tutto l'ansioso palpitare, si chinò sulla sorella per vedere... non sapeva nemmeno lei che cosa. Trascorse una mezzora, e i sintomi favorevoli ancora aleggiavano su di lei. Ce n'erano persino altri a confermare i primi. Il respiro, il colorito, le labbra, tutto induceva Elinor a vedere segni di miglioramento, e Marianne la fissò in volto con uno sguardo consapevole, anche se sfinito. Ora ansia e speranza la opprimevano allo stesso modo, e non le lasciarono un momento di pace fino all'arrivo di Mr. Harris alle quattro, quando le sue rassicurazioni, le sue felicitazioni per una ripresa che andava al di là delle sue aspettative, le donarono fiducia, conforto e lacrime di gioia. Marianne stava sotto ogni aspetto concretamente meglio, e Mr. Harris la dichiarò completamente fuori pericolo. Mrs. Jennings, forse appagata dal fatto che le sue previsioni avevano trovato giustificazione nell'ultimo allarme, si concesse di fidarsi del suo parere, e ammise con gioia genuina, e presto con inequivocabile allegria, la possibilità di una completa guarigione. Elinor non poteva essere allegra. La sua gioia era di genere diverso, e la portava a tutto meno che all'allegria. Il ritorno di Marianne alla vita, alla salute, agli amici e all'amore della madre, era un pensiero che le riempiva il cuore con sensazioni di squisito sollievo, e si espandeva in fervida gratitudine; ma non la portava a esternare né segni di gioia, né parole, né sorrisi. Il petto di Elinor era colmo di soddisfazione, profonda e silenziosa. Continuò a restare accanto alla sorella, con brevi intervalli, per tutto il pomeriggio, calmando ogni paura, soddisfacendo ogni richiesta del suo spirito debilitato, fornendole ogni assistenza, e controllando quasi ogni sguardo e ogni respiro. In qualche momento, naturalmente, il pensiero della possibilità di una ricaduta le rammentava tutta l'angoscia passata, ma quando vide, dopo frequenti e minuziosi esami, che continuavano tutti i sintomi della ripresa, e alle sei vide Marianne sprofondare in un sonno calmo, regolare, e, per quanto si potesse vedere, ristoratore, mise a tacere ogni dubbio. Ormai si avvicinava il momento in cui ci si poteva aspettare il ritorno del Colonnello Brandon. Alle dieci, aveva calcolato, o comunque non molto più tardi, la madre si sarebbe liberata dalla terribile incertezza che l'aveva certamente accompagnata nel viaggio verso di loro. E anche il colonnello! forse non meno da compiangere! Oh! com'era lento lo scorrere del tempo che li teneva ancora nell'ignoranza! Alle sette, dopo aver lasciato Marianne ancora serenamente addormentata, raggiunse Mrs. Jennings in salotto per il tè. A colazione non aveva mangiato molto a causa delle sue paure, e a pranzo a causa dalla loro subitanea trasformazione, e perciò, in quel momento, uno spuntino accompagnato da quei sentimenti di contentezza era particolarmente benvenuto. Mrs. Jennings avrebbe voluto convincerla, un volta finito, a prendersi qualche momento di riposo prima dell'arrivo della madre, e a permettere che lei prendesse il suo posto accanto a Marianne; ma Elinor in quel momento non provava alcun senso di stanchezza, né aveva voglia di dormire, e non voleva restare lontana dalla sorella un momento più del necessario. Mrs. Jennings perciò, dopo averla accompagnata di sopra nella camera della malata, per accertarsi che tutto proseguisse bene, la lasciò lì al suo compito e alle sue riflessioni, e si ritirò nella sua stanza a scrivere lettere e a dormire. La notte era fredda e tempestosa. Il vento ululava intorno alla casa, e la pioggia batteva contro le finestre; ma Elinor, colma di felicità, non ci fece nemmeno caso. Marianne dormiva a dispetto di tutti i tuoni, e i viaggiatori... avevano in serbo una ricca ricompensa per tutti i gli attuali disagi. L'orologio batté le otto. Se fossero state le dieci, Elinor si sarebbe convinta di aver sentito in quel momento una carrozza avvicinarsi alla casa; e talmente forte era la persuasione di averla sentita, nonostante la quasi impossibilità che fossero già arrivati, che si spostò nello spogliatoio adiacente e aprì una finestra, per accertarsi se fosse vero. Vide immediatamente che l'udito non l'aveva ingannata. Si vedeva chiaramente la luce tremolante di una carrozza. In quella luce incerta le parve di poter distinguere che era trainata da quattro cavalli, e questo, mentre indicava l'estrema angoscia della sua povera madre, rendeva anche chiara quell'inaspettata rapidità. Mai in vita sua Elinor aveva trovato così difficile mantenere la calma, come in quel momento. La consapevolezza di ciò che la madre stesse provando mentre la carrozza si fermava alla porta... dei suoi dubbi... del suo spavento... forse della sua disperazione! ... e di ciò che lei aveva da dirle! Sapendo questo era impossibile rimanere calma. Tutto ciò che restava da fare era affrettarsi, e quindi, aspettando solo fino a quando non poté lasciare la cameriera di Mrs. Jennings con la sorella, si precipitò al piano di sotto. Il trambusto nel vestibolo, mentre attraversava un corridoio interno, le diede la certezza che fossero già in casa. Corse in salotto... entrò... e vide soltanto Willoughby.
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Ragione e sentimento - Jane Austen
Classics"Sette anni non basterebbero a fare in modo che certe persone si conoscano l'un l'altra, mentre per altri sette giorni sono più che sufficienti."