Capitolo 31

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Dopo una notte di sonno più lunga di quanto si fosse aspettata, Marianne si svegliò il mattino successivo nello stesso stato di sofferenza in cui aveva chiuso gli occhi. Elinor la incoraggiò il più possibile a parlare di ciò che provava; e prima che fosse pronta la colazione, avevano sviscerato ripetutamente l'argomento; con le stesse ferme convinzioni e affettuosi consigli da parte di Elinor, e gli stessi impetuosi sentimenti e mutamenti di opinione da parte di Marianne, esattamente come prima. Talvolta era indotta a credere Willoughby infelice e innocente quanto lei, e altre volte, rinunciava a qualsivoglia consolazione nell'impossibilità di assolverlo. Un momento era assolutamente indifferente alle opinioni del mondo intero, un altro voleva isolarsene per sempre, e un altro ancora era pronta a resistergli con forza. In una cosa, tuttavia, restava costante, quando si veniva al punto, nell'evitare, per quanto possibile, la presenza di Mrs. Jennings, e nell'osservare un risoluto silenzio quando era obbligata a sopportarla. Il suo cuore si rifiutava ostinatamente di credere che Mrs. Jennings provasse per il suo dolore una qualche partecipazione.
"No, no, no, non può essere", gridava, "non può provarla. La sua gentilezza non è compassione; la sua cordialità non è tenerezza. Tutto ciò che le interessa è il pettegolezzo, e ora ha simpatia per me solo perché glielo fornisco." Elinor non aveva bisogno di queste parole per convincersi di quanto la sorella fosse portata a essere ingiusta verso gli altri, a causa della suscettibile delicatezza del suo animo, e della troppa importanza che attribuiva sia alle finezze di una profonda sensibilità, sia alle sottigliezze di un comportamento raffinato. Come la metà del resto del mondo, se ce n'è una metà a essere intelligente e buona, Marianne, con eccellenti qualità e un'indole altrettanto eccellente, non era né ragionevole né imparziale. Dagli altri si aspettava le stesse opinioni e gli stessi sentimenti che le erano propri, e ne giudicava le ragioni per l'effetto immediato che provocavano nei suoi confronti. Per questo motivo un fatto, accaduto mentre le sorelle erano in camera loro dopo colazione, fece cadere ancora più in basso l'opinione che aveva dei sentimenti di Mrs. Jennings; infatti, a causa della sua fragilità, fu indotta a sperimentare una nuova fonte di sofferenza, benché Mrs. Jennings fosse spinta da un impulso dettato dalla massima benevolenza. Con una lettera nella mano tesa, e un volto atteggiato a un sorriso gioioso, nella convinzione di recare conforto, Mrs. Jennings entrò nella stanza, dicendo, "Ecco, mia cara, vi porto qualcosa che sono certa vi farà bene." Marianne aveva sentito abbastanza. In un attimo la sua immaginazione le mise davanti una lettera di Willoughby, piena di tenerezza e rimorso, che spiegava tutto l'accaduto, in modo adeguato, convincente; e seguita immediatamente dopo dallo stesso Willoughby, che si precipitava con ardore nella stanza per rafforzare, con l'eloquenza del suo sguardo, le rassicurazioni della lettera. Il lavorio di un istante fu distrutto da quello seguente. La calligrafia della madre, mai fino a quel momento così sgradita, era di fronte a lei; e, nell'intensità della delusione che seguiva un'estasi tale da essere più di una speranza, si sentì come se, fino a quell'istante, non avesse mai sofferto. Nemmeno le parole che sarebbe stata in grado di pronunciare nei momenti di più fulgida eloquenza, sarebbero riuscite a descrivere la crudeltà di Mrs. Jennings; e riuscì a rimproverarla solo con le lacrime che le sgorgarono dagli occhi con appassionata violenza; un rimprovero, tuttavia, così interamente sprecato, che la destinataria, dopo molte espressioni di compatimento, si ritirò parlando ancora della consolazione dovuta alla lettera. Ma la lettera, quando fu calma abbastanza da leggerla, recava ben poca consolazione. Willoughby riempiva tutte le pagine. La madre, ancora certa del loro fidanzamento, e fiduciosa con lo stesso calore di sempre nella costanza di lui, era stata solo indotta dall'insistenza di Elinor, a supplicare Marianne di essere più aperta con loro due; e questo insieme a una tale tenerezza verso di lei, a un tale affetto verso Willoughby, e a una tale certezza circa la reciproca felicità futura, che Marianne si straziò nel pianto dall'inizio alla fine. Allora si riaffacciò tutta la sua impazienza di tornare a casa; la madre le era più cara che mai; più cara proprio per l'eccesso della sua fiducia mal riposta in Willoughby; ed era freneticamente impaziente di partire. Elinor, incapace di decidere se per Marianne fosse meglio stare a Londra o a Barton, non offrì altro consiglio che quello di pazientare fino a quando non fossero riuscite a conoscere i desideri della madre; e alla fine ottenne dalla sorella il consenso ad aspettare quella notizia.
Mrs. Jennings le lasciò più presto del solito, poiché non riusciva a trovare pace finché i Middleton e i Palmer non fossero stati in grado di affliggersi quanto lei; e rifiutando con decisione l'offerta di Elinor di accompagnarla, uscì da sola per il resto della mattinata. Elinor, con il cuore pesante, consapevole della pena che stava per comunicare, e accorgendosi dalla lettera a Marianne quanto poco successo avesse avuto nel prepararne una qualche avvisaglia, sedette per scrivere alla madre un resoconto di quanto era successo, e per pregarla di dar loro le sue direttive per il futuro, mentre Marianne, arrivata in salotto quando era uscita Mrs. Jennings, rimaneva immobile al tavolo dove Elinor scriveva, osservando l'avanzamento della penna, rammaricandosi con lei per la difficoltà di un compito del genere, e rammaricandosi ancora di più per gli effetti che avrebbe avuto sulla madre. Così proseguirono per circa un quarto d'ora, quando Marianne, i cui nervi non riuscivano a sopportare un rumore improvviso, sobbalzò a un colpo alla porta.
"Chi può essere?" esclamò Elinor.
"Per giunta così presto! Credevo che fossimo al sicuro." Marianne si avvicinò alla finestra.
"È il Colonnello Brandon!" disse, contrariata.
"Non saremo mai al sicuro da lui."
"Non entrerà, visto che Mrs. Jennings non è in casa."
"Su questo non ci conterei", battendo in ritirata verso la sua stanza.
"Un uomo che non sa come impiegare il proprio tempo non è consapevole di invadere quello degli altri." Il seguito confermò la sua supposizione, per quanto ingiuste e sbagliate ne fossero le basi; perché il Colonnello Brandon entrò, ed Elinor, convinta che a portarlo là fosse stata la sollecitudine per Marianne, e vedendo quella sollecitudine nel suo sguardo turbato e malinconico, e nell'ansia con cui ne chiese brevemente notizia, non poté perdonare la sorella per la scarsa stima che mostrava verso di lui.
"Ho incontrato Mrs. Jennings a Bond-street", disse, dopo i primi convenevoli, "ed è lei che mi ha incoraggiato a venire; e ho accettato l'incoraggiamento con più facilità, in quanto pensavo di trovarvi probabilmente da sola, com'era mio vivo desiderio che fosse. Il mio scopo... il mio desiderio... il mio unico desiderio... spero, credo che sia... è di essere un mezzo per recare conforto; no, non devo dire conforto... non conforto immediato... ma convincimento, un durevole convincimento per l'animo di vostra sorella. Per il mio rispetto per lei, per voi, per vostra madre, mi concederete di dimostrarlo, di riferire alcune circostanze, che nulla se non un rispetto veramente sincero... nulla se non un fervido desiderio di rendermi utile... credo possa giustificarmi... nonostante abbia trascorso così tante ore a convincermi di essere nel giusto, non c'è una qualche ragione per temere che io possa essere in errore?" Si fermò.
"Capisco", disse Elinor. "Avete qualcosa da dirmi su Willoughby, che chiarirà ulteriormente il suo carattere. Parlarne sarà la più grande prova di amicizia che possiate dimostrare per Marianne. Vi assicuro subito la mia gratitudine per qualsiasi informazione che tenda a questo scopo, e la sua verrà col tempo. Vi prego, vi prego ditemi."
"Certo; e, per essere breve, quando lo scorso ottobre lasciai Barton... ma questo non basterà a darvi un'idea... devo tornare più indietro. Mi giudicherete un pessimo narratore, Miss Dashwood; non so proprio da dove cominciare. Dire qualcosa su di me, credo sia necessario, e sarò molto breve. Su un tale argomento", con un sospiro profondo, "ho ben poche tentazioni di dilungarmi." Si fermò un momento per riordinare le idee, e poi, con un altro sospiro, proseguì.
"Voi probabilmente avete completamente dimenticato una conversazione (non c'è ragione di supporre che possa aver catturato la vostra attenzione), una conversazione che abbiamo avuto una sera a Barton Park... era la sera di un ballo... in cui allusi a una signora che un tempo conoscevo, trovando, in qualche misura, una somiglianza con vostra sorella Marianne."
"Ma no", rispose Elinor, "non l'ho dimenticata." Lui sembrò compiaciuto che se ne ricordasse, e aggiunse, "Se l'incertezza, la parzialità di un tenero ricordo non m'inganna, c'è una fortissima somiglianza tra di loro, sia nel fisico che nell'animo. Lo stesso cuore ardente, lo stesso fervore nell'immaginazione e nello spirito. Questa signora era una delle mie parenti più strette, un'orfana fin dall'infanzia, e affidata alla tutela di mio padre. Avevamo quasi la stessa età, e fin dai nostri primi anni fummo compagni di gioco e amici. Non riesco a ricordarmi un tempo in cui non fossi innamorato di Eliza; e il mio affetto per lei, mentre diventavamo adulti, era tale che forse, giudicando dalla mia attuale serietà desolata e priva di allegria, potreste credermi incapace di averlo mai provato. Il suo, per me, era, credo, ardente come l'attaccamento di vostra sorella per Willoughby, e fu, benché per ragioni diverse, non meno sfortunato. A diciassette anni, la persi per sempre. Fu costretta a sposare... a sposare contro la sua volontà, mio fratello. Aveva una fortuna considerevole, e il patrimonio della nostra famiglia era in gran parte ipotecato. E questo, temo, sia tutto ciò che si può dire della condotta di qualcuno che era, allo stesso tempo, zio e tutore. Mio fratello non la meritava; non l'ha mai amata. Io avevo sperato che l'affetto per me potesse assisterla in ogni difficoltà, e per qualche tempo fu così; ma alla fine l'infelicità della sua situazione, poiché sopportò gravi crudeltà, fu più forte della sua fermezza, e sebbene mi avesse promesso che nulla... ma che racconto disordinato è il mio! Non vi ho ancora detto come arrivammo a questo. Mancavano poche ore alla nostra fuga in Scozia. La slealtà, o la stupidità, della cameriera di mia cugina ci tradì. Io fui bandito e mandato a casa di un lontano parente, e a lei non fu permessa nessuna libertà, nessuna compagnia, nessuno svago, finché mio padre non raggiunse lo scopo. Avevo contato troppo sulla sua forza d'animo, e il colpo fu terribile; ma se il suo matrimonio si fosse rivelato felice, giovane com'ero, nel giro di qualche mese mi sarei rassegnato, o almeno non avrei da dolermene adesso. Ma non fu così. Mio fratello non aveva alcun rispetto per lei; la sua soddisfazione non era come avrebbe dovuto essere, e fin dall'inizio la trattò in malo modo. La conseguenza, su una mente così giovane, così vivace, così priva di esperienza come quella di Mrs. Brandon, fu anche troppo naturale. Dapprima si rassegnò a tutta la miseria della situazione; e sarebbe stata una fortuna se non fosse vissuta solo per superare i rimpianti suscitati dal mio ricordo. Ma chi, con un marito del genere a provocarne l'incostanza, e senza un amico che la consigliasse o la frenasse (perché mio padre visse solo per pochi mesi dopo il matrimonio, e io ero col mio reggimento nelle Indie orientali), potrebbe meravigliarsi del suo cedimento? Se fossi rimasto in Inghilterra, forse... ma il mio intento era di promuovere la felicità di entrambi andandomene per alcuni anni, e a quello scopo mi ero procurato l'ingaggio. Il colpo infertomi dal suo matrimonio", proseguì, con voce molto agitata, "fu un'inezia... non fu nulla... rispetto a quello che provai, dopo circa due anni, venendo a conoscenza del suo divorzio. È stato quello a gettarmi in questa desolazione, persino ora il ricordo di quello che ho sofferto..." Non riuscì a dire di più, e alzatosi in fretta camminò per qualche minuto per la stanza. Elinor, commossa dal racconto, e ancora di più dalla sua angoscia, non era in grado di parlare. Lui notò il suo turbamento, le si avvicinò, le prese la mano, gliela strinse, e la baciò con rispettosa gratitudine. Qualche minuto di sforzi silenziosi lo mise in grado di proseguire con compostezza.
"Passarono circa tre anni da quell'infelice evento prima che io tornassi in Inghilterra. Il mio primo pensiero, una volta arrivato, fu naturalmente cercarla; ma la ricerca fu inutile quanto triste. Non riuscii a trovarne le tracce al di là del suo primo seduttore, e c'erano tutte le ragioni per temere che l'avesse lasciato solo per sprofondare ancora di più in una vita di peccato. La rendita assegnatale dalla legge non era adeguata alle sue esigenze, né sufficiente a garantirle un'esistenza confortevole, e seppi da mio fratello che il diritto di incassarla era stato trasferito alcuni mesi prima a un'altra persona. Lui immaginava, e riusciva a immaginarlo in tutta tranquillità, che la sua prodigalità e il bisogno che ne seguiva l'avesse costretta a cederla per un qualche aiuto immediato. Alla fine, tuttavia, e dopo sei mesi che ero in Inghilterra, riuscii a trovarla. La premura per un mio vecchio domestico, che da allora era caduto in disgrazia, mi portò a fargli visita in una casa di reclusione, dove era rinchiuso per debiti; e là, nello stesso posto, in una situazione analoga, c'era la mia sventurata cognata. Così cambiata... così spenta... consumata da terribili sofferenze di ogni genere! a stento riuscii a credere che quella figura triste e malata di fronte a me, fosse ciò che restava della ragazza bella, fiorente, piena di salute, che un tempo avevo amato alla follia. Quello che provai nel vederla così... ma non ho il diritto di ferire i vostri sentimenti tentando di descriverlo... vi ho già fin troppo angosciata. Che fosse, con tutta evidenza, all'ultimo stadio di consunzione, fu... sì, in un situazione del genere fu il mio maggior conforto. La vita non poteva fare più nulla per lei, al di là di permetterle di prepararsi in modo migliore alla morte; e questo le fu concesso. La vidi sistemata in un alloggio confortevole, e con un'assistenza adeguata; le feci visita ogni giorno durante il resto della sua breve vita; ero con lei negli ultimi istanti." Si fermò di nuovo per riprendersi; ed Elinor espresse i propri sentimenti con un'esclamazione di tenera partecipazione per il triste destino della sua sventurata amica.
"Vostra sorella, spero, non si offenderà", disse, "per la somiglianza che ho creduto di cogliere tra lei e la mia povera e disgraziata parente. Il loro destino, la loro sorte non possono essere gli stessi; e se la naturale dolcezza dell'indole dell'una fosse stata protetta da una maggiore fermezza d'animo, o da un matrimonio più felice, avrebbe potuto avere tutto ciò che, vedrete, avrà l'altra. Ma a che cosa conduce tutto questo? Sembra come se vi avessi turbata per nulla. Ah! Miss Dashwood... un argomento come questo... non toccato per quattordici anni... è così pericoloso da maneggiare! Voglio essere più breve, più conciso. Eliza mi affidò la sua unica figlia, una bambina, il frutto della sua prima colpevole relazione, che allora aveva circa tre anni. Amava la figlia, e l'aveva sempre tenuta con sé. Per me era un grande atto di fiducia, prezioso; e l'avrei volentieri adempiuto nel modo più rigoroso, occupandomi personalmente della sua educazione, se la natura della nostra situazione me l'avesse permesso; ma non avevo famiglia, non avevo casa; e la piccola Eliza fu perciò affidata a una scuola. La vedevo ogni volta che mi fosse possibile, e dopo la morte di mio fratello (che avvenne circa cinque anni dopo, e che mi lasciò erede delle proprietà della famiglia) venne a farmi visita di frequente. Dicevo che era una lontana parente; ma so benissimo che tutti sospettavano una relazione molto più stretta con lei. Tre anni fa (al compimento dei quattordici anni) la tolsi da scuola, per affidarla a una donna molto rispettabile, nel Dorsetshire, che si prendeva cura di quattro o cinque ragazze più o meno della stessa età; e per due anni ho avuto tutte le ragioni per considerarmi soddisfatto della sua sistemazione. Ma lo scorso febbraio, quasi un anno fa, scomparve improvvisamente. Le avevo permesso (imprudentemente, come poi si rivelò), per suo ardente desiderio, di andare a Bath con una delle sue giovani amiche, che accompagnava là il padre per motivi di salute. Lo conoscevo come uomo perbene, e avevo una buona opinione della figlia... migliore di quanto meritasse, perché, con un riserbo ostinato e stupido, la ragazza non volle dire nulla, non rivelò nessun indizio, anche se certamente sapeva tutto. Lui, il padre, un uomo ben intenzionato, ma non certo perspicace, non era in grado realmente, credo, di fornirmi nessuna informazione, poiché era rimasto generalmente confinato in casa, mentre le ragazze se ne andavano in giro in città facendo le conoscenze che preferivano; e cercò di convincermi, com'era convinto lui stesso, che la figlia fosse completamente all'oscuro della faccenda. In breve, non riuscii ad avere altre notizie oltre al fatto che era scappata; tutto il resto, per otto lunghi mesi, restò nel campo delle ipotesi. I miei pensieri, le mie paure, si possono immaginare; e anche ciò che ho sofferto."
"Santo cielo!" esclamò Elinor, "poteva essere... poteva essere Willoughby!"
"Le prime notizie di lei che mi arrivarono", proseguì lui, "erano in una sua lettera, lo scorso ottobre. Mi era stata inoltrata da Delaford, e la ricevetti il giorno in cui avevamo deciso di fare la gita a Whitwell; e questa è stata la ragione della mia partenza così improvvisa da Barton, che ne sono certo dovette apparire a tutti molto strana, e che credo abbia offeso qualcuno. Presumo che Mr. Willoughby non immaginasse, quando i suoi sguardi mi rimproveravano per la maleducazione di mandare a monte la gita, che ero stato chiamato altrove per aiutare una persona che lui stesso aveva reso infelice e sventurata; ma se l'avesse saputo, a che sarebbe servito? Sarebbe stato meno allegro o meno felice nel dispensare sorrisi a vostra sorella? No, aveva già fatto ciò che nessun uomo, capace di provare sentimenti verso gli altri, avrebbe mai fatto. Aveva lasciato una ragazza, la cui giovinezza e innocenza erano state sedotte da lui, in una situazione di estrema disperazione, senza una casa dignitosa, senza nessuna speranza, né amici, ignara di dove trovarlo! L'aveva lasciata promettendole di tornare; non tornò, né scrisse, né la soccorse."
"Questo va al di là di ogni immaginazione!" esclamò Elinor.
"Ora il suo carattere è di fronte a voi; spendaccione, dissipato, e ancora peggio. Sapendo tutto questo, come lo sapevo ormai da molte settimane, immaginate che cosa devo aver provato vedendo vostra sorella innamorata di lui come prima, e con la certezza che stesse per sposarlo; immaginate che cosa devo aver provato per tutte voi. Quando sono venuto la settimana scorsa e vi ho trovata da sola, ero deciso a sapere la verità; nonostante fossi indeciso sul da farsi quando l'avessi saputa. Il mio comportamento deve esservi sembrato strano in quel momento; ma ora potete comprenderlo. Sapervi tutte così ingannate; vedere vostra sorella... ma che cosa potevo fare? Non avevo nessuna speranza che il mio intervento potesse avere successo; e talvolta ho pensato che l'influenza di vostra sorella potesse redimerlo. Ma ora, dopo un trattamento così disonorevole, chi può dire quali fossero i suoi piani con lei. Quali che fossero, comunque, lei ora può, e da qui in avanti certamente potrà, guardare con gratitudine alla propria condizione, se la confronta con quella della mia povera Eliza, se considera la situazione disgraziata e senza speranza di quella povera ragazza, e prova a immaginarsela, con un affetto così forte per lui, ancora forte come il suo, e con l'animo tormentato dal rimorso, che l'accompagnerà per tutta la vita. Sicuramente il confronto le sarà utile. Si accorgerà che le sue sofferenze sono nulla, perché non derivano da una cattiva condotta, e non possono causare nessun disonore. Al contrario, ogni amico le sarà ancora più amico per questo. Il dispiacere per la sua infelicità, e il rispetto per la sua forza d'animo nel sopportarla, rafforzeranno ogni tipo di affetto. Comunque, fate a vostra discrezione nell'informarla delle cose che vi ho detto. Sapete meglio di me l'effetto che avranno; ma se non avessi creduto seriamente, e con tutto il cuore, che potesse essere utile, che potesse alleviare i suoi rimpianti, non mi sarei permesso di importunarvi con la storia delle mie disgrazie familiari, con un racconto che poteva sembrare inteso a esaltare me stesso a spese di altri." A questo discorso seguirono i fervidi ringraziamenti di Elinor; accompagnati anche dall'assicurazione che lei stessa si aspettava un concreto vantaggio per Marianne, da ciò che era stato detto.
"Sono rimasta più addolorata", disse, "dai suoi tentativi di giustificarlo che da tutto il resto; è qualcosa che mi irrita più di quanto possa fare l'assoluta convinzione circa la sua indegnità. Adesso, anche se dapprima ne soffrirà molto, sono certa che presto ne sarà sollevata. Avete mai visto Willoughby", proseguì, dopo un breve silenzio, "da quando l'avete lasciato a Barton?"
"Sì", rispose lui serio, "una volta. Un incontro era inevitabile." Elinor, colpita dal suo modo di parlare, lo guardò con ansia, dicendo, "Che cosa? l'avete incontrato per..."
"Non potevo incontrarlo in nessun altro modo. Eliza mi aveva confessato, anche se con riluttanza, il nome del suo amante; e quando è tornato in città, un paio di settimane dopo di me, ci siamo dati appuntamento, lui per difendere, io per punire la sua condotta. Siamo tornai illesi, e l'incontro, perciò, non è diventato di dominio pubblico." Elinor sospirò per quell'assurda necessità; ma di fronte a un uomo e a un soldato, ritenne opportuno non biasimarla.
"Questa", disse il Colonnello Brandon, dopo una pausa, "è stata l'infelice affinità tra la sorte della madre e della figlia! e il modo imperfetto con cui ho adempiuto alla fiducia riposta in me!"
"Lei è ancora in città?"
"No; non appena si è ristabilita, dato che l'ho trovata vicina al parto, ho portato lei e il bambino in campagna, e là è rimasta." Rendendosi conto, subito dopo, che stava probabilmente tenendo lontana Elinor dalla sorella, mise fine alla visita, ricevendo di nuovo le stesse attestazioni di gratitudine, e lasciandola piena di compassione e stima nei suoi confronti.

Ragione e sentimento - Jane AustenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora