16 capitolo

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Aidan, d'istinto, si alzò e fece per inseguire la bambina in fuga. Ma, prima che potesse voltare l'angolo del corridoio, l'aveva già persa di vista e un tonfo richiamò la sua attenzione. Alec si contorceva, provando a mettersi in piedi, dentro una pozza di sangue. Si girò e tornò indietro. Si chinò sul ragazzo, gli scostò i corti capelli biondi dalla fronte.

"Adesso ci penso io a te", sussurrò, prendendolo tra le braccia. Il braccio sinistro, ancora sofferente tremò, sotto il suo peso. Lo riportò nella stanza, lo adagiò sul letto e gli sfiorò lo zigomo con le labbra: sentì che era più caldo, che la febbre stava salendo. Sembrava incosciente, ma quando fece per andarsene Alec si lamentò e lo afferrò per un braccio. Aidan si liberò dalla sua stretta e la mano pallida ricadde sul materasso.

"Sto tornando, va bene?" Sussurrò, affatto convinto che potesse sentirlo. Poi, a malincuore, gli diede le spalle e si voltò, esausto alla prospettiva di trascinare i corpi fuori dall'ospedale.

S'indirizzò verso il primo, l'ultimo a morire. Sangue e ciò che rimaneva del suo cervello spappolato ricoprivano il muro contro cui era mollemente riverso. L'afferrò per i polsi, lo girò sulla schiena e fece per trascinarlo verso l'uscita.

Fuori, c'era freddo e la neve iniziava a ricoprire ogni cosa. Trascinò il cadavere fino alla recinzione, dopo di che si appoggiò a questa, la schiena dolorante, il sudore negli occhi e la stanchezza che gli piombava addosso tutta in una volta dopo la scarica di adrenalina.

Oltre la recinzione poteva vederli, qualche metro più in là, Asher e Liam che se ne andavano. Asher zoppicava vistosamente e il padre gli si avvicinò a sostenerlo. Aidan sentì una fitta, un dolore sordo, guardando l'uomo che gli dava le spalle e se ne andava, per sempre, via dalla sua vita. Tuttavia, dove quasi sperava comparisse la rabbia, una rabbia cieca, l'odio per essere stato tradito, vi ritrovò solo dolore e rammarico.

"Buona fortuna, Liam", sussurrò, tra sé e sé, reprimendo le lacrime, trattenendo il fiato per qualche attimo. Poi, ritornò dentro, intento a trascinare fuori gli altri cadaveri.

La donna stava tornando. Tentava di mettersi in piedi, ma le mani scivolavano nel suo stesso sangue. Aidan estrasse la pistola dalla fondina, e la riposò. Guardò senza intervenire la donna riuscire a rimettersi in piedi e le si mise di fianco, poggiandole una mano contro la schiena ricurva.

"Presto sarà tutto finito", le sussurrò, mentre la indirizzava verso l'esterno. Lei camminava, il passo incerto delle gambe morte. "Te lo prometto, presto sarà tutto finito."

L'accompagnò fuori, ma non la finì. Qualcosa glielo impedì. Aidan aprì con fatica i cancelli della recinsione e ce la spinse fuori. Poi, prima che potesse richiudere, sentì altri gemiti di morto dietro di lui: gli altri due medici erano usciti dall'ospedale e lo guardavano, gli occhi ciechi.

Aidan richiuse il cancello alle loro spalle e si permise di cedere, per un attimo. Si sedette sul terreno gelido, a guardare i fiocchi di neve cadere intorno a lui, si coprì il volto con le mani e pianse.

Sarebbe anche potuto rimanere lì fuori, al freddo, a morire pian piano. Era già così pronto, a morire.

Fu lei, a salvarlo.

"Cosa sei tu?" Gli chiese la bambina, avvicinandoglisi. Non sembrava più temerlo, come se il vederlo piangere significasse che anche lui in fondo era umano come lei. Aidan si scoprì il viso e sorrise, le lacrime che continuavano a scendergli dagli occhi scuri, ubriache e confuse.

"Sono un sopravvissuto", rispose. "E tu chi sei?"

"Jody", disse la piccola.

*

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