2. Camilla

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Accertate di non avere ferite o altro, ritorniamo alla ricerca di un posto dove parcheggiare.

«Ehi, Guarda!» grido, «quel tizio sta uscendo!»

Lily si fionda sul posto riuscendo finalmente a trovare posto. Dopo aver parcheggiato e dopo esserci date una controllatina di abiti, trucco e parrucco, corriamo all'interno dell'accademia, in cerca del teatro.

«Lily, hai almeno la vaga idea di dove tu stia andando?» grido seguendola.

«Se cercate il teatro, è al secondo piano!» urla il portiere.
È così evidente che siamo nuove matricole?!

«Grazie!» rispondiamo all'unisono.

Attraversiamo il giardino, ovvero il posto di ritrovo per molti studenti che si fermano per il pranzo o nell'intervallo tra una lezione e l'altra. C'è chi suona la chitarra, chi canta, chi balla e chi gioca con il frisbee. L'ambiente è molto accogliente.

Resto lì imbambolata ad osservare l'ambiente circostante; la mia espressione ricorda tanto quella di Alice nel paese delle meraviglie quando si ritrova nel mondo magico del Bianconiglio.

«Cami, ti decidi o no a seguirmi? Faremo tardi così. E non per colpa mia, questa volta.» Afferrandomi per un braccio, mi riporta alla realtà portandomi con sé.

Finalmente, salite al secondo piano, troviamo il teatro. Varcata quella porta, ogni cosa cambierà.

L'ansia comincia ad impossessarsi di nuovo di me, o forse, in realtà, non mi ha mai abbandonata. Il cuore martella incessantemente nel petto a ritmo di samba.

Un incessante ronzio si eleva dall'interno della sala. Ci siamo!

Lily, aperta la porta, entra. I suoi occhi, a differenza dei miei, brillano dalla gioia.

«Wow!» esclama guardandosi intorno, ma quando si accorge del mio viso bianco e spaventato, alza gli occhi al cielo con fare teatrale e prende la mia mano provando a darmi forza: «Ehi, piccola! Andrà tutto bene. Sei qui, con me. È il nostro sogno. È il tuo sogno.»

Le sorrido a malapena e come un automa la seguo lasciando sbattere la porta alle mie spalle.

Il teatro brulica di gente: cinquecento posti a sedere tutti occupati, ragazzi seduti per terra, altri in piedi. Non troveremo mai uno spazio libero per noi. Mentre siamo alla ricerca di un fantomatico posto sui gradini laterali alle poltrone, da lontano vedo un ragazzo che agita le braccia intento a catturare la nostra attenzione: Simone. Con un gesto della mano indica di raggiungerlo.

«Lily, c'è Simone in fondo, credo abbia conservato due posti per noi. Raggiungiamolo.»

«Chi è ora Simone?»

«Ma come?! Prima gli dai dello "stronzo" e poi non sai il suo nome?!»

«Non mi siederò mai vicino a quel deficiente.»
«Tranquilla, mi siedo io infatti accanto a lui e tu siederai al mio fianco.» Alzatami da quei scomodi gradini, trascino Lily, la quale continua a sbuffare e mormorare sotto voce, per un braccio. Raggiunte Simone, seduto nell'ultima fila, noto i due posti liberi accanto a lui i quali presumo abbia conservato per noi due, così mi avvicino e gli sorrido per ringraziarlo, lui, alzatosi in piedi, posa una mano sulla mia spalla, si avvicina pericolosamente al mio viso e, guardandomi negli occhi, con fare dolce mi sussurra: «era il minimo che potessi fare, dopo quello che è successo poco fa. Non trovi?! Spero tu stia bene... ehm...», allontanatosi da me, torna con il suo sguardo fisso nel mio. «Non conosco il tuo nome.»

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