41. Camilla

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Esco dal bagno ben vestita e truccata, in modo che l'attenzione si spostasse dai miei occhi lucidi e dal mio umore nero. Leo sta chiudendo la mia valigia, ormai pronta. La poggia per terra e la trascina fino alla porta.
«La porto giù. Tu saluta Filippo e i bambini», mormora.
Perché fa così? Non mi merito questo suo atteggiamento. Gli ho dato tutta me stessa. Mi sono fidata. Ho aperto il mio cuore a lui. E cosa ho avuto in cambio? Una scopata? Siamo seri?
Annuisco ed esco anche io dalla stanza dirigendomi verso il corridoio e le stanze dei bambini.
«Buongiorno, Cami», esclama con un ghigno Filippo. «Avete dato spettacolo in terrazza ieri sera...»
«Fill...»
«Sono davvero contento per voi, davvero. Era da tempo che...»
«Filippo! Lascia perdere. Sono qui per salutarti. Sto partendo», mormoro con le lacrime agli occhi.
«Cosa? Perché? Noi partiamo domani. Cosa ti ha fatto? Io lo ammazzo...»
«Simone è qui.»
«Chi se ne frega di Simone?! Leonardo dove è?»
«Mi sta portando la valigia giù, peraltro preparata proprio da lui», spiego con un sorriso finto mentre le lacrime mi tradiscono.
Filippo capisce che non è il momento adatto per approfondire la questione, così mi abbraccia e mi stringe forte al suo petto.
«Mi dispiace davvero, Cami. Credevo che questa volta potesse davvero funzionare.»
«Non è colpa tua», affermo singhiozzando per poi lasciarmi andare ad un lungo pianto liberatorio. «Puoi salutare tu i bambini da parte mia? Non voglio mi vedano in questo stato.»
«Certamente, tranquilla», mi rassicura in tono dolce.

Dopo aver salutato Filippo, mi incammino verso la hall dell'albergo.
Simone è lì che chiacchiera tranquillamente con Leo. Cosa cavolo staranno dicendo?
Mi avvicino velocemente a loro per interrompere qualsiasi conversazione loro stiano facendo. Leo è imprevedibile. Con mia sorpresa li vedo ridere e stringersi la mano. Non capisco cosa stia succedendo. Dove sono le telecamere? Sono su scherzi a parte, vero?
«Simone! Che bella sorpresa», cinguetto. Ovviamente mento. Non mi aspettavo sarebbe venuto. Ed egoisticamente non avrei voluto venisse proprio ora.
«Ehi, tesoro. Leo mi raccontava del suo prossimo viaggio a Londra. Che fortuna, vero?»
«Già!» mormoro.
Mi avvicino a Simone posizionandomi di fronte a lui, guardo Leo dritto negli occhi e poi afferro la nuca di Simone e lo bacio con passione.
«Wow! Anche tu mi sei mancata Cami», esclama soddisfatto Simone.
Gli sorrido maliziosa mordendomi il labbro inferiore ed esclamo: «Perché non prendiamo una camera? Restiamo una notte. C'è anche la piscina.»
«Si, perché no?!»
«Mi dispiace non ci sono camere libere disponibili», ribatte secco Leo. So di infastidirlo, ma è proprio questo il mio intento: farlo soffrire come lui ha fatto con me.
«Vabbè, Cami. I miei sono andati di nuovo via. Bea tornerà dopodomani. Quindi abbiamo casa mia tutta per noi», ammicca malizioso.
«Ottimo!» esclamo con finto entusiasmo.
«Divertitevi ragazzi!»
«Lo faremo», ribatto.
«Mi raccomando, non fare troppe stragi di cuore a Londra. Quando hai detto che parti?» chiede Simone curioso.
«Il sei gennaio», afferma con lo sguardo fisso sul pavimento.
Non me lo aveva detto. Non mi aveva detto che aveva partecipato a questo concorso e non mi ha detto che sarebbe partito proprio quel giorno. Sa quanto sia per me un giorno importante. Un giorno triste. Il giorno dove una parte della mia vita è venuta a mancare.
«Andiamo?» chiedo a Simone con voce rotta.
«Certo!» esclama lui. «Va tutto bene?»
«Si, sono solo un po' stanca», mento.
«Ok! Allora ci si vede Leo, buon viaggio»
«Grazie, ci si vede tra sei mesi», afferma Leo cercando il mio sguardo.
«Non credo proprio», mormoro tra me e me. Per fortuna nessuno dei due credo mi abbia sentito.
I due nemici/amici si salutano mentre io già sto trascinando la mia valigia fuori da quel sogno che credevo di aver vissuto per dieci giorni. E forse davvero un sogno è stato. Nulla di più.
«Lascia che ti aiuti», esclama Simone raggiungendomi.
«Grazie»
Simone afferra la mia valigia e mi fa strada verso la sua macchina.
Durante il viaggio Simone non ha fatto altro che parlare di come ha passato questi giorni senza me, di come Bea abbia lasciato casa sottosopra, di quanto io gli sia mancata e tante altre cose a cui non ho dato molta attenzione.
La mia testa era da tutt'altra parte.
Arrivati in città, Simone mi chiede: «Vuoi venire da me?»
«Preferirei tornare a casa. Magari ci vediamo stasera o domani mattina», mormoro dolcemente.
«Come vuoi», esclama alquanto deluso.
Arrivati sotto al mio palazzo, Simone esce dall'auto per prendermi la valigia dal portabagagli e si incammina verso il portone.
«Aspetta! Faccio io. Tanto c'è l'ascensore.»
«Scusa, volevo solo esserti d'aiuto», mormora.
«Allora ci sentiamo», affermo.
«Ok! Fatti sentire tu.» Mi dà un bacio sulla fronte e torna alla sua macchina. Ha capito che qualcosa in me non va. Non sono nemmeno riuscita a nascondere il mio umore nero.
Non voglio che lui si trovi in mezzo a situazioni del genere. Non si merita tale trattamento. C'è sempre stato per me, ogni volta che ne avevo bisogno.
Mi sento così egoista. Mi sento così "Leonardo".
Guardo Simone mettere in moto la macchina e allontanarsi. Alzo una mano per salutarlo ma nemmeno si accorge che sono ancora lì vicino al portone.
Arrivo a casa, ma sembra non esserci nessuno per quanto sia silenziosa.
«Mamma?» grido.
Nessuna risposta.
«Mamma?» ripeto.
«Tesoro, come mai già di ritorno? Ti aspettavo domani» esclama mia madre entrando in salotto.
Ha i capelli in disordine e la camicetta stropicciata e abbottonata male. Per non parlare del trucco sbavato.
«Se vuoi me ne vado di nuovo», borbotto.
«No, tesoro. È che... Non ti aspettavo oggi», farfuglia.
Un rumore strano proviene dalla camera da letto.
«Cosa è stato?» chiedo preoccupata. Supero mia madre e tento di andare verso camera sua.
«Non è niente, tesoro», esclama piazzandosi avanti a me. «Hai fame? Ti cucino qualcosa?»
«Mamma, cosa mi stai nascondendo?»
«Niente, cara», ribatte nervosa.
La sposto con un braccio e superandola entro in camera sua.
Questo è troppo!
«Tu chi diavolo sei?» chiedo nervosa all'uomo dalla camicia aperta che tenta di uscire fuori al balcone. Classica scena di quando torna il marito a casa e l'amante si nasconde o nell'armadio o fuori al balcone. C'è un piccolo particolare da mettere in conto: mio padre non tornerà.
«Lui chi è?» grido verso mia madre.
«Tesoro, lui è il mio... Capo.»
«Stavi per scoparti il tuo capo? Non sei riuscita nemmeno ad aspettare un anno dalla morte di mio padre? Complimenti! Mi fai davvero schifo» ringhio. «E tu» esclamò indicando il "capo" di mia madre, «esci subito da casa mia. Ora!» ordino.
«Camilla!»
Non mo giro nemmeno per ascoltare cosa abbia da obiettare la donna che credevo fosse una vedova affranta e mi chiudo di corsa nella mia stanza.
Questa giornata non potrebbe andare peggio.
Vorrei solo sotterrarmi. Anzi no, vorrei congelarmi per poi essere scongelata nel futuro, come succede in Futurama.
Chiamo la prima persona che vorrei qui al mio fianco a consolarmi.
«Pronto?»
«Lily? Posso venire da te?» le chiedo con voce tremante.
«Cosa succede?» chiede preoccupata. Non avendo nessuna risposta da me, esclama: «Due minuti e sono giù da te. Sto venendo a prenderti.»

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