7] – Hammers. [Part 2]
«Cosa ha significato per me?» ripeté lui, in una domanda che sembrava più rivolta a se stesso che a me, lasciandomi con il cuore in subbuglio, in un concerto continuo di percussioni che mi stordivano.
Continuai a fissarlo con uno sguardo deciso, per nascondere la reale fragilità che mi affliggeva e minacciava di lasciarmi spezzare e crollare a terra in un batter d'occhio. Trattenni il fiato per quei secondi che parvero infiniti, finché lo vidi schiudere le labbra e infrangere il nostro legame ottico, voltando gli occhi altrove, come se stesse cercando una via d'uscita veloce e indolore.
«Perché vuoi saperlo?» chiese poi, rompendo quel silenzio. «Che differenza fa per te?»
«Devi sempre rispondere con un'altra domanda?» replicai, inacidita e nervosa, col fiato corto. «Non puoi semplicemente dirmi quello che ti ho chiesto?»
«Era un bacio, Elle.»
«Lo so anch'io cos'era. C'ero anch'io!» sbottai, incapace di trattenermi. «Quello che voglio sapere è: perché?»
Avrei voluto mantenere la calma e il sangue freddo; avrei voluto mostrarmi sicura di me, adulta e pacata, ed avrei voluto mantenere un tono tranquillo e civile, per non espormi troppo e mostrargli quanto in realtà quella risposta contasse per me; quanto fosse importante sapere cosa pensava, se aveva provato qualcosa o se era stata un'emozione falsa, a senso unico.
Avrei voluto sapere se era stato importante quanto lo era stato per me o, almeno, anche solo la metà... e questo, di certo, non mi aiutava.
«Per ringraziarti, te l'ho detto.» rispose lui, deciso.
«Tu ringrazi così le persone?»
«Ho fatto anche molto di più, per molto meno.» disse, scrollando le spalle, probabilmente riferendosi a tutte le donne che aveva avuto. «Non deve esserci per forza un motivo.»
«Certo, tu baci le persone così, tanto per fare!» replicai indignata, con lo sguardo indurito dalla rabbia, la frustrazione e la pena che facevo a me stessa per essere stata così stupida da credere e sperare che per lui potesse significare qualcosa di più.
«Non l'ho fatto tanto per fare.» sospirò, alzando gli occhi al soffitto. «L'ho fatto perché lo volevo. L'ho fatto perché ne avevo voglia.»
«La fai semplice.»
«Non la faccio semplice, è semplice.» si avvicinò di nuovo a me e m'inchiodò con le sue iridi cerulee. «Una cosa la faccio perché ho voglia di farla, altrimenti non la farei. C'è bisogno di altre motivazioni?»
Sostenni il suo sguardo, digrignando i denti fino a farmi male e sibilai: «No, figurati.»
Lui sorrise per l'ironia della mia risposta e sbuffò. «Sai qual è il problema? Che ne avrei voglia anche adesso.»
Trattenni il fiato e restai in silenzio, per gli attimi che servirono alla mia mente per riprendere il controllo e racchiudere immagini e fremiti dovuti alle sensazioni di quel bacio, insieme alla sua stessa voglia di rifarlo, così da poter raccogliere le ultime briciole del mio orgoglio e andarmene da lì.
Non potevo negare di essere terribilmente attratta da lui, come mai lo ero stata in tutta la mia vita, ma per quanto l'idea di averlo ancora mi facesse impazzire di desiderio, non avevo nessuna intenzione di essere un altro dei suoi zerbini sui cui si sarebbe distrattamente pulito le scarpe una volta saziati i suoi capricci. Non ero un'altra delle bamboline con cui poteva giocare un po', per poi gettarla via. Che giocasse con le sue amichette, e se le togliesse con loro le sue stupide voglie! «Sai cosa?» gli dissi allora, con la voce più velenosa che mai, prima di scostarmi da lui e gridare: «Vaffanculo, Aaron!» per poi uscire dalla cucina con passo svelto e raggiungere la mia stanza senza mai guardare indietro.
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Blowing Bubbles
RomanceLondra. Anni '80. Tra il gli ultimi colpi del vero Rock, la scintilla di anarchismo del Punk e la follia degli Hooligans: C'è Lei: Elle, 23 anni, americana; e c'è Lui: Aaron, 26 anni, inglese. Tratto dal primo capitolo: “Lasciai il sole prepotente d...