Comprensioni ed incomprensioni.

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8] – Comprensioni ed incomprensioni.

Una volta qualcuno – non ricordo né chi, né quando – mi ha saggiamente detto che l’importanza che ha una persona, il posto che occupa, la grandezza delle sensazioni che ti provoca, non riesci mai a definirle e quantificarle davvero. Riesci solo vagamente a delinearle con un “troppo”, un “tanto”, un “po’” o un “poco”, fino a un “niente”; ma non sai mai quanto realmente sia e, spesso, ti trovi invischiata in situazioni in cui ti rendi amaramente conto di aver completamente sbagliato i tuoi calcoli. Una bocciatura vergognosa nelle equazioni della tua vita.

Qualcuno mi ha detto che puoi fartene un’idea nel momento in cui il destino ti gioca un brutto scherzo, portandotela via o semplicemente facendotela sembrare più lontana; in bilico tra l'andarsene definitivamente o la possibilità di restare a camminare per un altro tratto – di cui non saprai mai la lunghezza – della stessa strada, al tuo fianco.

Se c’è una cosa che ho capito e imparato, è che spesso sbagliamo a valutare le persone e la loro importanza. Spesso diamo troppo a chi in realtà non merita neanche un nostro sguardo; e troppo poco, per non dire niente, a chi invece meriterebbe molto, se non tutto. È qui che nascono i rimorsi, le lacrime amare e quell’angosciosa sensazione che ti attanaglia lo stomaco, attorcigliandolo senza pietà, mentre la gola s’incendia, innescata da quell’orrenda compagna che spesso aleggia su di noi: lapaura.

La paura di perdere qualcuno che, fino a quel momento, in un modo o nell’altro – nonostante tu sia perfettamente a conoscenza che niente dura per sempre – avevi dato per scontato. Quel qualcuno che avevi l’assoluta certezza di vedere, se solo l’avessi cercato; che ti aspetti di sentire alzare la cornetta, se lo chiami; di sentire la sua voce, la sua risata o le urla di rabbia; l’assoluta certezza che, comunque stessero le cose, in qualche posto, sarebbe stato presente.

Ma non è così che funziona e, prima o poi, arriva qualcosa che dà il via libera a quello strano meccanismo per cui inizi a capirlo... e, per quanto riguarda me, niente mi aveva mai parlato tanto eloquentemente, prima di allora, come quelle disordinate macchie rosse che spiccavano scarlatte sul candore del lavandino. Niente era stato tanto allarmante come quei colpi di tosse secchi, e niente mi aveva fatto mai tremare come quel viso tanto bello trasfigurato un una smorfia di dolore, con la mascella contratta e gli occhi chiusi, mentre i rantoli affannati dei suoi respiri si disperdevano nell’aria.

Aaron continuava a tossire sangue mentre io restavo immobile a fissarlo inorridita, nella vana speranza che fosse solo un brutto sogno e che presto mi sarei svegliata, sudata e sconvolta, nel mio letto. Tremavo e continuavo a fissarlo, con il cuore ormai congelato e ogni respiro che sembrava provenire da una gola piena di schegge di vetro. «Aaron.» piagnucolai ancora, trovando la forza di muovere un passo verso di lui.

«Va’ via.» si sforzò di parlare, con voce gracchiante, prima di essere riscosso dai colpi di tosse. «Sto bene.» ma lo ignorai e mi avvicinai ancora, sfiorandogli appena una spalla con la punta delle dita.

Passai lo sguardo su quelle labbra insanguinate che continuavano a piegarsi per lo sforzo, e risalii sul viso, fino a scendere sul collo e sulle spalle, finché non trovai la causa di quel malessere. Aaron aveva il torace tumefatto, ricoperto di escoriazioni. Avrei giurato che molte delle costole non fossero illese, e avevo paura per lo stato dei suoi polmoni. Sentii il cuore riprendere vita all'improvviso e i battiti accrescere di numero e potenza, quasi potessero raggiungere le pareti del mio corpo e abbatterle, mentre accarezzavo nuovamente quella pelle lattea malmessa.

«Dobbiamo andare al pronto soccorso…» mi azzardai a dire, ma non mi lasciò finire.

«No.»

«Aaron, per favore!» esclamai, e provai a tirarlo per il braccio, senza risultato.

Tossì ancora e tremò per lo sforzo. «Sta’ zitta.»

Blowing BubblesWhere stories live. Discover now