Capitolo 3

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Siamo finalmente all'ultima ora di scuola. Manca poco alla libertà. Chi abbiamo? Educazione fisica, quindi palestra. Evvai, qualcosa di decente.
Arriva la professoressa Campanella e scendiamo.
Proprio come la ricordavo: pareti mezze bianche mezze verde acqua, pavimento verde acqua con sopra la solita polvere che faceva capire la non pulizia.
Entro in campo e osservo tutto per qualche secondo. Voglio che rimanga impressa nella mia mente quella palestra.
Cammino verso la prof Campanella e le parlo.
《Professoressa, io non gioco》le dico.
Mi guarda stranita.
《Alza le chiappe e mettile in campo》
《No, professoressa, io non posso giocare》
Si ferma.
《Hai un certificato medico o qualcosa che dica che non puoi giocare?》
《Beh, no...》
《Allora vai in campo, muoviti》
Io non posso fare altro che entrare in campo. Si inizia con la corsa, uno sgambettare infinito.
Odio tutto e tutti in questo momento. Li manderei tutti a fanculo e tornerei a casa. Oh, casa. Manca poco e ti rivedrò.
Corro con gli altri. Che noia. Facciamo tre, quattro... sei giri intorno al campo senza sosta. Inizio a non sentirmi bene. Mi fermo.
《Muoviti schiappa!》urla la prof per incoraggiarmi. Ma non ha capito che così mi incoraggia a stare ferma. La guardo da lontano, devo ricominciare ma non ce la faccio. Mi siedo a terra e respiro piano. Riprendo a respirare normalmente, il mio cuore si è calmato un pò. Mi alzo piano. Adesso basta con la corsa, si va in campo a giocare. E inizia la nostra solita partita di pallavolo. Schiacciate, bagher e battute riempiono la palestra. Una palla è diretta verso di me. No aspetta, sono due! Merda. Quale paro? Proverò a pararle entrambe. Ne prendo una. L'altra non riesco. E mi arriva una pallonata pesante nello stomaco, proprio vicino alla ferita dell'intervento per il tumore. Mi sento gli organi risalirmi per la gola. Mi piego in due e cado in ginocchio. Scoppio in lacrime. I miei compagni ridono. Tutti con quei sorrisi stampati in faccio. Perché li chiamo compagni ancora non lo so. Sono tutto al di fuori di compagni. Perché? Loro sono tutti uguali, non hanno una propria personalità. E quella che hanno fa schifo anche ai piccioni perché è deficiente. Io dico: se devi copiare qualcosa, copialo bene. Non è giusto?
E mentre tutti ridono sento la voce della professoressa farsi sempre più lontana. Poi vedo un'immagine sfocata a causa delle lacrime. Il dolore è allucinante. Tante faccie, non riesco a vederle bene. Praticamente ho un tumore al fegato e sono anche sorda e cieca. Che bella vita. Qualcos'altro? Non mi offendo mica. Sento urlare il mio nome e poi, il nulla. Mi risveglio ore dope. Dove sono? Con chi sono? I miei lo sanno? Prima ancora di rispondere a queste domande vedo mia madre. È seduta, mi fissa.
《Buongiorno》mi dice sorridendo.
Io ricambio il saluto.
《Ciao mamma》
Si avvicina e mi abbraccia.
Sta piangendo, lo so. Inizia a singhiozzare anche se so che non vorrebbe farsi vedere da me in queste condizioni. Ma non fa niente, la stringo più forte, almeno capirà che sto bene.
《Siamo in ospedale?》chiedo.
《Si》risponde.
《Che mi è successo?》
《Ti è arrivata una pallonata sulla ferita e sei svenuta. I medici hanno detto che si è scucita ma ora va tutto bene》mi dice con un finto sorriso stampato in faccia. La conosco troppo bene, mi nasconde qualcosa.
《Non sono svenuta a causa della ferita, vero?》
Non risponde. Continua a guardarmi ma non dice una parola. Questo mi basta.
《Che mi succede?》
Nulla.
《Mamma! Che ho?!》
Scoppia a piangere. Lo sapevo.
《I medici... tu, il tuo tumore..
È peggiorato e.... ti rimane...poco tempo》 dice tra una lacrima e l'altra abbracciandomi forte. Rimango ferma a fissare il vuoto. Vuoto come me. Vorrei piangere ma mi trattengo. Devo essere forte ai suoi occhi. Glielo devo.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jun 07, 2016 ⏰

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