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La strada battuta era impervia, i cavalli faticavano a rimanere stabili, gli zoccoli che scivolavano sui ciottoli che di tanto in tanto spuntavano sul terreno arido. La devastazione portata dalla Strega aveva reso i campi infertili. Il fuoco del suo drago non risparmiava nulla che assomigliasse anche solo vagamente alla vita. La pianeggiante campagna, un tempo rigogliosa, ricca di messi, era ormai una desolata distesa ocra di arbusti secchi e terra pestata.

Emma si asciugò il sudore che gocciolava sugli occhi, costringendola a chiuderli. L'armatura era bollente, arroventata dal sole, l'elmo una tortura. Bucaneve ansimava, il manto candido scurito da macchie di sudore. Lo accarezzò, mormorandogli parole di conforto. Presto si sarebbero fermati, accampati prima che il buio calasse e li rendesse facili prede a causa delle torce che sarebbero stati costretti ad accendere. Di notte non potevano viaggiare, di giorno il caldo li spossava. Ma non potevano rischiare di viaggiare senza le armature: il drago avrebbe potuto attaccarli in qualsiasi momento, e senza protezioni non avrebbero avuto scampo.

Nonostante il caldo, la fatica, la sete, la mente di Emma era sempre attenta, calcolatrice, pronta. Se il drago avesse attaccato da est, in quel momento, Kurt e Alexander sarebbero morti, ma avrebbero permesso a Lucas, Phil e Walter di ferirlo gravemente, e agli altri, forse, di finirlo. Se avesse attaccato da Sud, invece, sarebbe stata lei ad incontrare la sua fiammata. Lucas sarebbe rimasto ferito, ma gli altri sarebbero restati incolumi, pronti ad uccidere la bestia. Da Ovest sarebbe stato un massacro, perché il tramonto imminente rendeva quasi impossibile avvistare la bestia in volo. La morte di alcuni compagni era da mettere in conto, in ogni caso. Per questo aveva lasciato scegliere a loro: il suo squadrone era formato unicamente da volontari, pronti a sacrificare la vita per il loro generale, per la loro regina. Lei era più che pronta a sacrificarsi per lei, la sua migliore amica, la sua regina, la ragazza con cui era cresciuta, che per prima l'aveva vista impugnare una spada, la donna che stava diventando, molto più in fretta di lei, la persona che tanto rispettava e stimava. I loro destini così simili, così diversi. L'una, principessa, che mai avrebbe ereditato il trono perché donna, secondo George, e che doveva ereditarlo, per diritto di nascita, secondo Biancaneve, e che per evitare una guerra intestina al suo stesso regno aveva rinunciato al proprio titolo ed era diventata una guerriera, un soldato, un'arma nelle mani del nonno materno, un re accecato dall'amore perduto. L'altra, di sangue reale solo per metà, a malapena una lady, figlia di un valletto e di una paesana, figlia di una strega, innamorata di uno stalliere ma costretta a sposare un re, a non rivedere mai più quel ragazzo, troppo impegnata a far contento il marito oltre quarant'anni più vecchio e ad amministrare un regno mai desiderato. Eppure Regina che, anche se più grande di lei, aveva pur sempre solo ventuno anni, a malapena compiuti; quattordici quando il Re la chiese in sposa, e non aveva mai abbassato lo sguardo, mai chinato il capo, ingobbito le spalle, lasciato che una lacrima le sfuggisse. Con orgoglio aveva adempiuto al suo ruolo sin dal primo giorno, dimostrandosi una regnante migliore di Eva, attenta al popolo, cui spesso concedeva udienza, parca, magnanima, gentile. Tanto da fare amicizia con lei, la ragazza senza vergogna, colei che aveva rinunciato al casato, al titolo, allo sfarzo, e portava brache invece che vestiti, orripilando tanto le lady e i lord del castello. La figlia della strega, che il Re aveva conosciuto quand'era ancora poco più che in fasce attraverso il valletto Henry e sua moglie Cora, introdottigli da Re Xavier in persona durante il ballo per la nascita della nipote, Emma, lei. Dopo la morte di Eva, Regina era stata promessa in sposa al Re e, giunta all'età maritabile, era stata portata nel palazzo reale, e non aveva fatto più ritorno a casa. In un certo senso, quindi, era stata lei la causa della rovina, e dell'ascesa al trono, di Regina. Si conoscevano ancor prima di incontrarsi, e già Emma l'aveva ferita, condannandola al matrimonio con suo nonno. Suo nonno, diamine! Le separavano neanche due anni, e Regina era costretta a dividere il letto con il nonno della sua migliore amica. O nemica. A volte la giovane regnante, nei primi anni della loro amicizia, non mancava di ricordarle le sue colpe, con asprezza, quasi con odio. Dello stalliere, Daniel, le aveva raccontato spesso, sottolineando ogni volta quanto importante fosse per lei, quanto forte fosse il sentimento che provava per lui. Ed Emma aveva sempre ascoltato, sempre pronta ad accogliere il dolore che la colpa portava, sperando forse di espiarla così, in qualche modo. O di mitigare, almeno in parte, la sofferenza di Regina. Emma non aveva colpe per ciò che i genitori della ragazza avevano deciso per lei, ma se Regina aveva bisogno di incolpare qualcuno, era felice di essere stata lei il suo capro espiatorio. Quell'odio riflesso era ciò che l'aveva portata ad aprirsi con lei, che in qualche modo, negli anni, aveva cementato la loro amicizia, per assurdo.

A Regina mancava Daniel. Il melo del suo stemma ne era la prova. Ma la sincerità, l'affetto e la lealtà di Emma erano state abbastanza per farle perdonare il destino, per riaccendere quegli occhi foschi, per farla smettere di fingere di sorridere e farla sorridere davvero, invece.

Emma pensava alla sua amica mentre cavalcava verso di lei, verso il mostro che gliel'aveva portata via. E, più pensava a lei, più la rabbia bruciava impetuosa nel suo petto, facendole stringere nel pugno l'elsa della spada, facendole desiderare di piantarla nel petto di quel dannato drago e della Strega una volta per tutte e riportare a casa la sua Regina.

Il Genio sorrise nella sua stanza, guardandosi allo specchio.

"Presto, mia cara. Presto."

Tutti amano ReginaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora