Legami imposti

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Avevo la bocca impastata dal sonno. I miei occhi, infastiditi dalla luce brillante emanata dalle fiamme, indugiarono immediatamente sul profilo dell'armatura. La placca pettorale era striata di rosso ai bordi, segno che la temperatura del metallo era già andata ben oltre il limite di sopportazione della pelle. Non potevo indossarla. Fortunatamente la spada giaceva a qualche metro di distanza, dove le lingue di fuoco ancora non avevano intaccato il pavimento di legno.
Tossendo per il fumo sempre più intenso, allungai una mano per stringere l'elsa. Assicurai la lama con un laccio di cuoio dietro la schiena, percependo il calore dell'acciaio. Non avevo molto tempo, il fuoco mi stava circondando: le pareti cominciavano a crepitare, tizzoni ardenti cadevano come pioggia dal soffitto e l'aria sembrava prossima all'irrespirabile. Mi girava la testa, ma non potevo prendere nemmeno un secondo per scrollarmi di dosso i postumi del riposo. Afferrai i manici della bacinella che serviva per lavarsi e mi rovesciai l'acqua addosso: anche se calda, sarebbe risultata utile per sopportare il muro bollente che mi attendeva a qualche metro di distanza. Dovevo necessariamente abbandonare l'armatura e accontentarmi della sola tunica marrone.
"Dannazione!"
Mi gettai, con la bocca chiusa e le palpebre serrate, contro la porta della stanza. Per un istante mi avvolse l'inferno, ma durò pochi battiti di cuore. Capitolai all'esterno, sul terreno fresco, rotolando e rotolando per spegnere fiamme invisibili sul corpo. Era calata la notte. Quando sollevai finalmente la testa per capire cosa stesse succedendo, mi trovai davanti un cadavere impalato. Una donna sulla sessantina, inginocchiata, con il collo fratturato ed un tronco di quercia che fuoriusciva dalle labbra. Tutt'intorno si agitavano ombre e fuoco e fumo. Un uomo completamente nudo e ricoperto di sangue mi passò di fianco, urlando come un forsennato.
« Per tutti gli dei in rovina... »
Orchi neri. Ovunque. Tanti. Troppi. Non si differenziavano molto nella statura dagli esseri umani, ma avevano la pelle scura come la notte, zanne sporgenti e braccia estremamente lunghe; alcuni orchi brandivano asce, altri agitavano grandi mazze. Tutti, in compenso, parevano intenzionati unicamente ad incendiare le case ed eliminare la poca popolazione rimasta. Nemmeno i bambini venivano risparmiati.
Non potevo fare nulla, se non fuggire e tentare di nascondermi. L'istinto e gli insegnamenti del Codice imponevano il martirio, la manifestazione del coraggio, la difesa dei deboli. Ma io avevo paura. I grugniti degli orchi mi accompagnarono mentre sgattaiolavo attraverso le macerie e le travi crollate, evitando accuratamente qualunque incontro con il nemico. La spada, inutilizzata, sbatacchiava contro la schiena ad ogni spostamento, ricordandomi chi ero e cosa avrei dovuto fare. La notte e l'oscurità mi accolsero volentieri.
Raggiunsi la palizzata di perimetro e la superai. Mi acquattai poi, senza fiato e con le lacrime agli occhi, tra le spighe di grano autunnale del campo più vicino. Rimasi come il più vigliacco dei vigliacchi ad osservare la distruzione di Merella.
« Tu...tu non sei il Cavaliere di Alabastro? Quello che è giunto stamani al villaggio? » gracchiò una voce poco distante dalla mia posizione.
Sorpreso, localizzai la fonte della lamentela: una ragazza dai lunghi capelli castani, nascosta in mezzo al grano a qualche metro di distanza. La raggiunsi di corsa. Era estremamente giovane e spaventata, indossava una veste che gli arrivava fino alle ginocchia e aveva la pelle sporca di fuliggine. Gli occhi arrossati erano illuminati dall'incendio di Merella.
« Tu dovresti essere là, a combattere per la mia gente! » piangeva « E invece ti nascondi come un cane bastonato! »
« Io...sono troppi! Non posso fare nulla, davvero. »
« Anche Rynal e Urton erano soli contro cento, ma non si sono tirati indietro! Sono morti per difendere il villaggio! » tentò di fuggire « Sporco vigliacco! »
La afferrai per un braccio. Lei cercò di divincolarsi, graffiando e mordendo.
« Aspetta, calmati! C'è un modo per vendicare la tua gente. »
« Io non voglio vendicarla! »
« Quindi ora scapperai nel buio, sperando che gli orchi ti lascino andare? Loro sono molto più veloci di te, quante possibilità pensi di avere? » nonostante le mie parole, la ragazza continuò a dimenarsi « Resta con me! Ti proteggerò e farò in modo che i popolani di Merella presi prigionieri vengano liberati! »
« Non m'interessa! Vattene! »
« In Corum Te Respendo. » urlai.
La giovane si fermò improvvisamente e abbassò il capo. Sollevò una mano, con il palmo rivolto verso l'alto.
« In Corum Mie Sostenio. » rispose sussurrando.
Era l'Imposizione. Attraverso quelle poche parole del Milites Codex, un Cavaliere poteva designare una persona come sua legittima protetta, vincolandola a sé per tutto il tempo che riteneva necessario. Il protetto, dal canto suo, non poteva rifiutare l'Imposizione: diveniva a tutti gli effetti un servitore del Cavaliere, come compenso e riconoscenza nei confronti della sua spada. Un legame profondo che, quasi sempre, s'instaurava per volere di entrambe le parti e mai veniva dichiarato con leggerezza. Durante tutta la mia vita avevo sentito solo una volta pronunciare la formula dell'Imposizione.
L'avevo fatto perché mi sentivo un verme. La gente di Merella era morta indifesa mentre io mi trovavo nel villaggio. Forse non sarei riuscito a respingere più di qualche orco, ma per lo meno avrei potuto concedere ad una manciata di bambini la fuga. Ero uno schifoso e strisciante verme. Ed ora, pur di salvare il mio onore, tentavo con meschinità di proteggere quella ragazza.
Tornai a fissare l'incendio che nel frattempo si era propagato. Gli orchi neri continuavano la loro distruzione incontrollata. Non degnai di uno sguardo la fanciulla, anche se potevo immaginare l'odio che provava nei miei confronti.
« Non ti pare strano che gli orchi neri compiano un tale massacro? Fino a questo momento, da quanto mi risulta, si erano limitati a saccheggiare il bestiame. »
Non ricevetti risposta. Non era obbligata a farlo.
« Aspetta...quello non è Kaborronur? »
In contrasto con la luce sfavillante delle fiamme, una gigantesca figura si era palesata sul limitare del villaggio. Era una creatura alta più di due metri, con la mascella sporgente e il petto mostruosamente largo. Si distingueva dalle altre figure orchesche per l'elmo ricavato dal cranio di un Minotauro e l'arma insolita che reggeva nella massiccia mano destra: un brandistocco. Nessun altro guerriero, nella storia delle Guerre Nere, aveva mai brandito una lancia di quella tipologia.
Era un'apparizione sconcertante. Kaborronur non faceva parte degli orchi neri, comandava le Armate Tribali del profondo Sud. Inoltre, stando alle ultime informazioni riportate nei resoconti di guerra, il grande orco grigio era stato decapitato durante le ultime battaglie campali.
« Dobbiamo andare a Myr. I generali di Re Borony sono stati ingannati. »
La ragazza, ancora una volta, non mi degnò di risposta.  

La Caduta di AlexanderDove le storie prendono vita. Scoprilo ora