Le catene mi impedivano di raggiungere le sbarre, ma potevo tenere sotto controllo il fascio di luce che proveniva dalle torce incassate alle pareti della prigione. Non passò molto tempo prima che un'ombra scura si palesasse dalle tenebre: era un uomo estremamente alto e massiccio, ricoperto completamente da un manto nero; l'ampio petto sembrava fatto di metallo, gli spallacci argentei foravano la stoffa con le loro punte, mentre la cotta di maglia sferragliava appena sotto l'armatura. Il volto era celato dal cappuccio.
Lo sconosciuto rimase immobile per qualche istante, poi cominciò ad armeggiare con un oggetto sottile e longilineo. Inserì una pesante chiave nella serratura della cella e fece un movimento con il polso. Poco dopo i cardini della porta di ferro ruotarono cigolando. La figura nera entrò a passo lento, gli stivali che scricchiolavano sulla paglia secca.
Elizabeth mi afferrò un braccio e trattenne il fiato. Sir Nicholas pareva non mostrare paura, ma indietreggiò comunque di un passo. Io, in verità, provavo emozioni contrastanti, un misto di paura e speranza che s'ingarbugliavano sotto il torace. Avevo già osservato una volta quella figura imponente; ricordi perduti chissà dove nella memoria.
« Sir Alexander? » domandò l'uomo con voce cavernosa.
Feci un lieve cenno con il capo. Il gigante recuperò una spada nascosta dal mantello e me la gettò davanti ai piedi. La riconobbi subito per l'incisione sulla guardia: era Ambrinxer, la mia lama da Cavaliere. Attaccate all'elsa vi erano un paio di piccole coppie di chiavi arrugginite. Sollevai lo sguardo con espressione incuriosita, ma il massiccio uomo era già svanito nelle tenebre.
« Aprono i ceppi. » sussurrò Sir Nicholas, quasi contento.
Afferrai le chiavi e mi liberai dalla prigionia, massaggiando polsi e caviglie. L'altra coppia apriva i dischi di Elizabeth.
« Andiamo! » esclamai, mettendomi in piedi ed aiutando Elizabeth a rialzarsi.
Il vecchio Cavaliere, tuttavia, rimase appollaiato sulla paglia della prigione. I suoi occhi perlacei erano fissi, le sue labbra erano strette.
« Forza, Sir Nicholas! Tirati su! »
« No... » sussurrò il vecchio « ...sono cieco e non ho più le energie per combattere. Ho avuto la mia occasione... »
« Non è vero! Hai tutto il diritto di andartene da questo posto! »
Sir Nicholas, con uno scatto repentino, si alzò e mi afferrò per le spalle.
« Alexander, vai! Sei giovane, hai ancora tutto da dimostrare. Ricorda che il cammino del Cavaliere è costellato di sacrifici e dolore...e non credo ne valga la pena, ai giorni nostri. » gli tremavano le mani « Ma lottare per le genti del regno è giusto. Tieni alto il nome di Alabastro. »
Detto questo, l'anziano guerriero tornò a posarsi sulle gambe e rimase fermo. Io ed Elizabeth contemplammo per alcuni secondi la figura dell'uomo rassegnato, poi ci dileguammo.
Oltre la porta della cella si allungava un corridoio illuminato dalle torce. Più avanti, nelle tenebre, si aprivano una serie di stanze vuote. Mi tenni al centro per evitare brutte sorprese, la spada salda nella mano destra; con la sinistra, invece, trascinavo Elizabeth. Alla fine del corridoio c'era una piccola scalinata in pietra e una massiccia porta di legno con rinforzi in ferro. Accanto all'uscita, due guardie con il collo spezzato giacevano sul pavimento freddo, le espressioni di sorpresa ancora stampate sui volti.
Attendeva marmoreo, sull'ultimo gradino, il gigante ammantato di nero. Dalla posizione del cappuccio pareva intento ad ascoltare i rumori esterni alla prigione. Ci avvicinammo in silenzio.
« Sanno che è accaduto qualcosa. Dovremo aprirci un varco con le armi. » disse il colosso.
« Perché ci hai liberato? » chiesi io.
Avevo un sacco di domande in testa, dubbi, confusione. Volevo cominciare a comprendere lo svilupparsi degli eventi.
« Ogni cosa a suo tempo, giovane Cavaliere di Alabastro. »
Non ebbi modo di replicare perché l'individuo in nero spalancò la porta della prigione. Ci investì la luce e il cicaleccio dei soldati: eravamo sbucati nella piazzola di una caserma adibita all'addestramento truppe. Una ventina di teste coronate da elmi lucidi ruotò nella nostra direzione, mentre altrettante picche e alabarde si abbassavano per colpire.
Il gigante partì per primo, mulinando un martello da guerra che si confaceva alle sue dimensioni. L'impatto iniziale aprì un varco nella fila antecedente di soldati. Non tentennai: impugnata Ambrinxer a due mani, superai la guardia di un avversario e conficcai la punta della lama tra il mento e il collo, affondando nella giugulare. Avevo passato intere settimane senza duellare, eppure non risentivo della mancanza di esercizio. Appoggiai la spalla sinistra sullo scudo di un picchiere per evitare di cadere dopo lo slancio, poi mulinai la spada a mezza altezza; la spazzata falciò le gambe di chi mi stava attorno, recidendo il cuoio dei gambali e la carne dei muscoli. La maneggevolezza era il vantaggio principale di una spada lunga contro le armi ad asta. Nei secondi in cui i soldati si mettevano in posizione, io ero già sgattaiolato oltre per colpire i fianchi. L'assenza di peso sul corpo aiutava molto.
Fintai di attaccare sulla destra, scartando invece dall'altra parte con un movimento improvviso. L'ultimo avversario, forse inesperto, cascò in pieno nel tranello e lasciò scoperta tutta la porzione sinistra di collo e spalla. Ruotai velocemente il polso per concatenare un affondo che penetrò nella gola della giovane guardia. Quando mi girai per evitare un probabile colpo di punta alle spalle, trovai soltanto corpi immobili ed elmi fracassati. Il gigante nero, incolume e immacolato, stava estraendo il martello insanguinato dal petto di un cadavere.
« Ne arriveranno altri, se non ci muoviamo. » disse con tranquillità glaciale.
Feci un cenno con il capo e andai a recuperare Elizabeth. La ragazza, in disparte al lato della piazzola, mi fissava con timore. Anche se potevo capire il motivo di tale sgomento, la afferrai nuovamente per un braccio senza tante cerimonie.
Seguii la schiena dell'uomo nero attraverso i vicoli e le strade secondarie di Myr. Di tanto in tanto si percepivano le urla dei soldati in allarme e più di una volta fummo costretti a nasconderci nell'ombra per non essere visti. Un comportamento disonorevole, ma necessario per evitare un altro combattimento sanguinoso e faticoso. Costeggiando le imponenti mura interne, raggiungemmo una delle mastodontiche porte che davano accesso alla capitale. Il luogo era piantonato da decine di guardie in armatura bianca.
« Armando... » sussurrai con disprezzo, riconoscendo il profilo del generale in mezzo al piccolo esercito « Non possiamo batterli tutti. »
Il gigante scuro indicò un casolare di legno che si trovava a pochi metri da noi. Era una stalla militare.
« Sai cavalcare? » domandò, mantenendo lo sguardo sulla struttura.
« Sono un Cavaliere. Se non lo sapessi fare, mi dovrei ritirare in esilio. »
Silenziosi come ladri, ci avvicinammo all'entrata della stalla. Fortunatamente c'era solo un garzone a presidiare la postazione. Eliminai l'uomo con agilità, colpendolo alla gola per evitare che urlasse. Le bestie erano già sellate e ferrate; scelsi, per me ed Elizabeth, un cavallo baio dal manto bruno. Il nostro compagno optò per un Frisone nero di stazza notevole.
Senza attendere il momento propizio, sbucammo dall'uscita posteriore del casolare. Non potevamo lanciarci in corsa in mezzo alle strutture che si aggrappavano alle mura di Myr, ma i cavalli da guerra non avevano problemi a sorpassare e travolgere le persone. Elizabeth si strinse forte alla mia schiena e provai un brivido piacevole mentre galoppavo in coda al gigante con il mantello. Superammo facilmente un primo posto di blocco balzando oltre gli scudi, poi spronammo gli animali alla corsa verso l'arco della porta Ovest.
Ebbi appena il tempo di lanciare uno sguardo disgustato verso Armando, prima di colpire con il piatto della spada per disorientarlo e farlo cadere a terra. Gli altri soldati, impreparati e intimoriti dal Frisone nero in testa, si fecero da parte al nostro passaggio. Così, con il sole splendente nel cielo terso, ci dileguammo all'ombra dei boschetti variopinti di Lessenia.
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La Caduta di Alexander
FantasyDel mio codice non ho vergogna o rimorso, sulla via del giusto e della radiosa fede è il mio cammino, sorretto dal pensiero di un confortante percorso, scalo la montagna e cerco la vetta sul finire del mattino. Tinta la mia lucida spada di rosso e f...