Il mare di nebbia

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Mi fermai quando il sole era già calato ben oltre la cima delle montagne. Il cielo mutava velocemente colore, passando da un rosso intenso ad un porpora sbiadito, trasformandosi poi in un viola delicato e, infine, tingendo il proprio manto di un blu profondo. La notte sopraggiunse e l'oscurità ci avvolse.
Posai Elizabeth e mi distesi, esausto, sul terreno brullo della piana. Non conoscevo quel luogo desolato, anche se ne avevo sentito parlare spesso: veniva chiamato "Mare Nebbioso" per via dei densi banchi di foschia che, immobili, impedivano la vista di qualunque cosa si nascondesse nelle tenebre. In effetti pareva di essere immersi in un'acqua spumosa e vorticante. Tesi l'orecchio per udire il suono ritmato delle Nacchere, ma nessun rumore giunse dal buio. Silenzio, un innaturale e assoluto silenzio. Un brivido mi corse lungo la schiena.
« Dove...dove siamo? » domandò improvvisamente Elizabeth.
Si era destata. Gli occhi erano arrossati dalla stanchezza e le labbra spaccate per la disidratazione. Gli accarezzai il capo con fare rassicurante.
« Non preoccuparti, riposati. Ne hai bisogno. »
« D-Daratan...dov'è? » chiese allora la ragazza, in bilico tra il sonno e la veglia.
Un dolore intenso, simile ad un punteruolo che penetrava nella carne, mi perforò il petto. Il mio sguardo scivolò indietro, verso la collina rocciosa alle nostre spalle. Non potevo vederla attraverso la nebbia, eppure riuscivo ad immaginarla. Un'enorme tomba fatta di sassi, pietre e polvere, priva di monumenti o lapidi di commemorazione.
Abbassai la testa fino a toccare le ginocchia.
« Penso sia andato a caccia. Dovremo pur mangiare qualcosa... » sussurrai.
Non avevo bisogno di mentire ad Elizabeth, lo feci per me stesso. Un turbinio di pensieri mi ottenebrò la mente, un branco di bestie feroci che si azzannavano a vicenda. Il rimorso si scontrava con la ragione, mentre la rabbia metteva a tacere la sofferenza. Non potevo permettermi dei rimpianti in quel momento, ma l'idea di aver perduto il fratello che avevo appena ritrovato mi faceva star male. Daratan. Stupido, ingenuo, eccessivamente altruista. "Non potevi fare nulla", "Il suo sacrificio era necessario", "Lui ha agito con criterio, salvarne due al posto di uno soltanto" erano le frasi che si ammassavano nel cervello, tentando di rincuorarmi. Eppure...eppure provavo amarezza. Il destino mi aveva concesso la possibilità di conoscere davvero mio fratello, per poi togliermelo l'attimo successivo. Era sbagliato, ingiusto. Ingrato.
Passarono alcune ore tranquille. Ero stanco morto, ma dovevo fare la guardia. Elizabeth si svegliò quando era ancora notte e mi obbligò a chiudere gli occhi almeno per il tempo rimanente al sorgere del sole. Protestai debolmente, sapendo che avevo davvero bisogno di dormire un poco.
Sprofondai quindi in un sonno agitato e colmo di ombre.

Ero in una stanza completamente bianca e spoglia. Davanti a me ardeva un braciere metallico, una sorta di coppa in ferro lavorata a mano. I tizzoni erano brillanti e vivi, segno che le fiamme si erano ritirate da poco. All'interno del braciere giaceva uno strano oggetto a forma di cuore, striato di rosso per l'effetto del calore. Allungai la mano e lo presi, senza scottarmi. Stranamente, l'oggetto sembrava freddo al contatto con la pelle. Lo rigirai per alcuni secondi, soffermandomi sulle linee delicate e morbide. Non avevo mai visto una cosa tanto semplice e tanto bella. Forse era fatto di cristallo.
Man mano che tenevo il cuore tra le mani, esso si crepava e sbiadiva. Per timore di vederlo in frantumi, lo riposai delicatamente sulla sommità del braciere. Il calore, tuttavia, stava svanendo e il luccichio delle braci andava affievolendosi. Soffiai con forza, ma il fuoco stava perdendo ogni energia. Così, disperato, cominciai ad urlare tutto il mio dolore.
Una mano pesante e callosa mi scosse improvvisamente.

« Dimmi che cazzo hai visto! » ringhiò una voce.
Avevo le palpebre pesanti e gli occhi che bruciavano. La nebbia vorticava incessante intorno a me, l'alba compariva ad Est.
Mi trovavo stretto nella morsa di un uomo estremamente basso, con il volto butterato, un barba incolta e i capelli arruffati. Lo sconosciuto brandiva un pesante martello da guerra con la testa decorata da strane rune. Indossava una giacchetta di cuoio aperta sul davanti, i muscoli del petto villoso scoperti e in bella mostra.
« Allora! » sputacchiò l'omuncolo « Che diavolo stavi sognando? »
Non riuscivo a capire. Guardai a destra e a sinistra, scoprendo di essere circondato da una serie di figure basse e massicce. Elizabeth stava in disparte, rannicchiata sul terreno bruno, e mi fissava con preoccupazione. Non sembrava ferita.
« C-chi siete? » domandai, con la bocca ancora impastata dal sonno.
L'espressione dell'ometto si fece più rabbiosa. Una lunga cicatrice ne deturpava il viso.
« Prima rispondi tu, poi ti rispondo io. »
« Ho visto... » tentai di ricordare i dettagli della stanza bianca « ...un braciere. Dentro c'era un oggetto, un cuore di cristallo...i tizzoni si stavano estinguendo, non potevo fare nulla per impedirlo... »
Lo strano uomo mi lasciò andare con un gesto brusco e si alzò. Lo spazio tra le gambe, il bacino e le spalle era irrisorio: un nano delle terre del Sud.
« Mi chiamo Tor'Kha. Tu sei Alexander. »
« Come...come fai a saperlo? »
Il nano ridacchiò e posò il martello sulle spalle.
« Tuo fratello ha parlato tanto di te. Mi aveva detto che veniva a prenderti. Dov'è finito quell'imbecille? »
Impiegai diversi secondi per comprendere la domanda. Non riuscii a dire alcunché. Tor'Kha mi fissò a lungo e le sue labbra, dapprima incurvate in un sorrisetto, si piegarono verso il basso.
« Quand'è successo? » brontolò.
« Meno di un giorno fa, sulla collina rocciosa. Tre Nacchere ci hanno intercettato. »
Percepii un lieve gemito. Elizabeth si era portata una mano sulla bocca.
« Ha deciso di concederci una possibilità di fuga. Mi ha spinto via, ordinandomi di scappare... » tentai di giustificarmi.
Il nano Tor'Kha fissò con insistenza un punto alle mie spalle, poi fece un cenno ai suoi compagni disposti a cerchio. Questi, borbottando, cominciarono a muoversi verso la nebbia.
« Tuo fratello era un bravo guerriero. Ne piangerò la morte. »
Anche lui fece dietrofront e si incamminò.
« Mi ha detto di cercarti, che tu sapevi dell'arma e della situazione di Myr! » urlai, scosso dal dolore.
« Se non sei riuscito a ravvivare il fuoco della Grande Fornace in sogno, non credo tu possa farlo nella realtà. »
Di che diavolo stava parlando?
Mi alzai e corsi verso Tor'Kha. Ero alto almeno il doppio di lui. Lo afferrai per una spalla e lo costrinsi a voltarsi.
« Daratan è morto per questa causa. Non ti permetterò di rendere futile il suo sacrificio. »
« I Cavalieri compiono un sacco di sacrifici, quasi tutti inutili. »
Il nano pareva quasi divertito. La rabbia mi corse nelle vene.
« Un sacrificio non è futile se è compiuto per un bene superiore! »
« Oh, certo! Morire per il fratellino e la sua ragazza è sicuramente una cosa da intelligentoni! »
Sollevai il braccio e, prima di rendermene conto, assestai un pugno sul naso di Tor'Kha. Tutti i nani comparvero all'istante dalla foschia, i grossi martelli impugnati. Tor'Kha biascicò qualcosa in una lingua sconosciuta, mentre con la mano si premeva il naso sanguinante.
« Daratan era un Uradel, il vero Uradel. Io, seppur debole, immaturo e impulsivo, tenterò di difendere il suo onore come posso. Insultalo un'altra volta e ti farò rimpiangere di essere nato. »
« Vedo che non sei uno smidollato. Ti permetterò di vedere la Fornace e ti spiegherò come usarla contro la Morte. »  

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 09, 2016 ⏰

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