Uradel persi nel tempo

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Era passato mezzogiorno. Sul terreno si depositava, lentamente e inesorabilmente, un manto di foglie brune, gialle e arancioni. Nonostante l'ora, l'ombra dei grandi alberi del bosco rendeva l'ambiente fresco e umido.
Ci fermammo, con i cavalli stremati, sul limitare di un ruscello. Avevo le gambe doloranti per la cavalcata e una fame tremenda. Elizabeth si svegliò di soprassalto, perché il ritmico ondeggiare del viaggio l'aveva fatta cadere in un sonno profondo. Probabilmente era anche molto stanca.
« Facciamo una pausa di un'ora, poi ripartiamo. » disse deciso il gigante nero.
Con una borraccia raccolse un poco d'acqua fresca da ruscello, poi depositò una pesante sacca di cuoio accanto ad un tronco. All'interno della sacca c'erano pane, formaggio e un prosciutto stagionato. Mi venne l'acquolina vedendo tutti quei viveri, ma ero anche leggermente frastornato dalle parole del nostro salvatore.
« Un'ora? Gli animali non reggeranno questo ritmo. »
« I cavalli no. Noi sì. »
Mi tremarono tutti i muscoli del corpo sentendo quella frase. Elizabeth si era già distesa sul terriccio a riprendere le forze.
« Forse tu hai energie da vendere. » protestai « Ma noi siamo stanchi morti. »
Il gigante, che ancora non si era levato il cappuccio dalla testa, mi ignorò e scelse delle porzioni dalla sacca. Ci lanciò senza troppe cerimonie la nostra parte di pranzo.
« Ti sono grato per il salvataggio, davvero. Tuttavia, non capisco perché ora tu voglia ammazzarci di fatica! » insistetti.
« Le pattuglie di Myr hanno cavalli freschi ad ogni staffetta, segugi e falchi d'avvistamento. Possiamo rimanere qui ed aspettare che ci trovino, oppure abbandonare i destrieri e inoltrarci nella boscaglia sperando di sfuggire al loro sguardo. »
Fissai Elizabeth e lei mi guardò di rimando; pareva divertita da quella conversazione. Mi sdraiai con il broncio sulle foglie bagnate e cominciai ad addentare di malavoglia il formaggio dolce. Poco dopo, con la pancia piena e la mente lucida, mi risultò chiara la pressione che doveva percepire l'uomo ammantato di nero.
Mangiammo in silenzio per una decina di minuti. Il bosco ci attorniava con le sue sagome contorte e i suoi rumori indescrivibili. Ragni dai colori variopinti si destreggiavano a costruire ragnatele da un ramo all'altro, mentre uccelli stranissimi facevano a gara per corteggiare le femmine. Di tanto in tanto si udiva l'ululato dei lupi.
« Come ti chiami? » domandò, ad un certo punto, Elizabeth.
Era evidente che il gigante non volesse mostrare il suo viso. Parve tentennare addirittura su una richiesta così semplice.
« Daratan. » rispose infine.
Daratan. Quel nome mi suonava familiare, come se l'avessi già letto o sentito da qualche parte. Eppure ero certo di non aver mai incontrato l'uomo nero prima d'ora.
Elizabeth, invece, strabuzzò gli occhi. Aveva intuito la persona o si era semplicemente sorpresa per la stranezza del nome? La guardai a lungo per comprendere cosa gli passasse per la mente, ma non riuscii a cavare un ragno dal buco. Sarebbe stato scortese discuterne in quel momento, anche se non mi piaceva rimanere all'oscuro dell'identità misteriosa del nostro salvatore. Decisi di restarmene in silenzio, fingendo di riposare all'ombra di un albero ancora provvisto di foglie. Percepii lo sguardo del gigante per tutto il tempo.
« Forza, abbiamo riposato abbastanza. »
Ci alzammo in tutta fretta, lasciando andare i cavalli.
La foresta si prospettava più buia e intricata del previsto. Dovevamo camminare in linea retta per non impigliarci negli arbusti e in mezzo ai rovi. Questo mi diede l'occasione per parlare in tranquillità con Elizabeth, bisbigliando. Il gigante, nel frattempo, stava in testa alla fila per liberare la strada.
« Perché hai fatto quella faccia, prima? »
« Quale faccia? »
Sospirai.
« Tu hai capito di chi si tratta, vero? »
« No. Attento, potrebbe sentirci. »
« Perché mentirmi? Sono stato sgarbato con te, vero...ma non merito le menzogne. »
Elizabeth abbassò lo sguardo. Il suo viso, seppur sporco, splendeva della bellezza giovanile. Sembrava smarrita.
« Mento perché so che non la prenderesti bene. » sussurrò.
« Prometto che non mi arrabbierò con te. »
Lei alzò nuovamente gli occhi e fece un mezzo sorriso. Il mio stomacò brontolò: non era fame.
« Mi hai trattata bene, non preoccuparti. Ho apprezzato la tua protezione, quando eravamo in cella. »
Il complimento mi fece volare a tre metri da terra. Era stupido, molto stupido, eppure non riuscivo a cancellare quel senso di attaccamento che rendeva prezioso ogni momento in sua compagnia. Forse l'Imposizione rappresentava un vincolo magico, oltre che legale. Oppure ero...innamorato?
« Daratan... » cominciò la ragazza « ...è il nome di un Cavaliere bruciato sulla pergamena di un albero genealogico molto antico. Un atto tanto spregiudicato deve essere preceduto da un crimine estremamente grave, non trovi? »
« Sì. » confermai « Essere eliminati da una famiglia è una grande punizione. »
« Ecco... »
Elizabeth si morse il labbro.
« Cosa? Che famiglia era? »
« Uradel, del Nord. »
Andai a sbattere contro un ramo basso, maledicendo tutti gli dei. La botta in testa, tuttavia, non mi aveva svegliato dall'incubo.
Per non destare sospetti, continuai a camminare come se nulla fosse.
« Credo...credo che Daratan sia tuo fratello... »
Inciampai in un rovo spinato e caddi a terra rovinosamente. Cento graffi non sarebbero bastati a farmi ignorare la ferita che si era appena aperta nell'anima.  

La Caduta di AlexanderDove le storie prendono vita. Scoprilo ora