Capitolo 8

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    Uscimmo di lì il più in fretta possibile, non volevo vedere quel posto mai più, avevamo concordato che nessuno di noi ne avrebbe fatto parola men e men che meno con mio padre o con la bibliotecaria della scuola, la madre di Lisa. Ci tenemmo le chiavi, che a turno avremmo custodito nel caso gli adulti si fossero accorti della sparizione e avessero voluto controllare nei nostri zaini. Una volta usciti dalla scuola non sapevamo cosa fare, eravamo tutti storditi e scioccati,così optammo per andare a bere una cioccolata calda nel bar in centro al paese di Sassuolo, dove era ubicata la nostra scuola; abitiamo in un piccolo paese di collina nella regione Emilia Romagna, ma ogni mattina dobbiamo prendere l'autobus per arrivare fin qui, sono circa 20 minuti buoni, 30 se fa brutto tempo. Era una serata fredda e umida di gennaio inoltrato, tirava un forte vento che si infilava sotto ai nostri cappotti, sotto il berretto e fra i capelli facendoci rabbrividire ad ogni passo. Proprio quando stavamo per arrivare, la sciarpa di Lisa volò via e andò a incastrarsi tra i rami di una grossa quercia, cercò di riprenderla saltellando con ostinazione, ma fu tutto inutile. Scoppiammo tutti a ridere quando, dopo il decimo tentativo scivolò e finii su un mucchio di neve fresca caduta da poco. Aveva nevicato tutta la mattina, le strade e i marciapiedi erano completamente coperti da un coltre bianca che aveva allarmato i cittadini, mobilitando decine di spala neve in tutto il paese; da noi non nevicava spesso, ma quando arrivava c'era sempre una gran confusione. Erano ormai le tre e mezza, noi eravamo ancora ai piedi dell'albero, intirizziti dal freddo, ma Lisa non aveva intenzione di andarsene senza il suo prezioso capo d'abbigliamento:<< Come facciamo con mia sciarpa? Non ho intenzione di lasciarla lì! Se poi viene a piovere si inzuppa tutta e si rovina, me l'ha regalata mia zia quando è andata in viaggio in Perù,non voglio perderla>>. Lei e Riccardo si scambiarono uno sguardo, poi lui si tolse i guanti e cominciò ad arrampicarsi, avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei. Preoccupate che cadesse ci avvicinammo al tronco tenendo le mani alzate, per cercare di attutire una possibile caduta. Dopo essere scivolato parecchie volte riuscì ad arrivare in cima al ramo dove era incastrata la sciarpa. Si sporse in avanti un po' alla volta tenendosi con una mano e i piedi,mentre l'altra era distesa in avanti. Improvvisamente un passante, spaventato dalla scena, si avvicinò e gli ammonii di scendere se non voleva finire per rompersi qualche osso. Riccardo preso alla sprovvista perse l'equilibrio e cadde, sbattendo più volte tra i rami, spaventate gli corremmo incontro e lo vedemmo sdraiato per terra che si contorceva dal dolore, entrambe le mani posizionate sul collo del piede. Molto probabilmente si era rotto la caviglia. Il signore,ancora più spaventato di noi chiamò immediatamente l'ambulanza che arrivò nel giro di pochi minuti. Riccardo venne issato sulla barella e caricato sul camioncino, si vedeva che stava soffrendo ed era spaventato, aveva sempre odiato gli ospedali. Chiedemmo se potevamo accompagnarlo e dopo varie insistenze, riuscimmo a salire. Sarei andata nello stesso ospedale dove lavorava mia mamma, lì mi conoscevano tutti e presto avrebbe saputo del mio arrivo, come avrei fatto a spiegarle cosa era successo se a quell'ora avrei dovuto essere nella cantina a lucidare le medaglie?tii Ri'

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