11 ovvero Pesce Secco

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Antonietta non aveva la minima idea di quello che stava per succedere da li a poco: nel clamore suscitato dalla figlia di Marilena, si era persa la novità del banco 366, il banco dal quale tutti si tenevano lontani, il banco di Pietro, quello con il braccio destro un po più corto per un problema di sviluppo fetale. Il banco che secondo l'opinione comune non c'entrava nulla, ma proprio nulla con il mercato rionale: il banco che vendeva il pesce secco per i piatti asiatici. 

Pietro aveva avuto una ovviamente difficile infanzia e ancor più adolescenza, perchè se c'è qualcosa che nessuno ti perdona, a maggior ragione se non ne hai colpa, è l'essere nato diverso, peggio ancora con una difficoltà. E pertanto aveva ereditato dal padre un banco al mercato dove vendeva il lucido e le spazzole per pulire le scarpe, i lacci di ricambio, le solette antifetore (si, lo sappiamo tutti che si chiamano antiodore, ma Pietro da bambino, aveva preso la decisione che un odore cattivo era un fetore, e che quindi le solette si dovessero chiamare antifetore) e altri prodotti di piccolo taglio per la cura delle scarpe.

Poi un giorno si rese conto che nessuno più aveva voglia di passare il tempo a lucidare le scarpe se poteva tranquillamente portarle al servizio express onnipresente nei centri commerciali, e scelse di riconvertire l'attività.

Un giorno si trovò a passare per il mercato un giovane cinese appena arrivato in Italia di nome Cao; con la Cina negli occhi e nel cuore, Cao aveva girato già ben 3 mercati rionali nella speranza di trovare il pesce secco per preparare le zuppe e il riso come da tradizione cinese, ma a quanto sembrava, nessuno vendeva o sapeva dove comperare il comune ingrediente. Spinto dalla voglia di imparare qualche parola di più e soprattutto di socializzare, Cao si intratteneva un po con tutti nel principale centro di aggregazione, il mercato. Quello più semplice da gestire sia per i rapporti che per il linguaggio.

Fra i tanti, non gli sfuggì di notare Pietro, un po per la sua diversità, un po per il fatto che fosse uno dei pochi che non vendeva generi alimentari.

E così, una parola tira l'altra, venne fuori che Pietro non sapeva come sbarcare il lunario e Cao non riusciva a trovare il pesce secco.

La combinazione alchemica di idee e bisogni fu letale! Cao si preoccupò di fornire a Pietro un contatto a Firenze di un amico cinese che importava container di prodotti alimentari dalla Cina per distribuirli nel mercato parallelo della Grande Distribuzione Etnica. Pietro decise di seguire il filone innovativo della cucina asiatica proponendo agli abituali clienti che frequentavano il mercato un prodotto che nessuno avrebbe saputo come impiegare in cucina: il pesce secco!

Trascorso il primo mese con incasso zero, Pietro capì di aver fatto uno degli errori più clamorosi della sua vita. Ma ormai bisognava prenderne atto e correre ai ripari in modo da non scombinare troppo le cose. 

"Se non lo vogliono loro, il pesce secco, allora dovrò far venire qui le persone che lo vogliono!" pensò acutamente Pietro. Ma il problema era proprio questo: chi voleva il pesce secco? 

"Gli asiatici!" si rispose da solo. "Cinesi, malesi, thailandesi, ecc. Quelli, insomma, che mangiano questo tipo di cucina!" Il problema ora stava nel far convergere sul mercato una massa di clienti che non avevano altro interesse nei prodotti mediamente venduti lì e che si rivolgevano ad altri centri di smistamento e distribuzione dei prodotti tipici della loro cucina.

Con l'aiuto di Cao, che si sentiva in parte responsabile della scelta di Pietro, iniziò un passaparola che in capo ad un mese riuscì a riportare in pareggio e poi in lieve attivo i conti del banco 366.

L'idea che Cao aveva lanciato e diffuso nella comunità era che a turno qualcuno si recasse da Pietro per fare la spesa per sè e per altre persone che, a rotazione, avrebbero fatto altrettanto. Ma questo a Pietro non bastava. Gli venne in mente di far diventare il banco 366 un punto di aggregazione per gli asiatici, montando uno schermo sul fondo del banco per trasmettere i telefilm a puntate ( una delle cose più trash in circolazione)prodotti dall'industria televisiva del sudest asiatico.

Immaginare una scena simile nel mercato che viveva ancora con la lingua delle campagne circostanti in sottofondo aveva del grottesco.

Eppure Pietro non si dava per vinto. Aveva scaricato illegalmente da Internet le puntate delle serie più conosciute (su indicazione chiaramente dei clienti) e le trasmetteva in loop sullo schermo fra le risate e le prese in giro continue degli altri commercianti.

Ma a Pietro non interessava, almeno finchè questo gli portava clienti e, finalmente, dei quasi amici con cui passare un po di tempo.

Una mattina Pietro arrivò con due piccole casse altoparlanti alimentate a batteria che, collegate allo schermo, avrebbero consentito a tutti di sentire meglio le trasmissioni (ovviamente in lingua originale, e dunque incomprensibili!) e soprattutto avrebbero attirato più gente, almeno per curiosità.

Antonietta non si era accorta che quel frastuono che si mescolava al vocio del mercato, quella mattina, significava proprio l'inizio delle trasmissioni ad alto volume. Ma il destino era segnato: dopo circa un'ora le casse esplosero fragorosamente dall'interno mandando in pezzi una parte dell'impianto artigianale nonchè i sogni di Pietro.

Eppure non si capiva cosa fosse andato storto: le casse provenivano dal negozio di casalinghi ed elettronica di uno dei clienti di Pietro. Non che questa fosse una garanzia, ma almeno avevano un'origine certa.

Le batterie erano una novità da poco sul mercato, potenti e resistenti come poche, costavano la metà, per cui Pietro aveva scelto a colpo sicuro.

Quando lo scoppio interruppe la convulsione delle prime ore del mercato, Antonietta fu tra le prime ad intrufolarsi per vedere cos'era successo.


Le pile all'uranioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora