Capitolo 11: Un puzzle di pensieri sfuggenti

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-Hermione! Hermione!-

Harry scuoteva il corpo della moglie, pallida e rigida nella stretta delle sue braccia. Il volto di Hermione era contratto, gli occhi spalancati su un vuoto terrificante, le labbra strette in quella smorfia di disappunto che Harry conosceva troppo bene. Gerald si avvicinò ai due e all'improvviso il corpo di Hermione iniziò a tremare e a contorcersi, preda di convulsioni come lo era stato anche quello di Gerald, nell'ufficio da Capitano del Dipartimento Auror di Harry. Fece appena in tempo a schivare una ginocchiata della donna ma non vide il gomito calare sulla sua gamba. Cadde a terra, stringendosi il ginocchio, incredulo della forza fisica che la donna dimostrava in quel frangente.

Hermione continuava a scalciare, tossendo e sputando schiuma dalla bocca rossa come il sangue. Harry, sconvolto, la lasciò andare e prese la bacchetta, mormorando ripetutamente -Innerva!-

Quando comprese che le convulsioni erano di gran lunga peggiori di quelle avute da Gerald, afferrò il giovane per un braccio e sibilò -Resta qui in casa con i bambini, io vado al San Mungo.-Harry afferrò Hermione, sollevando il suo corpo tremante, e scattò verso il camino, afferrando e gettando goffamente un pugno di polvere in questo, svanì tra le alte fiamme verdi che subito apparvero, lasciando dietro di se solo sbuffi di fumo e polvere.

Gerald si sedette sul divano, atterrito.

Non ho mai badato a dei bambini!


**

Harry attraversò rapidamente file e file di bianchi corridoi e vecchi quadri con Medimaghi ingessati e calvi, quasi scivolò davanti la porta del suo vecchio compagno di scuola Finnigan, era sorprendente come il ragazzino che era bravo a far esplodere oggetti, ora salvasse vite umane.

-Seamus!- sbraitò a gran voce. Sapeva che l'amico avrebbe fatto il turno di notte e per quanto capisse il suo fastidio nell'essere svegliato a quel modo, non c'era tempo per le buone maniere.

Il Medimago, Seamus Finnigan, o dottore del sex appeal, come insisteva nel farsi chiamare quando era palesemente sbronzo, aprì la porta, mostrando il viso pallido, gli occhi cerchiati e i capelli sparati in ogni possibile direzione.

-Si...-biascicò, stropicciandosi gli occhi -Posso esser...Oh! Hermione!- spalancò la porta e uscì in fretta, quando si accorse di chi aveva davanti.

-Cosa ha avuto?-

Harry seguiva i passi rapidi di Seamus, attraverso l'intreccio di corridoi sempre dannatamente bianchi, fino alla porta di una delle sale destinate agli Auror feriti in servizio, la spalancò e indicò a Harry uno dei letti, sotto la finestra che mostrava il cielo nero di Londra.

-Una crisi come quella di Thompson.- mugugnò Harry, mentre cercava di stendere Hermione sul lettino senza farle, e senza farsi, del male. Seamus alzò i limpidi occhi azzurri verso Harry -Un'altra crisi?-

Harry annuì appena -Ti prego, non fare domande. Non saprei risponderti e non potrei farlo in ogni caso.-

Seamus deglutì -Voi Auror e le vostre dannate indagini.- borbottò, mentre agitava lentamente la bacchetta su Hermione. Se non avesse visto Seamus all'opera in quegli anni, si sarebbe preoccupato di vedere Hermione esplodere.

Rimase a guardare il viso della donna distendersi, mentre i movimenti si facevano sempre più affaticati e lei scivolava via, lasciando solo un corpo sudato ma finalmente calmo. Seamus le depose una pezza bagnata sulla fronte, poi appoggiò la bacchetta nell'incavo del braccio e la punta si illuminò, con un bagliore rossastro.

-La febbre non è molto alta. Passerà in fretta...immagino che tu rimarrai qui, come sempre.-

Non era raro che gli Auror si ferissero, ma nessuna compagna o moglie si era fermata tanto a lungo quanto Hermione aveva sempre fatto al suo capezzale, di certo non si sarebbe ritirato. Si sedette sulla scomoda poltrona di pelle, ricordando quante volte era stata Hermione a stare seduta, guardando il suo volto stanco e il suo corpo ferito con la stessa espressione angosciosa che indossava ora sul suo viso. Per quanto certo della sua veloce ripresa, soffriva nel vederla così inerme.

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