Capitolo 26: Lama beffarda

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Severus aprì gli occhi nero pece, le pupille erano dilatate mentre l'uomo cercava di mettere a fuoco le quattro chiazze indistinte che percepiva nel suo campo visivo. Per qualche minuto fu in grado solo di distinguere due figure sfocate dai contorni nerastri, una chiazza blu e un'insopportabile fulgore biancastro, quando un lampo accecante ferì il suo sguardo e improvvisamente vide.
Come tessere di un puzzle, frammentate, le figure si svelarono a lui: scorse nella chiazza bluastra un'Hermione Granger che stava seduta sul bordo del letto bianco, i capelli stretti in una disordinata crocchia da cui riccioli castani sfuggivano ad incorniciarle il viso pallido e la camicetta blu notte stropicciata, Harry Potter era in piedi, raggelato di fronte al suo capezzale, il ragazzo sembrava aver acquistato l'immobilità di una statua mentre gli occhi smeraldini, così simili a quelli di Lily, erano pieni di stupore e sollievo, Gerald Thompson tremava, seduto su una poltroncina di pelle accanto alla porta, non fissava il suo capezzale, teneva il volto basso, concentrato sul suo grembo.

La risata roca di Seamus Finnigan lo riscosse -Salve professore...ci ha fatto prendere uno spavento, sa?- borbottò -la situazione dovrebbe essere stabile...mi raccomando ragazzi, non turbate il paziente.-

Turbare? Paziente?

Severus percepì una fitta d'imbarazzo e mugugnò -Sono sopravvissuto a Tom Riddle...penso di poter sopravvivere ad un paio di domande, Finningan.-
Il commento acido raggiunse le orecchie del ragazzo ma il giovane mago lasciò che questo gli scivolasse addosso e chiuse la porta della stanza alle sue spalle, sbuffando.

Harry rimase qualche istante ad osservare la porta chiusa, poi inspirò profondamente e si accostò a lui, sporgendosi in avanti e stringendo il supporto d'acciaio del letto.
Severus vide lo sguardo del giovane offuscarsi e riconobbe, nella profondità smeraldine, ombre e demoni agitarsi in superficie.

Cosa è successo?
Cosa ti è accaduto, Harry?

Mai aveva visto, nemmeno nei giorni più bui della Seconda Guerra, né tantomeno al suo termine, quando i vivi piangevano i morti e Potter sentiva sulle sue spalle il peso di infinite anime cadute, i suoi occhi così tormentati. Pozzi d'oscurità che per anni Severus aveva portato sul suo viso, ora occupavano quello di Potter. Severus rabbrividì; cosa avrebbe detto Lily se avesse visto quei demoni assalire il figlio?
Le si sarebbe spezzato il cuore. Severus pensò di sentirlo, per un istante, breve ma intenso, il rumore del cuore di una madre che si spaccava davanti al tormento del Prescelto.

Cosa aveva annientato l'innocenza e la combattività del Prescelto?

La voce di Harry, roca e sibilante, come se ogni sillaba fosse uno sforzo pesante, come se avesse un masso incastonato tra le corde vocali che soffocava ogni suono, gli provocò la pelle d'oca -Severus...ho bisogno che mi guardi.-
Oltrepassò la Granger, che ora gli appariva incredibilmente debole e piccola e ignorò quella figura raggomitolata sulla poltrona, concentrando la sua attenzione su Potter.

Harry appariva grande oltre ogni misura, nonostante i demoni, nonostante il buio, nonostante la tensione. Era robusto, adesso, dritto, con i pollici infilati nei passanti dei jeans scuri, ostentava sicurezza ma il piccolo sorriso sulle labbra era ancora genuino.
Severus ritrovò per un breve istante il ragazzino maldestro e ne fu rassicurato.
Era quel piccolo sorriso, quello sprazzo di gentilezza nel volto maturo e turbato, che regalava fiducia agli altri.

E Severus tremò. La mente non era più ottenebrata dall'intricata ragnatela d'incantesimi curativi, era lucido e attento.

Ricordava.

E chiuse gli occhi, un turbine di immagini gli si affollava dietro le palpebre serrate. Vorticose, confuse, pressanti nella sua mente, le tessere si incastravano le une accanto alle altre, univano i bordi frastagliati alla ricerca di un significato, di una visione che fosse chiara, precisa. Non avrebbe potuto descrivere a Potter cosa era avvenuto, sapeva che quell'idiota di Finnigan aveva ragione.
Non ne aveva le forze.
Tenere gli occhi neri aperti, anche socchiusi, schiudere le labbra, parlare...era impossibile. Era troppo. Ogni fibra del suo essere era pervasa da una sonnolenza che sfociava in una letargia profonda, testa e piedi formicolavano.
Voleva solo chiudere gli occhi e dormire...doveva chiudere gli occhi e dormire.

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