Innanzi tutto, devo avvertirvi.
La storia che vi sto per raccontare andrà oltre i limiti dell'ordinario. Probabilmente molti di voi non crederanno alle mie parole, e penso che sia più che giusto. Ognuno ha il diritto di credere a ciò che preferisce.
Comunque, io vi ho avvertito.
Dovrei precisare che io non sono una persona come le altre. Anzi, io sono unica.
Lo so, dicendo questo perdo già parecchi punti in partenza, perché ora penserete che sono una di quelle ragazze che si sentono delle fighe assurde e cose del genere. In mia difesa, posso dirvi che non è così. Non sono affatto una figa assurda, se è quello che vi state chiedendo. Cioè, non sono nemmeno il tipo di ragazza abbastanza bella da causare tamponamenti a catena quando attraversa la strada, per dirne una. Nessun automobilista ha avuto mai alcun incidente perché distratto dalla mia bellezza.
Quando dico che sono unica, intendo tutt'altra cosa. Non ho nemmeno tre teste, comunque, se è quello che vi state chiedendo.
E poi, dovrei spiegarmi meglio: non sono proprio unica, diciamo che sono unica nel mio genere.
Ora, avendo fatto le mie premesse, dovrei cominciare col raccontare che questa storia iniziò con un'esplosione, anche se, sinceramente, non è andata proprio così, ma giuro che ci arriveremo presto.Comunque, la prima esplosione è il motivo per cui le cose che sto per raccontarvi cominciarono a prendere vita.
O, per dirla a modo mio, il motivo per cui la mia vita cominciò a prendere una piega decisamente pietosa.
Ora, non mi piace fare la vittima, né niente del genere, quindi non starò qui a piangermi addosso, non ora che so perché stava succedendo tutto quel che stava succedendo.
Comunque, dico sul serio, la mia vita era diventata una cosa pietosa.
Bene, tornando all'esplosione, avvenne nella zona industriale di Belleville, poco lontano da casa mia - ovviamente, se non conoscete Belleville, è giusto informarvi che tutto è poco lontano da tutto, visto che è una cittadina grande quanto la mano di un neonato.
Dicevo, l'esplosione avvenne nella zona industriale. Fu una fabbrica di saponi o qualcosa del genere, a saltare in aria. I telegiornali ne parlarono per un'infinità di giorni, e sembrava che tutti a Belleville soffrissero per l'incidente.
Il che, direte voi, era comprensibile, giusto?
Insomma, chissà quanti lavoratori erano morti, in quell'incidente. Chissà quanti danni aveva arrecato alla nostra povera popolazione, quell'incidente...
Beh, ve lo dico io: nessuno avrebbe dovuto preoccuparsi, e nessuno avrebbe dovuto essere triste. E non perché siamo un popolo di insensibili, sia chiaro. Ma perché - e non ditemi che non vi avevo avvertito! - quella fabbrica non era mai esistita. Quindi, non c'era nessun lavoratore dentro. Ovvero, nessun morto. Niente di niente, lo giuro.
Lo so, è assurdo credermi, ma vi assicuro che non c'era nessuna fabbrica di saponi lì, nonostante tutti fossero convinti che ci fosse. E tutti erano convinti che fosse saltata in aria, e che fossero morti un sacco di uomini innocenti.
Dunque, io comunque sapevo che non era così, lo sapevo io e lo sapevano anche altre persone, ma per ovvi motivi non potevamo dirlo.
Innanzitutto, è bene avvertirvi che io ho sempre vissuto un lato della mia vita in modo segreto. Cioè, è chiaro che ci sono delle cose che non potevo mostrare al mondo intero, ok? Ecco, una di queste cose era che quella dannata fabbrica di saponi non era mai esistita. E comunque, la maggioranza della popolazione ci credeva, quindi provare ad affermare il contrario sarebbe stato inutile.
Ora, dovete comprendere che di fronte a certe situazioni, e a certe persone, alcuni comportamenti sarebbero stati totalmente inutili.
Comunque, dato che non piangevo la perdita di alcun lavoratore-mai-esistito o cose simili, vi starete chiedendo perché mai quell'esplosione fu così importante. Ecco, quel giorno, il giorno dell'esplosione intendo, fu anche il giorno in cui venni mollata, di punto in bianco, dal mio ragazzo.
Oh, per dire le cose come stavano, non è che venni "mollata". Venni proprio abbandonata.
Mi lasciò un biglietto scritto in tutta fretta, su un dannato post-it giallo. Lo aveva appiccicato al frigorifero, e c'era scritto "Giuro che potrò spiegarti tutto, spero di tornare presto. XO, Frank".
Sorvolando lo stato d'ansia che prese il sopravvento in quel momento, comunque, pensai di aver bisogno di parlarne con qualcuno. Insomma, non ero un geniaccio, ovviamente, ma non ero nemmeno stupida, e potevo affermare con certezza che quella finta esplosione e la sparizione di Frank fossero due eventi ben collegati tra loro.
E' giusto, nonostante non sia una cosa facile, parlarvi di Frank, a questo punto.
Bene, anche lui era speciale. Cioè, per speciale intendo proprio speciale. Come lo ero io, insomma.
Comunque, io definivo Frank il "figlio di tutti". E non perché sua madre fosse una di quelle delle quali non potevi dire con certezza di chi fosse il bambino che portava in grembo, sia chiaro. Lo definivo il figlio di tutti perché tutti gli volevano un bene dell'anima. Giuro, eh, non sto esagerando. Anche mio padre, a volte mi stupiva, per quanto si dimostrasse affezionato a Frank. Cioè, non era una cosa normale, a volte mi faceva venire il sangue al cervello tutto quel suo modo di fare nei confronti di Frank.
Ma riuscivo a comprenderlo, perché insomma, Frank era Frank, e nessuno poteva resistergli, nemmeno io.
Nemmeno voi, ne sono certa. Anche se devo ammettere che non è che mi innamorai di lui perché era il tipo di persona che aiutava una vecchietta ad attraversare la strada. Cominciai a legarmi a lui quando entrambi scoprimmo di avere tante cose in comune. O solo una, in realtà, ma dato che questa cosa ricopriva gran parte della nostra essenza ed esistenza, dire tante sarebbe lo stesso.
Ora, come ho detto, Belleville è piccolissima, quindi non c'è da stupirsi se dico che c'era una sola scuola pubblica, che sia io che Frank frequentavamo.
Nonostante questo, comunque, non è che io e Frank fossimo amici, ai tempi, né niente del genere. Cioè, le nostre vite non si incrociavano mai, fatta eccezione per i momenti in cui era ovvio che si incrociassero, tipo quando avevamo lezione insieme e cose del genere. Insomma, se Belleville era una cittadina piccolissima, potete immaginare quanto ancor più piccolo fosse il suo unico liceo.
Insomma, come ho detto, ci sono delle cose che non puoi prendere e raccontare al mondo intero, e fortunatamente ho ricevuto - al riguardo - un'educazione alquanto chiara da mio padre. Si, giusto, mio padre sapeva tutto. E quando dico tutto, intendo proprio tutto, anche le cose che io non sapevo!
Dunque, mi aveva insegnato a tenere per me le mie abilità. Ogni tanto era frustrante, ma lui riusciva a tenere la situazione sotto controllo, ad esempio ricordandomi quanto fosse più divertente manipolare la mente della gente, se la gente non sapeva che riuscivo a farlo. E comunque, come ho detto, non sono mica una stupida, non avevo certo intenzione di correre per Belleville urlando "Ehi! Ho dei superpoteri!", ci mancherebbe. Quindi, anche se mio padre preferiva che non facessi uso delle mie abilità, sapeva che comunque non gli avrei dato retta. Dai, vorrei vedere voi, da adolescenti, con il mio potere, cosa avreste fatto. Anzi, secondo me sono stata anche fin troppo brava a mantenermi nei limiti. Ah, per la cronaca, appunto - e giuro che nemmeno ora voglio vantarmi né niente del genere! - mio padre mi diceva sempre che avrei potuto conquistare il mondo. Me lo diceva sin da quando ero bambina, e beh, è ovvio che inizialmente credevo che me lo dicesse solo per aumentare la mia autostima - almeno, fin quando non venni alla scoperta del fatto che aveva dannatamente ragione. Ma quel momento arrivò molto più tardi.
Per chiarirvi le idee, io ho il potere di manipolare la mente della gente. Anzi, io ho più poteri mentali, in realtà, ma il primo di cui venni a conosceza era proprio quello di manipolare le menti.
Successe per caso, in realtà, e ai tempi ero solo una ragazzina.
Comunque, torniamo a Frank. La sua abilità era quella di potersi rendere invisibile. Dico sul serio, proprio invisibile.
Anche lui, come me - certo, non era mica uno stupido, Frank - teneva la cosa per sé, ma poi arrivò il giorno in cui entrambi dovemmo uscire allo scoperto. E posso ammettere che quello rientra tra uno dei giorni più belli della mia vita.
Ora, è chiaro che avere uno strano potere non è propriamente normale, o almeno, per me non lo era, quindi mi sentivo davvero strana. Come ho detto, mio padre sapeva sempre tantissime cose - davvero tantissime! - quindi mi parlava sempre di altre persone con delle strane e quasi assurde capacità, ma io non ne avevo mai conosciuta una, e a volte mi ero ritrovata a chiedermi se mi parlasse di altre persone come me solo per non farmi sentire un'aliena sola al mondo. Comunque, nonostante mio padre fosse stato sempre chiaro sul fatto che non dovessi parlare a nessuno dei miei poteri, non posso negare che quando Frank mi scoprì una parte di me si sentì immediatamente sollevata.
Avevo 15 anni ed ero nell'ufficio del Preside, perché quella stronza di Kitty mi aveva presa a parolacce ancora una volta, ed io le avevo letteralmente strappato una ciocca di quei suoi lunghi capelli color nocciola dalla testa, nell'intento di... beh, si, non ne potevo più e volevo appunto farle del male.
Comunque, per chiarire, non è che io sia un tipo aggressivo, in genere. Ma quella Kitty mi tormentava da sempre.
Ecco, c'è da dire anche che io non ero simpatica quasi a nessuno. Per essere chiari, tutti avevano un'idea sbagliata di me. Ora, io riuscivo anche a comprenderlo, ma non potevo farci nulla.
In pratica, mio padre era sempre stato iperprotettivo nei miei confronti, anche se ai tempi non riuscivo a capire il perché. Era così protettivo che io avevo una guardia del corpo.
Dico sul serio, un omone alto e robusto che mi accompagnava a scuola in una macchina stracostosa con i vetri antiproiettile. Nemmeno fossi stata la figlia del Presidente!
E' chiaro che per me, essendo cresciuta in quel modo - intendo, sempre protetta e tutto il resto - era quasi normale, ma per i miei compagni di scuola non lo era affatto. Insomma, ovviamente pensavano che fossi una cazzo di principessina con la puzza sotto il naso, perché l'accostamento di una guardia del corpo, unito al fatto che per essere sicura che nessuno scoprisse le mie capacità preferivo starmene sulle mie, aggiunto alla mia capacità di ottenere tutto quello che volevo - e dico, tutto! - da chiunque mi faceva sembrare davvero una ragazzina spocchiosa e viziata. E Kitty mi detestava per questo. E quel giorno, non lo so, non la sopportavo più e così le saltai addosso e le strappai via una ciocca di capelli, guadagnandomi un richiamo dal Preside della scuola.
Il punto è che io avevo la capacità di manipolare la mente di chiunque - o beh, quasi, visto che mio padre per esempio non rientrava in quella lista - e beh, mi bastò dire"Non credo di meritare una punizione", che il Preside mi congedò dicendomi che non credeva meritassi una punizione.
Si, era così semplice, davvero.
Quando uscii dall'ufficio del Preside - dopo averlo convinto anche a lasciarmi uscire prima saltando così le successive ore di educazione fisica - mi incamminai verso la zona industriale di Belleville, perché in quel posto c'erano solo fabbriche e non ci incontravi mai nessuno che stava lì a passeggiare e cose simili, quindi potevi farti gli affari tuoi e tutto il resto. Era - tristemente - uno dei miei posti preferiti della città.
Ovviamente, non ero completamente sola, e il punto è che cominciai a svilluppare i miei poteri solo dopo, quindi in quel momento non riuscivo a sentire la presenza di nessun altro. Quindi potete immaginare come saltai letteralmente dallo spavento, quando sentii una mano afferrarmi la spalla, dietro di me.
Giuro che me la feci sotto, sopratutto perché più andavo avanti con gli anni, più mi rendevo conto che se mio padre non era il Presidente degli Stati Uniti, ed io ero l'unica persona in tutta Belleville a girare con una guardia del corpo, significava che avevo qualcosa di cui preoccuparmi seriamente.
Pietrificata, mi voltai quasi contro voglia. Insomma, andavo in giro con una macchina con i vetri antiproiettile! E se voltandomi mi sarei trovata davanti qualcuno con una pistola puntata contro la mia testa? Si, potevo manipolarlo e fargli gettare l'arma, direte voi, ma è ovvio che anche la mia mente fosse pietrificata, in quel momento.
Comunque, trassi un respiro di sollievo quando mi trovai di fronte a Frank Iero, che quasi mortificato lasciò andare la presa.
«Scusa... non volevo spaventarti...» disse cercando di sembrare calmo e rilassato.
Ora, è inutile che vi dica che Frank era dannatamente carino, comunque.
Cercai di calmarmi, riprendendo fiato ed aspettando che i battiti del mio cuore si regolarizzassero. Ok, da una parte mi dispiaceva di non avere una pistola puntata alla testa, ma non perché mi piacesse rischiare la vita, è solo che almeno avrei avuto la conferma che le paranoie di mio padre sulla mia vita in pericolo fossero almeno giustificate. Oh, non avevo idea. L'ho detto che mio padre sa un sacco di cose, giusto?
Comunque, Frank mi sorrise, quando vide che finalmente ero tornata in me. Poi inarcò le sopracciglia, e infine con espressione seria incrociò le braccia sul petto.
«Come fai?» mi chiede scrutandomi, dopo un pò.
Io sollevai un sopracciglio guardandolo confusa «Come faccio cosa?» chiesi scrutandolo anche io, per cercare di capire se si riferisse davvero al mio potere o qualcosa del genere.
Lui fece una specie di risatina, ma non sembrava divertito «Come fai ad ottenere sempre quello che desideri?» specificò.
Appunto, si riferiva proprio a quello.
Con nonchalance scrollai le spalle, riprendendo a camminare. Lui mi affiancò e prese a camminare al mio fianco.
«Non fare finta di niente, Candice!» mi disse dopo un pò, guardandomi. Io continuavo a tenere lo sguardo fisso al suolo, perché non sapevo cosa dovevo dire. Conoscevo a mala pena Frank, sapevo che era un bravo ragazzo, che tutti gli volevano bene e che si faceva i fatti suoi. Ma non capivo perché volesse tanto sapere della mia abilità.
«...non faccio nulla, ok? Chiedo, e la gente mi da quello che voglio. Non è niente di speciale. Forse sono simpatica...» dissi sforzandomi di non ridere alla mia ultima frase.
Frank fece una smorfia «Se te lo sto domandando è perché ho le prove che tu sia... tu...» si bloccò, d'un tratto, come se stesse cercando il termine giusto.
«Io?» feci, perché una parte di me voleva che continuasse a spiegare la sua teoria, qualsiasi essa fosse. Beh, in realtà, ne avevo bisogno, perché ok, mio padre sapeva tutto, ma ciò non significava che fosse lo stesso per me. Assolutamente.
Frank sospirò «Bene.» disse secco, facendo qualche passo davanti a me, camminando all'indietro, per tenere lo sguardo nel mio «Guardami...».
Io lo guardai, inizialmente curiosa di cosa avesse intenzione di fare. Lo vidi sorridere e poi BAM!, sparì nel nulla. Giuro.
Così come era apparso, Frank sparì. Ma non è che si fosse messo a correre o cose simili. Era semplicemente sparito. Era diventato invisibile. Giuro che restai a bocca aperta. Letteralmente.
Sentii la sua voce alle mie spalle «Ora dimmi come fai tu...» mormorò, parlandomi quasi nell'orecchio «Ti prego.» aggiunse.
Beh, non so come spiegarlo, ma quello era davvero il giorno più bello della mia vita. Finalmente avevo incontrato qualcuno di diverso! Cioè, qualcuno strano come me! No, non posso descrivere la gioia che provai.
«Io... non lo so. Non so spiegare come funziona...» ammisi, dopo un pò, ritrovandomi di nuovo di fronte a Frank. Notando il suo sguardo quasi deluso dalla mia ignoranza, mi sforzai di provare a spiegargli come funzionava il mio potere - per quanto ne sapevo, comunque.
«Ok... credo che...» pensai bene a come spiegarlo. Cioè, non era mica facile «Beh, non è complicato. Guardo una persona e gli dico quello che vorrei e boh, improvvisamente sembrano che lo vogliano anche loro.».
Frank sorrise. Probabilmente nemmeno lui avrebbe saputo spiegare il meccanismo in base a cui riusciva a diventare invisibile.
«Puoi farlo con me?» mi chiese, ed io lo guardai confusa. Insomma, nessuno mi aveva mai chiesto prima di manipolargli la mente, era ovvio.
Comunque mi piaceva l'idea, perché, come ho detto, ero contenta di poter condividere quel dannato segreto con qualcuno. Quindi sospirai, pensando a qualcosa da fargli fare.
Mi venne istintivo sorridere «Ok.» lo guardai negli occhi, cercando di sembrare seria «...credo che tu abbia voglia di saltellare sul posto...» dissi, rendendomi conto di quanto suonasse stupida quella richiesta. Sul serio, lo giuro, non avevo mai fatto fare a nessuno una cosa del genere.
Frank inizialmente mi guardò quasi come se pensasse che lo stessi prendendo in giro, ma dopo mezzo secondo, ecco che cominciò a saltellare lì di fronte a me.
Comunque, si, la nostra storia iniziò così, con lui che mi saltellava davanti come una di quelle palline di gomma che rimbalzavano senza sosta.
Non è la cosa più romantica del mondo, lo so. Non ho mica detto che questo sarebbe stato un romanzo d'amore, comunque.
Anzi, alla fine, appunto, Frank era sparito nel nulla. Dopo anni di fidanzamento, ok? Vivevamo insieme, cazzo. E lui era sparito nel nulla, dopo quella prima esplosione in quella dannata fabbrica inesistente.
Non sapevo quale fosse il legame tra le due cose, ma doveva esserci. Ne ero sicura.----
Storia ispirata ai Killjoys dei My Chemical Romance, in una versione romanzata e piena di superpoteri. Spero vi piaccia
XO
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Thought You Was Batman #Wattys2016
RandomSuperpoteri, esplosioni, identità nascoste, sparizioni e pistole laser