Mi sentii percuotere.
Aprii di scatto gli occhi. Buio.
La mia stanza era completamente buia.
Probabilmente non avevo ancora aperto gli occhi. Li strizzai con forza e poi spalancai le palpebre.
Buio.
Riconobbi la voce di Melody che mi dava il buon giorno. Non era un buon giorno.
Le chiesi di accendere la luce della mia camera, probabilmente non l'avevo ancora accesa.
-È già accesa- mi sentii rispondere.
Mi assalì un attacco di panico.
Allungai le mani e a tastoni riconobbi il mio comodino.
Afferrai il cellulare, che era rimasto là sopra. Premetti il tasto d'accensione, ma non vidi alcuna luce.
Scivolai sul bordo del letto e caddi a terra.
Respirai affannosamente.
Non riuscivo a vedere nulla.
Raggiunsi camminando carponi la porta che dava sul corridoio.
Mi alzai in piedi e dissi a Melody senza giri di parole che avevo perso la vista.
La sentii incamminarsi verso me.
Man mano che si avvicinava, però, i suoi passi si facevano più pesanti e irregolari.
D'un tratto cominciò a trascinare un piede.
Non era lei. Non poteva esserlo.
Ero pietrificata, in attesa che, chiunque fosse, mi raggiungesse.
I passi, vicinissimi, si fermarono.
Doveva essere davvero poco distante. Potevo sentire il suo respiro sulla mia pelle.
Ero percorsa da continui brividi, ma non provavo paura. Non ancora.
Mi sentii afferrare per il colletto della maglia del pigiama e poi sbattere violentemente contro il muro.
La testa mi pesava e non riuscivo a ragionare.
Poi pensai all'ombra. Sì, doveva essere lei.
Sciolse la presa e mi sfiorò il collo.
Gelo.
Poi passò lentamente le dita sulla mia pelle, fino a raggiungere la guancia.
Sentivo una scia di bruciore divampare lungo il suo tocco.
Lentamente arrivò agli occhi.
Mi chiuse le palpebre e ci poggiò sopra i palmi delle sue mani.
-Scusa-
Disse con la voce di Ezra.
Ero confusa, ma non meno preoccupata.
Sollevò i polsi e si allontanò da me.
Aprii lentamente gli occhi.
Vedevo il corridoio. Vedevo la porta della mia stanza. Vedevo. In bianco e nero, ma vedevo.
Non vedevo Ezra, però.
Improvvisamente qualcuno mi afferrò da dietro per il collo e mi trascinò con sé attraverso il muro.
Mi ritrovai in una stanzetta, stretta, ma il soffitto doveva essere molto alto: non riuscivo a vederlo.
All'ombra doveva piacere tanto torturarmi.
Mi guardai più volte intorno, ma non vedevo alcuna via di scampo.
Mi avvicinai a uno dei muri.
Potei constatare che era stato costruito con mattoni e soprattutto che era stato scalfitto.
Dovevano essere graffi di unghie disperate.
Potevo provare ad arrampicarmi.
Poggiai una mano al muro, ma mi ritrassi subito indietro.
Una fitta di dolore, non fisico, mi aveva sorpresa.
Poggiai di nuovo delicatamente la mano al muro.
Vidi passare davanti ai miei occhi me stessa mentre piangevo disperata sul letto in camera dei miei nonni.
Ero piccola.
Poi mi ricordai. Era la mia prima rottura in seconda elementare. Avevo pianto per giorni, nonostante fossi stata io a lasciarlo.
Appoggiai l'altra mano e cominciai ad arrampicarmi, cercando appoggi tra le fughe.
I ricordi più dolorosi riaffioravano e man mano che salivo si intensificavano.
La mia prima nota scolastica.
La mia prima caduta dalla bicicletta.
La mia prima rissa.
La mia prima frattura.
La mia prima volta nell'ufficio della preside.
La mia prima pugnalata alle spalle.
Il mio primo pugno in faccia.
Il mio primo giorno da donna.
Arrivai in un punto in cui finalmente si poteva vedere la fine dei muri. Non c'era alcun soffitto.
Ero tutta dolorante. Le unghie consumate e rotte. Mani e piedi sanguinanti. Era un'agonia lunga e faticosa, ma continuai.
Non potevo arrendermi.
Poi tornò il ricordo di un incidente a cui avevo assistito qualche anno prima.
La morte del motociclista.
La morte del mio gatto.
La morte del mio cane.
La mia depressione.
Lo strazio di mio nonno.
E la sua morte.
Mia nonna distrutta, ma ancora in piedi.
Le lacrime scendevano senza trovare alcun ostacolo.
Volevo resistere. Dovevo resistere.
Mancava ormai davvero poco.
Dovevo uscire di lí.
Ma ecco.
Le liti tra mio padre e mia madre.
La mia solitudine.
Poi un incidente.
Non me lo ricordavo affatto quell'incidente.
Ero seduta in una corriera, affacciata ad un finestrino.
Fuori pioveva. Pioveva molto.
Ad un incrocio un SUV nero si scagliò contro una famigliare.
Un carrarmato contro un castello di carta.
L'auto blu si accartocciò.
Il SUV, invece, riprese la sua corsa, come se nulla fosse.
Sentii una fitta al cuore in quel momento, ma non sapevo perché. Non sapevo dove e quando l'avevo visto e vissuto.
Fuori dal finestrino della famigliare penzolava un braccio.
Aveva una fede al dito.
Mi immobilizzai.
Sapevo di conoscerlo, me lo sentivo dentro.
Sentivo rabbia che mi riscaldava.
Dolore che mi divorava.
Lacrime lungo le guance che mi bruciavano sulla pelle.
Eppure non riuscivo a capire chi fosse.
Con un ultimo sforzo mi agganciai alla fine del muro. Ero in cima. Ce l'avevo fatta.
Ma poi vidi il viso di mio padre.
Poi quello di mia madre.
Li ricollegai all'incidente.
No, impossibile. Loro erano morti quando avevo 8 anni.
In quel momento qualcuno mi schiacciò le dita.
Urlai e alzai il capo.
Eccola. L'ombra era arrivata. E mi stava pestando la mano.
Ero esausta e invasa dal dolore fisico e morale.
Involontariamente mollai la presa.
Cercai invano di aggrapparmi a qualche mattone un po' più sporgente degli altri, ma scivolai.
Cominciai a cadere avvolta dall'oscurità.
Sentivo una strana aria calda tagliarmi la pelle.
Pensavo all'impatto imminente e a nient'altro.
Ormai mancava poco.
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Il patto col Diavolo
FantasyTash, giovane studentessa, ha grandi ambizioni per il futuro. Ma non tutto va secondo i piani. Da quando conosce il ragazzo nuovo la sua vita cambia. Sarà esposta a molti pericoli. Scoprirà chi è colui che le fa passare tutti quei guai? Gli amici di...