Cap 11

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La lontananza sai è come il vento
che fa dimenticare chi non s'ama
è già passato un anno ed è un incendio
che mi brucia l'anima
io che credevo di essere il più forte
mi sono illuso di dimenticare
e invece sono qui a ricordare
a ricordare te
(Domenico Modugno) 




"Quando morirò non vorrei vederti vestita di nero, ma tutta colorata; non con un paio di tacchi vertiginosi, ma con un paio di vans o di all star; non con i capelli legati, ma con i capelli sciolti; ti vorrei vedere senza tutto quel trucco spalmato in fac... No dai, meglio con il trucco, altrimenti non ti guarderei!" Frankie si mise a ridere, mentre gli davo una pacca sulla spalla.
Una Ariana dodicenne e un Frankie diciannovenne, erano uno difronte all'altro sul letto di lei.
"Smettila di prendermi in giro!" Gli puntai un dito contro "e poi, perché stai parlando di morte e funerali? Siamo ancora giovani, abbiamo una vita davanti!" Allargai le braccia.
"Perché sono più grande di te, sorellina, e morirò prima di te!"
"Fran, non morirai prima di me, mi hai promesso di essere il mio protettore!" Lo ripresi.
"E lo sarò, sorellina, promesso" mi abbracciò "in cielo e in terra"
"Ti voglio bene, Fran" abbracciai mio fratello.
"Ti voglio bene, piccolina" mi rispose lui.


Mi guardai allo specchio per l'ennesima volta. Il vestito era di quelli corti fino al ginocchio, bianco e floreale a maniche corte; sulle spalle indossai uno spolverino giallo, che riprendeva il colore di uno dei fiori, ai piedi un paio di vans bianche; capelli lunghi e lasciati sciolti; trucco leggero, senza eyeliner, ma solo ombretto champagne e mascara nero e rossetto nude.
"Ariana, sei pronta?" Ian si affacciò alla cameretta.
"Si" afferrai il cappotto nero "andiamo" affermai indossandolo.
Papà ordinò a Ian di farmi uscire dal retro della casa per evitare l'ondata di paparazzi assetati di news, e lo incaricò di portarmi in chiesa con la sua moto.
Mentre uscivamo dalla cucina, Ian mi infilò il casco e lo allacciò, per poi mettere il suo è salimmo sulla moto.
Per tutto il tragitto, non feci altro che stare attaccata ad Ian con le braccia allacciate al suo petto e la testa poggiata sulla schiena.
Arrivammo in chiesa prima di tutti. Scesi dalla moto e mi sfilai il casco per poi osservare la maestosità della chiesa. Entrai seguita da Ian e mi sedetti al primo banco, aspettando papà, mamma e John. La bara era lì, difronte all'altare; Frankie indossava il suo abito migliore, gli occhi chiusi le mani sul petto, la bara aperta che mostrava solo il tronco del corpo di mio fratello.
Ian si sedette accanto a me. Sentivo i suoi occhi addosso ai miei. Cominciai a singhiozzare e lui mi accarezzò la mano, come per farmi conforto. Appoggiai la testa sulla sua spalla e lui lasciò un bacio tra i miei capelli.
Quando la chiesa cominciò a riempirsi, mi staccai da Ian e la messa cominciò.
Non ascoltavo le parole del prete, non facevo altro che fissare la bara che conteneva il corpo di mio fratello. Nella mia amen te cominciai a rivivere tutti i momenti migliori che avevamo trascorso: le cuscinate quando non riuscivamo a dormire, la cioccolata mangiata di notte come ladri, i natali in famiglia, le risate, gli scherzi fatti ai vicini, i campanelli suonati di notte, alle notti trascorse insieme quando avevo gli incubi.
E l'ultimo ricordo, quello dell'ultimo Natale trascorso insieme, fu come una pugnalata al cuore: scoppiai in lacrime e non facevo altro che singhiozzare forte. Il dolore mi lacerò così tanto, che fui costretta ad appoggiarmi al banco e a mettermi in ginocchio. Ian e John mi aiutarono ad alzarmi e sedermi. Anche John piangeva per la morte del proprio fidanzato, il proprio amore che ha visto volare via. Anche mamma era distrutta: piangeva ed era abbracciata a papà, il quale, anche se non voleva esternarlo, stava soffrendo per il figlio che gli era stato strappato via.
Finita la messa, uscii per ultima, Ian mi teneva stretta a sè per proteggermi dai paparazzi che, prontamente, mi assalirono non appena misi piede fuori dalla chiesa.
"Ma si può sapere che cosa volete da me, eh?!" Scoppiai, liberandomi dalla presa del bodyguard e rivolgendomi ai giornalisti che, improvvisamente, si zittirono "Siete tutti dei grandissimi maleducati! Egoisti! Non avete rispetto per una persona che ha perso una persona a sè cara! Mi fate schifo!" E, detto questo, mi allontanai, seguita da Ian.
Salimmo sulla moto e ci recammo a casa, dove mi chiusi in camera. Mi gettai sul letto e abbracciai il cuscino nascondendoci il viso. La federa, da rosa, divenne maculata di nero. Mi sentivo vuota, come se qualcuno avesse esportato tutti i miei organi dal mio corpo e ci fosse solo aria. Il cuore divenne improvvisamente pesante, pesante di dolore e di sofferenza.


Erano le 2:00 di notte ed io ero ancora in camera.
Non pranzai, nè cenai. Papà e nonna passarono più volte dalla camera, non solo per consolarmi, ma anche per portarmi cibo. Nonna mi portò la pizza. Scoppiai a piangere al ricordo del nostro ultimo incontro e c'era anche Fran: ero triste per la rottura con Jake e nonna mi portò la pizza per consolarmi, Fran cercò di rubare un pezzo, ma senza esito.
Passò a trovarmi anche Jake con Nicki Minaj, ma dissi espressamente loro che non volevo più vederli per il resto della mia vita e che non volevo la compassione, specialmente la loro.
Bon e Robyn passarono a salutarmi e, dopo un po', vanne anche Edna. I capelli le stavano crescendo e si poteva vedere da piccoli ciuffetti di capelli che uscivano dalla bandana azzurra. Con lei fu diverso: non mi fece le condoglianze, ma mi disse che bisognava essere forti e andare avanti, anche se era difficile. Poi cambiò discorso e mi chiese del nuovo album che dovevo incidere, del tour che avrei dovuto riprendere di lì a poco e di come io sia stata brava a stroncare Nicki e Jake in TV. La cantante dal sedere grosso non rara simpatica neanche a Edna.
Quando uscì , mi stesi nuovamente sul letto dando le spalle alla porta, e sentii Edna che, sotto voce, disse ad Ian "stalle vicino".
Ricontrollai l'orario: le 2:03. Sbuffai e mi sedetti per terra, con la schiena poggiata al letto. Stavo per stendermi sul pavimento, quando toccai qualcosa: una parte del lenzuolo bianco fuoriusciva da sotto il letto. Cominciai a tirarlo del tutto, fino a scoprire che quella era la treccia di lenzuolo che io e Frank usammo quando scappammo dalla finestra d'albergo a Milano. Lo legai ai piedi del letto e notai una scritta nera. Era la scrittura di Frankie "usala quando vorrai scappare da qualcosa o da qualcuno, quando vuoi aria, quando vuoi sentirti libera; usala da sola o in compagnia, di mattina, pomeriggio, sera o notte. Usala quando vuoi. Sentiti libera. Frankie."
Gettai la treccia dalla finestra e scesi nel retro della casa. Stetti molto attenta a non far rumore, poi uscii dal recinto e camminai per le strade di New York.


"Capisci? Mio fratello è morto! Morto! Hahahahah" bevvi un altro sorso "E io sono disperata, ma felice!" Stavo parlando con un uomo che era seduto accanto a me in un bar di soli uomini grassi, puzzolenti e calvi.
"Ma che peccato!" Affermò l'uomo "comunque io mi chiamo Larry" mi squadrò da capo a piedi "Tu?"
"Ariana.. Grande! Però ssssh, non lo dire a nessuno che sono la cantante!" Dissi ridendo.
Ero completamente fuori di me.
"Senti, che dici di divertirci un po'?" Mi mostrò un ghigno.
"Ok" risposi con voce acuta e mordendomi l'unghia dell'indice.
Larry mi abbracciò la vita e mi condusse nei bagni.
Mi spinse sul muro e si fiondò su di me. Io non facevo altro che ridere. Quell'uomo sapeva di sudore, birra e alcool. Mi toccò i fianchi e infilò le mani sotto la gonna del vestito, prendendomi in braccio e facendomi allacciare le mie gambe alla sua vita. Era eccitato per così poco, che potevo sentirlo anche attraverso i vestiti. Cominciò a baciarmi e lì tutto si fermò. Il suo alito era così schifoso (non riesco ancora a trovare la parola adatta per descriverlo) che gli vomitai addosso. Si staccò da me facendomi cadere di sedere e facendomi far male.
Improvvisamente la porta del bagno si aprì. Ian.
Guardò Larry con disprezzo e, dopo avergli sferrato un pugno in piena faccia e avergli sussurrato un "mi fai schifo", mi prese sulle sue spalle come un sacco di patate e mi fece sedere in macchina.
Durante il tragitto, nessuno dei due spiccicò parola e, qualche volta, con la cosa dell'occhio, vedevo Ian che mi guardava per qualche secondo e il suo sguardo attento alla strada; aveva la mascella contratta: mi sa che questa volta l'avevo davvero fatta grossa.
Arrivammo a casa ed entrammo in camera mia con il lenzuolo ancora appeso alla finestra. Salii prima io e dopo Ian mi seguii.
"Mettiti a letto e riposati" mi ordinò recandosi verso la porta, lasciata chiusa "ah, e non dirò nulla ai tuoi, tranquilla" ed uscì dalla porta, lasciandomi sola sul materasso del letto.

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