16. Hospital Sky.

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[...]
"Dell'incidente." Afferma stavolta seria.
Cosa?!
"Del tuo amichetto, mi pare si chiami Sam, scusa se ho sbagliato, ma purtroppo la mia mente non ricorda mai i nomi di tipi così sfigati." Continua poi.
O mio Dio.
È di questo che parlavano i miei genitori?
Merda.
Spalanco gli occhi  e tento di riordinare i mille pensieri in testa che si sono formati.
"È ricoverato all'Hospital Sky, pare si trovi in condizioni molto gravi."
Senza rispondere a Kelly che per una volta si è rivelata utile, fornendomi anche altre informazioni, lancio cinque dollari alla barista.
"Tenga il resto!" Urlo uscendo velocemente dal locale.
Cazzo.
Non posso crederci.
Il mio cuore batte a mille, credo che tra poco mi esploderà dal petto per lo spavento e i miei pensieri sono tutti confusi e ammassati tra loro, non riesco nemmeno a distinguerli tra un po'.
Sembra tutto di nuovo un orribile sogno, infatti, mentre aspetto un taxi, spero più e più volte di potermi risvegliare su quella fottuta panchina.
Nessun veicolo giallo, o comunque che abbia la minima somiglianza ad un taxi, ancora si è fatto vivo per portarmi all'ospedale dove è ricoverato Sam, ed io non posso affatto permettermi di perdere tempo, voglio vederlo, voglio capire cosa gli è successo.
"Vaffanculo." Borbotto tra me e me, per poi fermarmi davanti ad un auto a caso, rischiando anche di farmi travolgere.
Entro senza chiedere il permesso e senza nemmeno conoscere minimamente il guidatore.
È un uomo abbastanza in carne, con i capelli biondi e uno sguardo spaventato.
"P-prenda t-tutto quello ch-che vuole." Balbetta.
Seriamente pensa che io voglia rapinarlo? Adesso le ho proprio viste tutte.
"No, no! La prego! Non le farò niente, ma mi porti all'Hospital Sky, per favore!" Grido velocemente e il quarantenne confuso non se lo fa ripetere due volte per fortuna.
Durante il tragitto non posso far a meno di pensare al fatto che se Sam si trova in queste condizioni e potrebbe morire, è per colpa mia.
Varie lacrime mi rigano nuovamente le guance e i miei occhi cominciano a bruciare, oggi ho pianto veramente troppo.
Però, cazzo! Se gli avessi dato ascolto, se non fossi scappata, se gli avessi permesso di riportarmi a casa da Carissa, probabilmente ora starebbe bene.
Se solo potessi tornare indietro, avrei mandato affanculo l'orgoglio e lo avrei "salvato".
Incredibile, sono riuscita a fare del male alle due persone a cui tengo di più sulla faccia della Terra, poi mi domando pure perché non mi vuole nessuno!
Che cretina!
Per fortuna il tragitto dura meno del previsto e mi ritrovo davanti all'ospedale.
Senza nemmeno ringraziare il signore che mi ha portata qui, scendo in fretta a e furia dalla macchina ed entro nell'edificio ad un incredibile velocità.
Mi trovo davanti una ragazza sui 25 anni, alta quanto me, non troppo snella, con degli stupendi occhi azzurri e dei capelli mossi, di media lunghezza e castani.
La strattono per una manica del grembiule bianco, con bottoni rosa che indossa, intuendo che lei fosse un'infermiera.
Si gira con sguardo quasi arrabbiato nei miei confronti per l'azione che ho appena compiuto, ma sinceramente sono così preoccupata che nemmeno ci ho fatto caso.
"Sa dove è ricoverato Sam Cooper?" Domando quasi disperata.
Lei guarda il soffitto scocciata e rimane quasi per un'eternità a riflettere.
Cazzo ma si sbriga?!
Non vede che sono in ansia?!
"Il nuovo arrivato?" Dice mordendo la penna verde che ha in mano.
"Sì, credo di sì."
"Terzo piano, stanza 213."
Velocemente vado verso l'ascensore più vicino.
Clicco il pulsante per farlo aprire, ma solo dopo leggo "fuori uso" vicino ad esso.
Cazzo, tutte a me!
Non ho tempo per cercarne un'altro, così decido di prendere le scale.
Mentre salgo alla velocità della luce e, con la fortuna che ho, tento di non inciampare e non posso far a meno di pensare a quando ho fatto più o meno la stessa cosa per andare con Sam dalla preside.
Le lacrime continuano a scendere, ma finalmente arrivo al terzo piano.
Cerco furiosamente la stanza 213 e quando la trovo, faccio per entrare, ma qualcuno mi prende per il giacchetto e mi fa sedere.
"È una parente del signor Cooper?" Mi chiede un dottore, con sguardo serio, che sembra voglia uccidermi da un momento all'altro solo perché volevo varcare la porta davanti a me senza un "suo permesso".
"Emh...sí." Rispondo cercando di essere il più credibile possibile, ma sono una pessima attrice.
"Che grado di parentela ha?"
Non posso dirgli qualcosa di troppo vicino, se ne renderebbe conto che non è così.
"Sono sua cugina, di secondo grado. Da parte della madre. Da piccoli io e Sam eravamo molto uniti...la prego, voglio vederlo!"
Alza un sopracciglio ma poi acconsente, nonostante si fosse palesemente reso conto che avevo detto un sacco di cazzate, penso abbia fatto uno strappo alla regola.
Prima di entrare però mi dice un'ultima cosa:
"Se sta dormendo, non lo disturbi. È stato investito da una macchina piuttosto grande e vorremmo si riposi, per poi analizzare bene i danni."
È stato investito?
Annuisco con la testa e abbasso lo sguardo dispiaciuta, per poi entrare senza fare troppo rumore.
Lo vedo lì, sdraiato, con vari "tubicini" che gli danno ossigeno attraverso il naso e una flebo che fa arrivare uno strano liquido al braccio sinistro.
Mi avvicino e mi siedo al suo fianco.
Ha una ferita sulla fronte e vari lividi qua e là.
Appoggio la mia mano sulla sua.
"È tutta colpa mia..." Sussurro.
"Scusa, è tutta colpa mia..." Ripeto.
Distolgo lo sguardo dal suo viso, prima che sul mio si facciano spazio varie lacrime, di nuovo.
Sento qualcosa che mi stringe la mano, la sua.
"Non è colpa tua." Dice con un filo di voce Sam.
Io non posso fare a meno di sorridere, sentendo la sua voce e capendo appunto che è sveglio.
"Mi dispiace così tanto..." Dico abbassando la testa.
"Non preoccuparti, Carol." Mi guarda felice.
Come fa ad essere contento anche in una situazione del genere?
In ogni caso, continua insistentemente a tossire, ho paura che a causa di ciò che è successo, il suo problema ai polmoni che si portava fin da piccolo sia aumentato, poi lo chiederò magari ai dottori che si occupano di lui.
"Carol..." Mi chiama sottovoce.
"Dimmi." Mi avvicino a lui.
"È normale che io non mi senta alcune parti del corpo?"
Il mio respiro si ferma per un attimo al suono di quelle parole.

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