'Chi è la polizia del cervello?' di Aquilante Malabestia

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Titolo: Chi è la polizia del cervello?

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Titolo: Chi è la polizia del cervello?

Autore: Aquilante Malabestia

Genere: Mistero/ Thriller/ Distopia

Tipologia: Romanzo

Stato: Completa - Autoconclusiva

Rating: Giallo

Avvertimenti: Presenza - anche se in forma non eccessiva - di autolesionismo, tortura, maltrattamenti di persone e animali, linguaggio scurrile, minacce, erotismo.

Trama:

Meritiamo di avere un'idea se non abbiamo neanche il coraggio di elaborarla per intero nella nostra mente? Il ragazzo protagonista di questo racconto ha un problema che lo rende infelice e pericoloso: non riesce a smettere di pensare. Per questo la gente ha deciso di trattarlo come un malato di mente. Ma chi vuole realmente che il suo cervello si spenga?

Copyright © Aquilante Malabestia, tutti i diritti riservati.

Aquilante Malabestia (si tratta ovviamente di uno pseudonimo) nasce nell'inverno del 1991 e fin dagli undici-dodici anni mostra un certo interesse per la lettura e la scrittura, interessandosi principalmente all'Horror e alla Fantascienza. Durante l'adolescenza, tra una pinta di birra, una crisi nervosa da classicista e una nuova maglietta degli Iron Maiden, trova tempo per leggere alcuni classici della Fantascienza distopica tra cui 1984 di George Orwell, il Tallone di Ferro di Jack London e Il Mondo Nuovo di Aldous Huxley. Affascinato dalle tematiche della distopia, decide di improntare a questo genere qualsiasi suo tentativo di prosa (anche perché, diciamocela tutta, manca un po' di fantasia) e a tutt'oggi, ogni qual volta una mezza trama di racconto o romanzo si sviluppi nella sua testa, ci finisce sempre in mezzo lo zampino del governo cattivo, delle masse instupidite da leader approfittatori e delle multinazionali sfruttatrici. Autore non molto prolifico (avendo sapientemente e scientemente sostituito le crisi da studio classicista con quelle da studio del diritto), finora ha pubblicato solo su Wattpad una serie di racconti (tra cui "Chi è la polizia del cervello?") che forse un giorno entreranno a far parte di una raccolta.

Chi è la polizia del cervello? è un racconto di Fantascienza distopica con elementi di Horror, transgressive fiction (cose molto grevi tipo Ballard o il primo Ammaniti), avant-pop (Bret Eston Ellis, Pier Vittorio Tondelli) e teen fiction. E' l'opera più lunga scritta finora da Malabestia e nasce nell'autunno del 2015 da un racconto (poi abortito, per fortuna) su un ragazzo che subiva abusi di ogni tipo e torture durante la sua permanenza in un campo di concentramento. Il racconto evolse in una cosa simile ma molto meno pesante nei contenuti violenti.
L'ispirazione principale del componimento deriva dalla canzone da cui prende il titolo (Who are the brain police? di Frank Zappa and The Mothers of Invention) e infatti, non diversamente dal brano, la storia volge attorno ad una domanda: siamo noi stessi i veri responsabili della repressione e della censura delle nostre idee?

L'idea del protagonista segregato in una struttura per malati di mente in quanto "non riesce a smettere di pensare" nasce da un reale e comprovato uso della psichiatria come arma di repressione da parte di vecchi e nuovi regimi (in particolare l'URSS e la Cina); l'idea della narrazione parzialmente censurata con righe e bande nere proviene dall'opera virtuale collettiva di fantascienza "The SCP Foundation"; altre influenze piuttosto evidenti (tanto che sarebbe meglio definirle omaggi) provengono dal film e disco Pink Floyd The Wall, i film Arancia Meccanica e Allucinazione Perversa e varie canzoni di cui vengono citati brani e versi (il bello sta ovviamente nel saperle individuare). Un particolare debito è sicuramente da attribuire anche al noto romanzo 1984 di George Orwell, considerato la pietra miliare della Fantascienza distopica.
Ai miei eventuali lettori non chiedo altro che apertura mentale, soprattutto nell'interpretare le scene di violenza nel loro giusto contesto.

Dal capitolo I, La gente:

Sapevo che sarebbe andata a finire così. Ogni anima salva, dispersa lì da qualche parte nella terra della gente, aveva sicuramente intuito che stava per succedere. Ho sempre detto a me stesso che non avevo paura. Cazzate. Ero divorato dalla paura: c'erano giorni di reclusione volontaria nel silenzio della mia stanza, sdraiato al buio sul letto o talvolta in piedi come fossi una bella statuina; cercavo di sentire la consistenza fisica dei miei pensieri, un groviglio dolorante e vivo. Che cosa potevo farci io, se avevo quei pensieri? Allora la paura dell'ostracismo, della derisione, le migliaia di indici puntati contro di me in mezzo alle risate... la paura della gente mi portava a cercare compromessi. Evisceravo il modo di ragionare che aveva la gente, nel tentativo di trovare punti in comune, comprendere e perdonare gli errori; mi ripetevo che ci voleva indulgenza, che nessuno è immune alle debolezze umane: loro, in fondo, erano umani come me. E se mi ritenevo così superiore, così libero dai condizionamenti che li affliggevano, avrei dovuto riconoscere dignità e rispetto alla loro opinione, così come io stesso le esigevo per primo. E poi che diritto avevo io di pensare di avere ragione? Come potevo ritenere che la mia visione fosse giusta per il fatto che andasse contro il senso comune? Dovevo fare autocritica, scendere dal piedistallo! Ma in quelle occasioni il mio cervello era un vero parlamento con tanto di spalti a semicerchio e moltitudini di voci diverse raggruppate in schieramenti; così all'opposizione filo-imperiale rispondeva furente la maggioranza al governo: "Noi di autocritica ne abbiamo fatta fin troppa. Abbiamo rivoltato le nostre opinioni come calzini, le abbiamo sezionate e disarticolate, ripetendo gli esami più e più volte; stessa cosa con le proposte della gente. Il risultato è e sarà sempre lo stesso: la gente non capisce un cazzo, non sa un cazzo ed è tronfia nella propria ignoranza. Non pretendiamo di aver ragione su qualsiasi cosa, ma le posizioni della gente sono deboli, superficiali, largamente basate su asserzioni opinabili prese per verità assolute, argomentate con penose fallacie logiche evidenti anche ad un bambino (tra cui l'idea ripugnante che una cosa è giusta se in tanti la considerano tale) e, soprattutto, infarcite di frasi ad effetto che non significano nulla ma attraggono l'emotività delle masse bovine come la merda con le mosche. Ecco il punto centrale... un attimo, ho quasi finito signor Presidente... ecco il punto centrale: la gente è troppo dannatamente emotiva. Si spaccassero di Valium e forse potremmo cominciare ad avere un dialogo costruttivo. Ora come ora, consideriamo le proposte dei nostri colleghi d'opposizione come moralmente abiette, logicamente deliranti e geneticamente corrotte. E approfittiamo di questa occasione per denunciare lo sfacciato piano dell'opposizione di consegnare la mente e l'anima di questo povero ragazzo alla dittatura del pensiero comune. Grazie, signor Presidente." Scoppiavano tumulti, i presenti schiamazzavano, insultavano, urlavano, volavano ceffoni e si formavano vortici di psico-parlamentari rissosi nello spiazzo centrale ai piedi degli spalti, coinvolgendo nella lotta anche i poveri stenografi cerebrali. E le cose andarono avanti così finché la gente non si fece sempre più aggressiva, più gretta e convinta di avere un destino manifesto da portare avanti, rosicchiando gradualmente gli spazi di libertà delle singole persone, denunciando come innaturale e inaccettabile ciò che non si conformava alla sua melmosa perfezione gentista. Così crebbe la sua rappresentanza nel mio cervello: i suoi psico-deputati andarono incattivendosi, iniziarono ad usare le maniere forti per intimorire ed imporre, formarono ronde e squadracce, diffusero un clima soffocante di terrore. Infine, la maggioranza non fu più tale.

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