Capitolo 1 - Liam Donovan

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Liam aprì il portone, da solo. La ragazza si era tenuta la sua giacca e lui probabilmente si era preso una bronchite. Salì le scale e starnutì. Perfetto, giornata del cazzo, pensò. Di mattina aveva avuto un test che sicuramente non aveva passato e nel pomeriggio aveva dovuto girare mezza città per trovare un regalo a quello stupido del suo migliore amico, per il suo stupido ventiduesimo compleanno, e ora quella cazzo di broncopolmonite che lo avrebbe tenuto a letto per tipo due settimane. Perfetto, bravo Liam! Aprì la porta dell'appartamento, si fiondò dentro e la richiuse immediatamente. Rimase immobile, nel buio della stanza, con le orecchie tese ad ascoltare un movimento che non sentì. Sospirò: lui dormiva. Cercò di non fare rumore, per non svegliarlo. Avanzò di qualche passo, poi sentì un rumore e vide una luce accendersi. Cazzo, era rimasto in piedi ad aspettarlo.

«Dove cazzo eri? Non un messaggio, non una chiamata. C'è gente, che potrebbe preoccuparsi per te se non lo sai!» sbraitò il ragazzo, puntando un dito verso Liam. Questi sbuffò, alzando gli occhi al cielo. Quella giornata non voleva finire, e lui ne aveva piene le scatole. Aveva cercato di non svegliarlo, Cristo, ci aveva provato! Non per compassione o altro, ma semplicemente perché lo conosceva e immaginava quella ramanzina degna di sua madre. E poi, non gli piaceva quando Trev ce l'aveva con lui.

«Sì mamma, scusa, sono stato impegnato,» rispose Liam, a modi sfottò. Liam Donovan aveva una peculiarità imprescindibile: il senso dell'umorismo. Trovava sempre il modo di sdrammatizzare o fare battutine che, magari, non facevano ridere, ma distoglievano l'attenzione da lui. Odiava essere sotto ai riflettori, nonostante ci fosse sempre.

«Bravo, prendi per il culo, è quello che ti riesce meglio. Ma dico, ti costa troppo scrivere un 'guarda che oggi non torno prima di mezzanotte perché mi fotto tutta la squadra femminile di pallav...' ma come cazzo sei conciato? Ti sei visto? Fradicio, in maglietta a maniche corte quando fuori piove a dirotto? Ma dove vivi? Mi chiedo perché ancora divido l'appartamento con te, perché ancora mi preoccupo, cazzo!» sbraitò nuovamente, fissandolo con un cipiglio disegnato sul viso. Liam sbuffò. Sapeva che non parlava sul serio, sapeva che non avrebbe mai smesso di condividere l'appartamento e di preoccuparsi, ma quando Trev lo trattava così, lui sentiva qualcosa congelargli il cuore.

«Perché mi ami tanto?» provò, nuovamente, a ironizzare Liam. L'altro scosse la testa, con un sorriso sul volto.

«Spiritoso, vai a cambiarti che domani è il mio compleanno e non ti voglio malato,» rispose, togliendosi dalla strada che l'avrebbe portato al bagno. Il loro appartamento era piccolo. Per Liam, la cosa positiva era che lo condivideva con Trev, la cosa negativa era che, quando lui scopava con la sua ragazza, il rumore rimbombava per tutto il condominio e per Liam era come un porno amatoriale in diretta.

«Comunque, Trev, per risponderti ho salvato una ragazza dallo stupro e si è presa la mia giacca perché aveva il vestito strappato,» spiegò il biondo, avanzando nello stretto corridoio che l'avrebbe portato al bagno. L'appartamento si componeva di un ingresso e un salotto con un divano sulla destra, una tv di fronte ad esso e l'angolo cottura sulla sinistra. Tra il divano e l'angolo cottura, vi era una porta a vetri che conduceva al piccolo corridoio. Lì, si affacciavano tre porte: la stanza di Trev, quella di Liam e il bagno.

«Cazzo, dove è successo?» chiese Trevor, che lo seguì sin dentro al bagno.

«Qua davanti, se ne è andata poco fa,» confessò Liam, mentre si asciugava con lo strofinaccio rosa, in tinta con le piastrelle della toilette. Il bagno era dotato di vasca con vetri, in modo da fungere sia da vasca che da doccia.

«Cioè, stavano per stuprarla e tu l'hai lasciata andare a casa da sola? Ma che uomo sei?» gli urlò contro Trevor. Liam contò fino a tre, cercò di calmarsi ma era troppo tardi. Quella giornata stava mettendo alla prova il suo flebile autocontrollo.

«Cazzo Trev, trovi sempre il modo di farmi la ramanzina per qualcosa, sai che ti dico? Vaffanculo, tu, la tua ragazza fantastica e la tua vita perfetta, e.... cazzo! Mi hai fatto male!» Trevor gli tirò una sberla sulla nuca, interrompendo il monologo di arrabbiatura che stava dicendo.

«Te lo meriti. Se ti rompo è perché ci tengo a te, e lo sai. E non parlare male di Rachel...» intimò l'altro, allontanandosi fino a uscire dalla porta del bagno.

«Te l'avevo detto che mi ami,» riprovò, ridendo. Lui scosse la testa, poi si associò alla risata, rimanendo sulla porta. Poco dopo, la chiuse e si allontanò. Liam appoggiò la testa alle piastrelle e la sbattè più volte, con poca forza. Cosa gli prendeva? Erano, ormai, mesi che si comportava così. Pensava a Trevor, ma non come prima. Non come al suo amico, ma a qualcosa di più. Era conscio che Trev era un ragazzo attraente, ma non l'aveva mai visto in quel modo. Trevor Mulgrew era alto 1.85, i suoi capelli erano scuri ma non eccessivamente, e prendevano quegli strani riflessi al sole che li rendevano quasi biondi. I suoi occhi erano verdi, verdissimi. No, forse non erano verdi. Liam non sapeva che colore fossero, in realtà nessuno lo sapeva. Si avvicinavano al verde, ma erano particolari. La tonalità si alternava tra il chiaro, il chiarissimo e lo scuro. Da piccoli, avevano discusso molto sul suo colore degli occhi, alla fine avevano convenuto che definirli semplicemente "verdi" sarebbe stata la scelta migliore. Era muscoloso, non eccessivamente. Meno di Liam, che giocava a football. Trev era un nuotatore, quindi il suo fisico era omologato allo sport che praticava. Il suo modo di vestire era molto blando, privo di stile, secondo Liam. Si vestiva troppo colorato, sembrava il classico "tipo da spiaggia". Il biondo sorrise, poi scosse la testa. Aprì l'acqua, rigorosamente calda, e ci si fiondò sotto. Solitamente preferiva il bagno alla doccia, ma quella sera era stanco: voleva solo dormire.

Liam andò in stanza con indosso un pigiama composto da vecchi pantaloncini di football e una canottiera. Guardò l'ora: mezzanotte e mezza. Domani mattina avrebbe avuto lezione alle otto e gli conveniva dormire, ma non riuscì molto a prendere sonno. Pensava a quanto schifo facesse la sua vita. Da sempre era considerato uno che andava a letto con qualunque donna. Non sapeva il motivo per cui lo faceva. Tutto era iniziato mesi prima, quando aveva cominciato a provare qualcosa per il suo amico. Doveva convincere sé stesso che non era nulla, che era solo di passaggio. Doveva convincere Trev che nulla era cambiato. Se lui avesse saputo, se avesse avuto qualunque tipo di sospetto, l'avrebbe mandato via. Lo conosceva da tutta una vita, non avrebbe mai potuto dirgli una cosa del genere. Mancavano due anni, due fottutissimi anni, poi sarebbe potuto essere chi bramava di essere. Cazzo, che pensiero filosofico! Avrebbe dovuto studiare filosofia, non quella palla di economia. Non vedeva veramente l'ora di uscire dalla Columbia University.


Just Friends (Trilogy of Secrets, 1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora