Capitolo 7 - Gioco pericoloso

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L'ufficio del nonno di Trev era grande e vecchio, inutilizzato nella casa che gli apparteneva. In tutti quegli anni, la casa era rimasta vuota, perché il nonno aveva notoriamente rimosso i genitori dal testamento e, fino all'apertura di esso, non era legale utilizzare i beni del defunto. Trevor aveva la chiave, perché l'aveva presa in prestito a casa dei suoi genitori. Una volta aperta la porta, i due entrarono in casa e avanzarono rapidamente verso lo studio. La casa era putrida, fatiscente, in rovina. I mobili, coperti da teli bianchi, cadevano a pezzi. Le finestre, quelle ancora intatte, minacciavano caduta e la polvere e lo sporco regnavano sovrani. Raggiunto lo studio, i due osservarono la sedia nel buio della stanza. Liam attivò la torcia del telefono, notando alcuni messaggi whatsapp che avrebbe letto successivamente. Una volta accesa, la luce riscaldò l'ambiente e permise a Trevor di cominciare ad armeggiare. Capovolse la sedia, ne staccò le gambe e le lanciò via. Studiò il corpo dell'oggetto, cercando uno scompartimento nascosto, ma non ne vide. Sembrava così ben fatta. Poi, notò un dislivello sullo schienale, come ci fosse un'impercettibile tasca in legno.

«Passami il coltellino,» ordinò al biondo, che porse il bisturi al dottore. Questi armeggiò con la lama, fino a far schioccare e rompere quel dislivello. Ne uscì un pezzo di carta ingiallito e maleodorante. I due esultarono come se avessero scoperto un tesoro.

«Fanculo nonno, se ci stai guardando, fanculo. Abbiamo risolto il tuo mistero!» urlò Trevor. Afferrò il foglietto senza nemmeno leggerlo e i due si diressero immediatamente fuori dalla fatiscente abitazione in disuso. Appena raggiunsero l'auto, Liam si mise alla guida, e Trev osservò il pezzo di carta. Lo aprì, lentamente. Scrutò ciò che vi era scritto, poi chiuse gli occhi. Liam si voltò a guardarlo, mentre imboccava la strada per tornare a casa. Trevor sembrava... furioso.

«Ehi amico, va tutto b...» iniziò a dire, prima che l'altro lo interrompesse urlando.

«No, fanculo. Merda, che cazzo di vita di merda. Un nonno normale non potevo averlo? No, fanculo l'eredità, fanculo i soldi, io con questo cazzo di mistero ho chiuso,» sbraitò, posando il fogliettino sul cruscotto. Liam lo prese e se lo infilò in tasca. Il gesto non passò inosservato a Trev, che lo squadrò.

«Se vuoi continuare a cercare, fai pure. Io mi tiro fuori,» comunicò, calmo. Liam sapeva che lui diceva sul serio. Trevor era sempre stato uno da "tutto e subito", non trovava elettrizzante il mistero, la ricerca e l'avventura quanto Liam. Però, il biondo non avrebbe mollato. Qualunque cosa ci fosse scritta su quel foglietto, lui avrebbe trovato quei dannati soldi.



«Sei pronto per la festa?» chiese Rachel, irrompendo nella stanza di Liam. Questi era accovacciato sulla scrivania, con una marea di fogli intorno e altri accartocciati per terra. La matita in bocca e l'espressione avvilita condivano la scena.

«Eh? Quale festa?» rispose, automaticamente, continuando a cercare tra i fogli. Rachel scosse la testa.

«Oggi c'è la festa di quel cazzone di Josh. Dirò a Trev-orso che non vieni. Ma cosa stai facendo?» finalmente Liam alzò gli occhi dai fogli, l'espressione corrucciata.

«Trev... orso? Ma cosa cazzo ti fumi, Rachel? Presentami il tuo spacciatore, ti prego,» ironizzò il biondo. «Sto ehm... studiando,» mentì poi. Lei annuì ed uscì dalla stanza. Liam si rimise sui fogli. In alto, infondo, vi era quello ingiallito trovato nell'ufficio del vecchio. La frase, più che strana, era sicuramente un codice, ma lui non capiva la chiave di lettura. Sul foglio, c'era un disegno sbiadito di due ragazzi – Liam non riconobbe i visi, ma sembravano quelli del nonno di Trev e di sua moglie – che maneggiavano un microfono. Sotto al disegno, vi era una frase.

"20 rocamboleschi anni nella nostra voce"

La frase era strana. Liam aveva provato tutti i codici che aveva trovato su google (associare a ogni lettera un numero, invertire le lettere, prendere la prima o l'ultima lettera di ogni parola, usare il 20 come chiave di decriptazione) ma nulla era risultato efficace. Sbuffò, nel sentire la porta che si sbatteva. I due fidanzatini erano usciti. Scosse la testa. Sarebbe servito anche a lui quello svago. Si cambiò in fretta e furia, prese le chiavi e la giacca e si precipitò fuori. Voleva bere. Tanto.



La musica pompava nelle casse, la gente ballava e si strusciava su ogni superficie che trovava disponibile. Il bar era pieno d'alcol, sui divani c'erano il fumo e la droga. Josh Ridewell non si faceva certo mancare il divertimento. Una voce possente chiamò Liam che, in piedi al centro della sala, si voltò.

«Josh, amico,» lo salutò con una stretta di mano e un sorriso sincero. Ridewell era un suo compagno di football. Simpatico, un po' troppo drogato ma comunque era uno apposto. Liam si fece scortare immediatamente alla riserva di Alcol, quello vero, non le birre propinate agli invitati. In una stanzetta a parte, c'erano Tequila, Vodka e Whisky. Quella serata, per Liam, sarebbe stata indimenticabile. Voleva bere fino a scordarsi il proprio nome. Era da tanto, troppo, che non si lasciava andare.

«Fanculo alla vita, questa è la mia serata,» decise, ad alta voce. Altri applaudirono, poi lui prese a bere e ballare. Le ragazze lo invitavano sulla pista, lui alternava un movimento ad un sorso di tequila, poi la vodka. La musica lo trasportava, l'alcol inibiva i suoi sensi, il profumo della bella brunetta contro la quale stava strusciandosi inebriava tutta la pista da ballo. Il pompare, ritmico, della musica dance era la parte migliore. Senza le fastidiose luci da discoteca, senza la gente che lo strattonava o lo palpava. Solo lui, la sua vodka e la ragazza (Carol credeva si chiamasse). Non seppe quanto tempo fu passato prima che Trevor lo trascinasse via dalla pista da ballo.

«No Trev dai, n-non pprr,» riuscì a dire, sotto l'effetto dell'alcol. Il moro scosse la testa, lanciando un timido sguardo di scuse a Rachel, poi tirò Liam per un braccio fino alla macchina.

«Quanto cazzo hai bevuto? Dio, sei uno straccio,» gli chiese Trev. Liam lo fissava di sottecchi. Era così bello quando si preoccupava per lui. Arrivarono all'auto: Trev sistemò l'altro sul sedile del passeggero, prese posto su quello del guidatore e mise in moto, partendo verso casa.

«Non dovresti bere, te lo dico mille volte. Ma tu, mai una cazzo di volta che mi ascolti!» continuò lo sproloquio. Il biondo alzò una mano fino a toccargli il viso. Lo sfiorò con la punta delle dita, l'altro non batté ciglio. In qualche minuto, arrivarono a casa. Trev si slacciò, pronto a uscire, ma Liam lo fermò.

«Aspetta,» disse, con la vista ancora offuscata. Il moro corrugò la fronte e lo fissò.

«Che c'è?» chiese, con fare gentile. Liam si avvicinò, fissandolo negli occhi. Poi, con un movimento rapido, posò le proprie labbra su quelle dell'amico. Lo stupore di Trev non gli permise di reagire in fretta, e Liam riuscì ad assaporare la bocca dell'altro. Le labbra di un uomo erano... esattamente come le labbra di una donna. Forse meglio. Più forti, più sensuali. Più adatte a Liam. Quel gesto, il baciare Trevor, fu un raptus, un atto dettato dal suo stato mentale offuscato dall'alcol. Da sobrio, non avrebbe mai rischiato così tanto. Ma, ormai, il dado era tratto. Tanto valeva continuare a giocare...

Just Friends (Trilogy of Secrets, 1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora