Capitolo 6 - La sedia del nonno

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«Trevor devi... Ohmioddio cosa cazzo, ma sei nuda? Oh santo cielo, ciao Trevor,» disse, tutto in una frase, un povero scandalizzato Liam, mentre Trevor e Rachel si davano alla pazza gioia, completamente nudi nel letto di lui.

Da quando era tornato, avrà scopato tre volte. Che cazzo, non si stancava? Rachel non tornava a casa quella notte? Non era ancora riuscito a parlargli del titanio. A stento era riuscito a mandare via Erik prima che Rachel lo vedesse e succedesse un qualcosa di eccessivamente "Beautiful" per i suoi gusti. Si rifugiò in stanza, a pensare. Attendeva che la ragazza sgomberasse il campo, per poter parlare al suo amico. Nella sua stanza, c'era ancora quel piacevole odore di acqua di colonia. Lo inspirò, pensando a Erik e a cosa stesse succedendo. Stava cominciando ad apprezzare il suo avversario. Si sarebbe tolto volentieri dalla lotta per la carica di rappresentante. Certo, ci teneva, ma non quanto ci teneva Erik, almeno Liam pensava così. Si ricordava di quando era alle superiori, di quando era emarginato, e di come Liam stesso contribuisse alla sua condizione sociale. Altri tempi, altra mentalità. Era infantile. Molto. Sentì un vociare in corridoio, poi dei movimenti e la porta di casa che sbatteva. Finalmente se n'era andata! Si precipitò fuori, intercettando il suo amico.

«Dobbiamo parlare!» disse, l'altro fece una smorfia.

«Domani, promesso. Sono stanco morto, Rachel mi ha ucciso,» confessò. Liam scosse la testa.

«Adesso! Riguarda il testamento. Er... cioè, io ho capito cos'è il 22,» dichiarò. Trev si fermò e lo guardò negli occhi, quello sguardo che faceva fremere il corpo di Liam.

«Racconta,» intimò. Liam si schiarì la voce.

«Ricordi i racconti che ci leggeva tuo nonno per "non farci dimenticare la guerra e le sofferenze"? Ecco. Primo Levi, Il Sistema Periodico, racconto numero quattordici: il titanio, il suo preferito. Ebbene, il 22 è il numero atomico del titanio. Boom, bitch!» spiegò, per poi fare quel gesto con la mano che tanto urtava Trevor (e Liam lo faceva apposta). Il moro annuì.

«Un po' forzato ma ha senso. Domani vado a casa, trovo il libro del nonno e cerco se dentro c'è qualche messaggio in codice. Buonanotte Liam,» detto ciò, si chiuse in stanza e si mise a dormire. Liam non aveva sonno. Andò in sala, poi in cucina. Aprì l'ultimo mobile in alto, estrasse il barattolo del caffè. All'interno teneva un pacchetto di sigarette per le evenienze. Aveva smesso due anni prima, ma ogni tanto gli tornava la voglia di fumarne qualcuna. Ne prese una, con tanto di accendino. Si aprì una birra e portò il tutto in balcone. Appena uscì, fu invaso dall'aria gelida dell'inverno newyorkese. Accese la sigaretta e fece un tiro lungo, per poi trattenere al massimo e lasciare andare il fumo. Bevve un sorso di birra, poi appoggiò la bottiglia sul davanzale del balcone. Ci appoggiò anche i gomiti, guardando fuori. L'aria gli sferzava il viso. Quella sensazione di libertà, quel sentimento di purezza che provava stando lì, in quel momento, inspirare l'aria fredda della notte e osservare la città in tutta la sua bellezza. Quei momenti erano la sua parte preferita della vita, semplicemente erano ineguagliabili.



La lezione del Professor Turly stava annoiando e non poco Liam, come tutti gli altri studenti del corso economico. La materia, per quanto interessante, se spiegata da un ottantenne che rischia la l'infarto ogni volta che fa un acuto, perdeva quel poco di fascino che aveva. Appena l'orologio segnò mezzogiorno, tutti si alzarono, il professore salutò e ogni studente raccolse le proprie cose per uscire dall'aula. Liam avanzò, a grandi passi, oltre la porta della classe. Percorse il corridoio con gli altri studenti, quando si sentì chiamare da dietro. Si voltò, fermandosi. L'impatto con un corpo possente fu immediato.

«Ahi!» gridarono in coro i due, sostenendosi a vicenda per non ruzzolare rovinosamente sul pavimento di marmo. Liam alzò gli occhi, in quelli color miele degli altri.

«Erik, scusa. Sei tu che mi chiamavi?» domandò il biondo, lasciando il gomito dell'interlocutore. Erik annuì.

«Sì, volevo solo dirti che stamattina ho ritirato la mia carica da rappresentante. Il posto sarà tuo,» fece il moro, scrollandosi le spalle e abbassando lo sguardo. Liam strabuzzò gli occhi.

«Perché l'hai fatto?» chiese, incapace di trattenere lo stupore. Erik lo guardò negli occhi.

«C'è sempre stata competizione tra noi. Però, è una cosa stupida. Sei una brava persona, Donovan. Ti ho potuto vedere nel tuo ambiente, come ti comporti, ciò che i tuoi occhi dicono. Sì, sei decisamente una brava persona. Meriti questa carica più di me,» confessò Erik. Liam scosse la testa.

«Greynolds, io ricordo le superiori. Ricordo tutto ciò che ti facevano e come io non fossi mai intervenuto. Quel posto è più importante per te che per me,» sostenne Liam. Erik non era d'accordo. Fece un gesto strano, poi si allontanò, cercando di andarsene per non concludere la discussione. Liam lo afferrò per un braccio.

«Facciamolo insieme. Prendiamo quel ruolo insieme. Se non riusciremo a metterci d'accordo sulle decisioni, io rinuncerò. Ci stai?» propose Liam. L'altro valutò i possibili scenari, poi annuì, compiaciuto. Fece un gesto con la testa e si liberò dalla stretta al braccio. Si voltò e se ne andò, sorridente. Liam lo fissò, poi sbuffò e si incamminò anche lui, ma nella direzione opposta.



Trevor fissò Liam, poi il libro. Riportò nuovamente lo sguardo sul biondo, per poi concentrarsi sull'oggetto che sfogliava tra le mani. Scosse la testa, incapace di proseguire.

«Non c'è un cazzo di indizio in sto Titanio!» dichiarò il moro. Liam sbuffò.

«E se l'indizio fosse nella storia? Cioè, parla di un pittore di mobili e sedie. Può essere che...» cominciò Liam.

«La sedia nel suo studio!» lo interruppe Trev. Liam lo guardò di traverso, così questi si spiegò.

«Prima di morire, la sedia si ruppe e lui fece di tutto per farla riparare, ricordi? Mamma disse che era segno della demenza senile che si stava appropriando di lui, ma il nonno era così convinto su quella sedia, come se ci tenesse particolarmente...» spiegò Trev. Quando ne parlò, Liam si ricordò di quegli aneddoti. Il nonno di Trevor era morto quando lui aveva nove anni. Trev e Liam si conoscevano dal nido, quindi sapevano tutto ognuno dell'altro. Più o meno.

«Quindi in quella sedia c'è un messaggio? O magari, qualche indizio? Un numero di conto, un bonifico, un assegno in bianco. Cristo, qualcosa,» provò Liam, il moro scosse la testa, poi prese la giacca e lanciò al biondo la sua.

«Dobbiamo andare nello studio del nonno. Adesso»

Just Friends (Trilogy of Secrets, 1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora