Capitolo 13 - Il labirinto senza sole

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L'asciutto in bocca impediva al ragazzo di dire una parola. Gli occhi, come impazziti, vagavano da una parte all'altra della stanza, quasi a voler cercare qualcosa che non c'era. Le mani tremavano, come infreddolite, ma faceva caldo. Il sudore gli imperlava la fronte, facendola riflettere i raggi del sole che filtravano dalle sgangherate veneziane delle finestre.

«Liam?» riuscì, in qualche modo, a dire Erik. Liam alzò la testa dal libro che stava leggendo e spalancò gli occhi.

«Erik? Oddio Erik! Sei vivo!» gridò il biondo, lanciando il libro del quale non avrebbe mai più trovato la pagina che stava leggendo e accorrendo al letto. Erik indicò l'acqua con la mano tremante, Liam lo accontentò, facendogli sorseggiare il liquido trasparente.

«Cosa è successo?» domandò il moro. Liam lo fissò.

«Ma sei vivo anche nel cervello? Il dottore diceva che potevi diventare un vegetale. Tipo che sembri sano ma poi ti partono gli schizzi?» chiese Liam. Erik scoppiò a ridere sonoramente.

«Che cazzo c'entrano gli schizzi? Se sei un vegetale, nemmeno parli,» spiegò il moro. Liam sembrò convenire, perché annuì, guardandolo.

«Sono passati cinque giorni, Erik. Ero tipo convinto che saresti morto. Il dottore diceva che saresti rimasto nel letto. I tuoi genitori...» iniziò Liam, l'altro lo fissò.

«I miei genitori sono qui? Porca merda, questa non ci voleva,» rispose Erik. Lo guardava. Liam avrebbe dovuto continuare, ma non sapeva come dire quello che doveva dire.

«Liam, cosa mi tieni nascosto?» chiese il moro. L'altro scrollò le spalle.

«L'avrebbero staccata. Ancora due giorni, e loro avrebbero firmato per... spegnerti,» spiegò il biondo. Erik spalancò gli occhi. I suoi genitori erano molto conservatori, l'opposto di liberali. Erano cattolici, convinti e frequentanti. Non poteva credere che avrebbero commesso omicidio, perché secondo la Chiesa, si trattava di questo: omicidio.

«Però io ho scazzosato eh,» confessò Liam. Erik lo guardò con la fronte corrucciata.

«Scazzo che?» chiese. Liam sorrise.

«Gli ho detto che avrei mandato l'intera squadra di football a devastargli la villa se ti avessero spento,» spiegò ridendo. Erik sbuffò. Liam era il tipo da dire queste cose. E anche da farle, ma questa era un'altra storia. Erik tentò di rimettersi dritto con la schiena, ma gli doleva tutto. Era rincoglionito per via della morfina. Sentiva il petto che premeva, come a volergli mandare un messaggio. Doveva ancora comprendere il motivo di quella sensazione. Però, di una cosa, era certo. Ricordava il sogno che aveva fatto. Quello che l'aveva svegliato. Quegli occhi azzurri, erano meglio nella realtà che in sogno. Erik stava diventando strano. La presenza di Liam lo rendeva... fragile. Diverso. Lo faceva sentire bene e male allo stesso tempo. Non poteva spiegare ciò che nemmeno lui capiva. Si voltò, gli occhi spalancati. Liam lo guardò.

«Cosa c'è?» domandò. Erik scosse la testa.

«Liam, i miei sono ancora qui?» chiese, di risposta, il moro. Liam annuì.

«Staranno pranzando,» confermò lui. Erik imprecò. Non aveva voglia di sorbirsi i suoi genitori. Se n'era andato di casa appena diciottenne. Suo padre, un uomo superficiale e dalle maniere burbere, pretendeva Erik diventasse un operaio in fabbrica come lui. Sua madre, giornalista, era una donna tutta d'un pezzo. Erik l'amava, con lei aveva un rapporto speciale. Però, di lei odiava il fatto che non si ribellava mai al marito. Tra litigate varie, lui e sua sorella erano davvero decisi ad andarsene quanto prima, imitando il fratello più grande. Improvvisamente, ad Erik venne un dubbio.

«Liam, quanti sono?» il biondo lo guardò di sottecchi.

«Quattro, perché?» rispose, notando il disagio negli occhi del moro.

«Nulla. C'è anche mio fratello...» disse Erik, sorridendo amaro. Era ovvio che avesse conti in sospeso con la famiglia, ma Liam non voleva impicciarsi. Il biondo sorrise.

«Vado ad avvertire il dottore, torno subito,» disse, ma Erik lo bloccò.

«Aspetta,» rispose, guardandolo con occhi angoscianti.

«Cosa c'è?» chiese, dolcemente, Liam. Erik scosse la testa.

«Non mi lasciare solo con loro... per favore,» disse, alludendo alla sua famiglia. A Liam si scaldò il cuore, lo vide così fragile, così perfetto ai suoi occhi. Annuì.

«D'accordo,» rispose, uscendo. Erik pensò al proprio sogno. Era in un labirinto, non trovava l'uscita, non vedeva il sole. Era... orrendo. Almeno fin quando Liam non gli confessò di essersi preso una cotta per lui. Quella dichiarazione mosse Erik ad uscire dal labirinto. Scosse la testa. Se solo fosse stato vero... come avrebbe mai potuto reagire? Erik provava qualcosa per Liam?

Liam superò il corridoio, di ritorno dall'incontro col dottore. Aveva contrattato per far uscire Erik al più presto da quel ricovero. Non gli piaceva saperlo lì, in ospedale. Lo preferiva a casa, dove poteva controllare che tutto fosse apposto ogni trenta secondi, apprensivo com'era. Appena svoltò a sinistra ed aprì la porta della stanza di Erik, una mano lo afferrò alle spalle. Liam si voltò, spalancando gli occhi.

«Cosa ci fai tu qui?» chiese, la voce ridotta un sussurro. L'altro gli fece segno di stare in silenzio, mentre si guardava intorno con fare circospetto.

«Ho controllato quella cosa che mi hai mandato,» dichiarò, con la sua classica voce roca. Liam si riscosse, annuendo.

«Cosa hai scoperto?» domandò, seriamente interessato.

«Il vecchio aveva ragione, Liam. Il certificato di nascita è stato occultato, all'ospedale i dottori e le infermiere non ricordano di una donna di nome Linda che abbia mai partorito lì. Non ci sono iscrizione all'anagrafe, né profili negli archivi federali, nulla. È come trovarsi davanti ad un fantasma,» spiegò l'uomo, guardandolo di sottecchi. Liam scosse la testa.

«Non è possibile. Esistono i documenti d'identità, se ne sarebbero accorti, qualcuno avrebbe dovuto controllare, no?» chiese il biondo, l'altro scrollò le spalle.

«Corruzione. Non è la prima né l'ultima volta,» dichiarò questi. Liam scosse ancora la testa. Poi sbatté le palpebre.

«Grazie, amico, ti devo un favore,» gli rispose, riaprendo la porta. Lui lo fermò.

«Ah, Liam. Se posso... darti un consiglio. Non dirlo a Trevor. Non dirlo a nessuno. Quel denaro che hai trovato è sporco, va ripulito. Il vecchio... ha fatto tante cazzate nella sua vita. Non puoi fidarti di nulla che sia collegato, anche lontanamente, alla famiglia Mulgrew. Nemmeno di Trevor, perché non è un santo, come vuol far credere.»

Just Friends (Trilogy of Secrets, 1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora