Capitolo 14 - La cotta di Louise

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«Sei sicuro? Guarda che non mi costa nulla, mi faccio passare gli appunti,» provò un'ultima volta Liam. Erik scosse la testa.

«No, Liam, sto bene. Ti prego, vai a lezione,» rispose, esasperato. Il biondo sospirò.

«Va bene, torno subitissimo, il tempo di tre ore col pelato,» dichiarò, uscendo dalla stanza da letto. Passarono pochi secondi, ed Erik sentì la porta di casa sbattere. Sospirò. Finalmente se n'era andato. Da quando era tornato a casa, Liam non l'aveva lasciato solo un secondo. Gli piacevano le attenzioni, ma così era esagerato. Erik aveva accuratamente evitato di porgli la domanda tanto agognata: perché eri sconvolto in auto? Supponeva si sentisse già colpevole per l'incidente, non voleva mettere benzina sul fuoco. Si alzò dal letto, sgranchendosi le gambe e la schiena. Improvvisamente, 'Rise' di Katy Perry risuonò nella stanza: il cellulare. Lo afferrò. Il numero era sconosciuto. Rimase qualche secondo a ragionare, poi premette la cornetta rossa. Preferiva non rispondere a chi non conosceva. Posò il telefono, quando la suoneria ripartì. Erik la ignorò, dirigendosi in bagno. Aveva proprio bisogno di una doccia rigenerante. Aprì l'acqua, mentre si spogliava lentamente. Si tolse il maglione di lana grigio, la maglia e la canottiera, rimanendo così a torso nudo. I muscoli del petto guizzavano, contraendosi per il freddo invernale. Si tolse i pantaloni, i boxer e le calze, rimanendo totalmente nudo. Controllò l'acqua e si immerse sotto il gettito caldo. Si spalmò il bagnoschiuma lungo tutto il corpo, lentamente, mentre l'acqua gli scompigliava i capelli, facendoli sembrare una folta chioma. Sentiva uno strano odore, così prese il barattolo del sapone e scoppiò a ridere nel leggere l'etichetta: "Bagnoschiuma al cocco per pelli delicate". Stava usando il sapone di Liam.

Rimase sotto la doccia per diverso tempo, poi ne uscì, non preoccupandosi di mettersi qualcosa addosso se non un asciugamano azzurro legato in vita. La corporatura di Erik era più massiccia di quella di Liam. L'hockey, come sport, richiedeva spalle larghe e braccia possenti, più che addominali prorompenti come, invece, si era solito sviluppare nel football. Erik si ritrovò a pensare al suo sport, a quanto gli mancasse il campo, la squadra. La leadership. Ma non era il momento più adatto. Non aveva riportato grandi lesioni, ma l'incidente aveva minato la sua mobilità. Per tornare operativo, avrebbe avuto bisogno di diverso tempo. Dall'alto del suo metro e novanta, Erik si diresse in cucina ed afferrò il barattolo dei soldi nel mobile più a destra. Ne controllò il contenuto, contando meticolosamente. 284 dollari, ottima cifra. Ne prese cinquanta e mise via il resto. Si diresse al proprio armadio, dove estrasse un paio di pantaloni neri, una maglietta rossa e un maglione grigio. Si rivestì, asciugandosi nelle parti più recondite. Aveva deciso di uscire, di andare al supermercato. Da quando Liam si era trasferito lì, il cibo durava poco e il frigo era sempre vuoto. Il negozio era a soli cento metri da casa, perciò Erik era comodissimo. Lasciò un bigliettino, nel caso in cui Liam fosse tornato prima, si mise la giacca e prese il cellulare. Appena lo vide, notò le nove chiamate perse da quel numero. Doveva essere qualcosa di importante. C'era anche un SMS. Lo aprì.

Erik Greynolds, abbiamo necessità repentina di contattarla. –La rappresentativa studentesca.

Erik spalancò gli occhi. Qualora loro lo avessero richiamato, lui avrebbe senz'altro risposto. Si affrettò a uscire e richiudere la porta. Appena scese le scale, avvertì quel senso di stanchezza alle gambe. Il dottore diceva essere normale. Quando superò il portone, fu investito dall'aria fredda di New York. Il contatto con le gelide ventate faceva screpolare la pelle delle mani del giovane, e arrossire le sue guance. Raggiunse il supermercato in un brevissimo lasso di tempo. Appena entrato, la commessa sfoderò un sorriso a trentadue denti.

«Erik! Era da un po' che non ti si vedeva!» disse lei, euforica. Lui sorrise, di rimando. Louise era sempre stata gentile con lui, spesso il moro aveva pensato che lei ci provasse, ma non le aveva mai dato corda.

«Ho avuto un incidente,» confessò l'altro. Lei spalancò gli occhi, toccandolo sulla spalla.

«Ma stai bene? Che è successo?» chiese, preoccupata. Erik scosse la testa.

«È tutto okay, per fortuna non ho danni permanenti. Un Tir ha deciso di spazzarci via,» spiegò il moro. La giovane corrugò la fronte.

«Spazzarci? Tu e... chi?» chiese, quasi preoccupata che Erik avesse una donna.

«Io e Liam, il mio amico. Il ragazzo che vive da me,» chiarì lui, avanzando nel negozio. Lei sospirò.

«Sì, è vero, che stupida,» disse, arrossendo. Lui sorrise, sincero. Poi strinse gli occhi, fissando la sua divisa.

«Hai una zanzara sulla spalla, aspetta, stai ferma,» dichiarò Erik, avvicinandosi e mandandola via con le dita. Erano talmente prossimi tra loro che i due nasi quasi si andavano a sfiorare.

«Non capisco, quest'anno gli insetti non sentono la stagione invernale,» disse lui, cercando di allontanarsi lentamente. Lei non gli diede il tempo: lo baciò. Erik, istintivamente, non si ritrasse e decise di rispondere alla manifestazione della ragazza. Poi, alzò un braccio, allontanandola dolcemente.

«Louise, io...» disse lui, a mo' di scuse. Lei annuì, arrossendo ed abbassando lo sguardo sul pavimento.

«No, io... scusami, Erik. Ho frainteso, mi sento una stupida,» disse, voltandosi. Lui cercò, invano di rimediare.

«No, Louise, scusa tu. Non dovevo... darti quei segnali. È che... è complicato. Io sono complicato. Non...» provò a dire, ma si bloccò, incapace di proseguire.

«C'è un'altra, è così? Non è un problema, dopotutto noi a stento ci conosciamo. Ti... ti auguro il meglio con la tua ragazza, Erik,» disse lei, sorridente. Era una bravissima persona, non meritava quei sotterfugi. Così lui si schiarì la voce.

«Non... non è una ragazza. Io credo... di essermi innamorato di un uomo,» confessò, a bassa voce. Lei spalancò gli occhi, fissandolo in maniera approfondita. Una volta appurato che non stesse mentendo, arrossì ancor più violentemente.

«Oh, Erik, io non avevo capito che tu fossi... sì, insomma... non ho nulla contro di voi, oddio ora ti sto sembrando una omofoba, meglio che sto zitta,» Erik scoppiò a ridere, Louise era impacciata in una maniera particolarmente divertente. Lei divenne realmente del colore dei peperoni, così lui si avvicinò, posandole una mano sulla spalla.

«Non sono gay. O meglio, non lo sono mai stato. Ma l'amore... a volte arriva in modo inaspettato. Io e Liam... cioè, so che lui lo è e per me non è mai stato un problema. Ma sentire quest'istinto di proteggerlo, questa terribile voglia di condividere ogni cosa con lui, questo dolore al petto quando guardo i suoi meravigliosi occhi... credo sia oltre l'amicizia...» spiegò il moro, sorridendo. Lei lo guardò con occhi sognanti.

«Erik Greynolds, tu sei cotto perso. Vai da lui e diglielo. Se non cogli al balzo la palla, potresti pentirtene. Wow, mi è riuscita una metafora sportiva!» Erik scoppiò nuovamente a ridere, e la baciò sulla bocca. Un bacio che sapeva di un saluto, una concessione alla ragazza che lo bramava ma non poteva averlo. Ci mise tutto quello che poteva darle. Quando si staccarono, lei sorrise.

«Wow, ma perché i migliori sono sempre gay?» Erik la guardò, ringraziandola mentalmente, e si voltò, rinunciando alla spesa. Sarebbe tornato a casa, avrebbe dichiarato a Liam le sue sensazioni. E se lui l'avesse respinto... beh, almeno Erik ci avrebbe provato.

Just Friends (Trilogy of Secrets, 1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora