«Come cazzo hai fatto a entrare?» chiese Erik, avanzando nella penombra della casa, mentre fissava il ragazzo che sostava in piedi al centro della stanza.
«Mi hai spaventato,» confessò il moro, quasi ridendo. L'altro, per tutta risposta, si mise una mano sotto la giacca e ne estrasse qualcosa. Erik lo squadrò, continuando ad avvicinarsi. Appena capì quale fosse l'oggetto che l'uomo aveva in mano, era troppo tardi. Il ragazzo gli puntò la pistola dritta alla testa. Erik spalancò gli occhi. Improvvisamente, cominciò a sudare freddo. Aveva paura, tanta paura. Non voleva certo morire. Vide i diversi scenari possibili, analizzandoli come era solito fare. Poteva fuggire, ma la porta era ormai troppo lontana, tentare di correre sarebbe stato deleterio, e sicuramente l'aggressore se lo sarebbe aspettato, quindi avrebbe potuto tranquillamente premere il grilletto senza indugi. Erik fissò il divano. Gettarsi dietro al grosso sofà poteva essere una chance. Ma, da lì, l'unica cosa che avrebbe potuto fare sarebbe stato usare il cellulare per chiamare il 911. Abbassò lo sguardo sulle proprie mani. Aveva ancora in mano lo zaino. L'uomo era a un metro di distanza. Non ci pensò su due volte: lanciò la borsa e si precipitò addosso all'aggressore. Il suo unico pensiero, in quell'istante, era Liam. Se fosse tornato, lui gli avrebbe fatto del male. Lo zaino colpì il braccio dell'uomo, che lo scansò con successo. Erik gli fu subito addosso, buttandolo addosso al muro della cucina. La pistola volò via, lontana. Perfetto, ora erano ad armi pari. Erik gli menò un fendente al mento, facendolo voltare e contorcersi dal dolore. Il vantaggio del moro durò poco, perché l'uomo gli tirò un calcio sullo stinco e lo atterrò con un pugno. Era abile e veloce, più di Erik che, comunque, era abituato a risse e combattimenti, grazie all'hockey, nel quale era raro che una partita finisse senza discordie. L'uomo tentò di colpirlo nuovamente, ma Erik rotolò sul fianco destro, finendo in cucina. Si alzò, veloce come un falco. L'altro si fece sotto, spingendolo con forza, quasi placcandolo, contro l'angolo cottura. Erik imprecò per il dolore alla schiena, ma fu lesto. Afferrò uno dei coltelli e lo colpì alla cieca, beccando il braccio sinistro. Gli procurò uno squarcio che lo fece sanguinare e gridare. Ma ciò aumentò solamente l'adrenalina dell'aggressore. Gli tirò un pugno fortissimo, probabilmente gli ruppe il naso. Erik si contorse dal dolore. L'altro gli assestò una ginocchiata in pancia, facendolo piegare in due. Si voltò, scattando all'indietro. Erik non capiva cosa stesse facendo, poi realizzò: la pistola. Ora, se il moro fosse stato lucido, avrebbe afferrato un coltello, una padella, oppure acceso il fuoco e ce l'avrebbe spinto dentro. Ma Erik era tutt'altro che razionale, in quell'istante. Così corse dietro all'altro: voleva impedirgli di afferrare l'arma. L'aggressore arrivò prima. Come sollevò la pistola, Erik gli fu subito contro. Lo spinse, facendolo barcollare all'indietro. Fu in quel momento che il colpo partì, più per caso che per un'effettiva volontà dell'uomo. Il rumore risuonò in tutto il palazzo, così come l'urlo che ne seguì. Dall'altro lato del pianerottolo, la signora Ward, un'adorabile vecchietta, vedova e con la passione per la pesca, udì il raccapricciante urlò che seguiva il rimbombante colpo d'arma da fuoco. La signora Ward non si fece pregare: il suo vicino, Erik Greynolds, l'unico ragazzo che, a differenza dei suoi nipoti, l'aveva mai trattata con rispetto e la salutava, sempre col sorriso sulle labbra, era in pericolo. Lei sollevò il telefono, digitando il 911. Denunciò alla polizia cosa aveva sentito, e l'agente rispose che avrebbero mandato una pattuglia quanto prima. Lei afferrò la mazza da baseball del marito deceduto anni prima, e aprì la porta del proprio appartamento. Fece i pochi passi che la separavano dall'uscio difronte e lo spalancò con un gesto rapido del braccio. Appena fu dentro, scrutò la scena che le si sottoponeva: la stanza era devastata, il tavolino rotto, le pareti con i quadri staccati e caduti, un coltello e una traccia di sangue per terra. Tutto faceva indicare ad una colluttazione recente. Ma, l'aspetto che più la spaventava, era l'assenza di qualunque persona. L'appartamento era vuoto, totalmente privo di voci, sussurri, urli. La polizia arrivò qualche secondo dopo. Gli agenti fecero deporre l'anziana signora, che dichiarò quanto udito e quanto, purtroppo, non aveva visto.
Liam raggiunse il palazzo qualche minuto dopo. Vi trovò due auto della polizia, i vicini in balcone e la signora dell'appartamento di fronte che discuteva con gli agenti. Lasciò le borse della spesa e corse su per le scale, aveva una strana sensazione e la paura che a Erik fosse capitato qualcosa di brutto stava prendendo piede in lui. Appena raggiunse la loro porta, gli si gelò il sangue nelle vene. Era transennata, ma aperta. Al suo interno, la sala era distrutta. C'erano tracce di sangue circondate dai paletti della polizia, del gesso che disegnava una sagoma per terra. Liam cadde sulle ginocchia, fissando la scena raccapricciante. C'era del sangue. Sangue. Lo fissava, come se potesse chiedergli se fosse di Erik. Rimase lì, in ginocchio, a guardare il loro appartamento. Delle calde lacrime gli rigavano le guance. Aveva trovato l'amore della sua vita. Non aveva nemmeno fatto in tempo a goderselo, che gliel'avevano portato via. Si alzò, distruggendo il nastro in un grido di rabbia e dolore. Afferrò qualunque cosa potesse distruggere e la tirò contro le pareti, contro il tavolo, contro la finestra. Urlava, scalciava, si dimenava, piangeva. Non sapeva cosa provare, se tristezza, rabbia, depressione, angoscia, agonia, ansia. Era totalmente in balia di emozioni incontrollabili. Poi si fermò, in centro alla stanza, con lo sguardo vacuo nel vuoto. Digrignò i denti, producendo quel suono spiacevole di due oggetti ruvidi a contatto. Grugnì, con un'espressione di rabbia sul volto. Piangere era inutile. L'avrebbe trovato. Liam ci sarebbe riusito. Non si sarebbe dato pace fin quando non l'avesse riabbracciato. Erik era scomparso. Stava facendo pace con quell'idea. Doveva farci pace. Non era facile però. Nessuno sapeva dove fosse Erik. E, probabilmente, nessuno l'avrebbe mai saputo. Liam prese fiato, e gridò, con tutta la voce che aveva in corpo.
«Ascoltami bene, Dio, se esisti. Sappi che non mi abbatti. Non vincerai questa volta. Io lo troverò. Dio, non sai chi ti sei messo contro. Liam Donovan non perde mai. Mai.»
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Just Friends (Trilogy of Secrets, 1)
Teen Fiction📎Questo libro è il primo della "Trilogy of Secrets". Liam e Trevor, Trevor e Liam. Comunque lo si dica, il risultato non cambia: sono sempre loro due, bellissimi, desiderati ed inseparabili. Trevor è stupendo, simpatico e popolare. Ha la vita perfe...